Charles Darwin - Opinioni religiose


Immagine Charles Darwin
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel capitolo dell'Autobiografia intitolato "Opinioni religiose", Darwin affronta con serenità il percorso che lo ha portato dai primi dubbi sull'attendibilità delle spiegazioni presenti nel Vecchio Testamento fino alla completa perdita di fede e alla rinuncia all'idea di un mondo creato secondo un disegno intelligente. Non sottolinea particolarmente il tormento che ha vissuto nel compiere questo passaggio, né menziona direttamente le preoccupazioni della moglie, profondamente religiosa. Tuttavia, nelle sue parole potrebbe esserci una risposta indiretta alle domande di Emma: se lei temeva che l'ateismo del marito lo avrebbe condannato eternamente e che non avrebbe più potuto rivederlo, Darwin argomenta che la dottrina che prevede una punizione eterna per coloro senza fede, compresi i propri cari, è non solo odiosa ma anche inaccettabile. Riguardo alla sua valutazione delle prove dell'esistenza di Dio, Darwin le esamina con lo stesso rigore con cui analizza la plausibilità scientifica della selezione naturale. E giunge alla conclusione che l'ipotesi della selezione naturale spiega in modo più completo della presenza divina la sofferenza e il piacere degli esseri sensibili.


Lettura


Durante quei due anni meditai molto sulla religione. Quando ero imbarcato sul Beagle ero di un'ortodossia perfetta e ricordo che parecchi ufficiali, nonostante fossero anch'essi credenti, mi derisero perché facevo appello alla Bibbia come ad una autorità inconfutabile su certe questioni morali. Penso che fossero divertiti dalla novità dell'argomentazione. Ma già a quel tempo ero pervenuto, gradualmente, a rendermi conto come il Vecchio Testamento, per la sua storia del mondo così manifestamente falsa, con la Torre di Babele, l'arcobaleno come presagio, ecc., per la sua attribuzione a Dio dei sentimenti di un tiranno vendicativo, non meritasse più fede dei libri sacri degli indù o della credenza di qualsiasi barbaro. [...]

Fui però molto riluttante a rinunciare alla mia fede, e ricordo molto bene di aver sognato spesso a occhi aperti che a Pompei o altrove erano state trovate antiche lettere di patrizi romani o manoscritti che confermavano in maniera inconfutabile tutto ciò che era scritto nei Vangeli. Ma col passare del tempo trovai sempre più difficile, pur sbrigliando la mia immaginazione, inventare prove sufficienti a convincermi. Così l'incredulità s'insinuò lentamente nel mio spirito, e finì col diventare totale. Il suo sviluppo fu tanto lento che non ne soffersi, e da allora non ho mai più avuto alcun dubbio sull'esattezza della mia conclusione. In realtà non posso capire perché ci dovremmo augurare che le promesse del cristianesimo si avverino: perché in tal caso, secondo le parole del Vangelo, gli uomini senza fede, come mio padre, mio fratello e quasi tutti i miei amici più cari, sarebbero puniti per l'eternità. E questa è un'odiosa dottrina.

Benché non abbia pensato molto all'esistenza di un Dio personale fino a un'età piuttosto avanzata, darò qui le conclusioni alquanto vaghe alle quali sono giunto. Oggi, dopo la scoperta della legge della selezione naturale, cade il vecchio argomento di un disegno nella natura secondo quanto scriveva Paley, argomento che nel passato mi era sembrato decisivo. Non si può più sostenere, per esempio, che la cerniera perfetta di una conchiglia bivalve debba essere stata ideata da un essere intelligente, come la cerniera della porta dall'uomo. Un piano che regoli la variabilità degli esseri viventi e l'azione della selezione naturale, non è più evidente di un disegno che predisponga la direzione del vento. Tutto ciò che esiste in natura è il risultato di leggi determinate. [...]

Anche prescindendo dagli infiniti e meravigliosi adattamenti che osserviamo di continuo, ci possiamo chiedere qual è la spiegazione dell'armonia e del buon fine di tutte le cose del mondo. Alcuni autori, profondamente colpiti dalle molte sofferenze che esistono nel mondo, si domandano se fra tutti gli esseri sensibili sia maggiore il dolore o la felicità, se il mondo nel suo complesso sia buono o cattivo. Io credo che la felicità prevalga decisamente, benché sia molto difficile dimostrarlo. Se è vera, questa conclusione concorda con i risultati che si possono prevedere dalla selezione naturale. Se tutti gli individui di una specie soffrissero sempre molto intensamente, essi trascurerebbero la propagazione; ora non v'è ragione di credere che questo sia mai avvenuto con una certa frequenza. Inoltre, qualche altra considerazione può farci ritenere che in generale tutti gli esseri sensibili siano stati costruiti in modo da poter godere la felicità.

Chiunque creda, come me, che tutti gli organi fisici e psichici degli esseri viventi (a eccezione di quelli che non sono vantaggiosi né svantaggiosi per chi li possiede) si siano sviluppati attraverso la selezione naturale, e creda perciò nella sopravvivenza del più adatto, oltre che negli effetti dell'uso o dell'abitudine, dovrà ammettere anche che questi organi siano formati in modo che i loro possessori possano competere vittoriosamente con altri organismi, e, di conseguenza, aumentare di numero. Ora un animale può seguire la direzione più utile alla specie sotto la spinta della sofferenza, come il dolore fisico, la fame, la sete e la paura, oppure sotto la spinta del piacere, come nel mangiare, nel bere, nella riproduzione, ecc., o del piacere e del dolore insieme, come per esempio nella ricerca del cibo. Ma qualsiasi tipo di dolore o sofferenza, se molto prolungato, provoca uno stato di depressione e riduce la capacità di azione, pur mettendo un organismo nelle condizioni migliori per difendersi da un male grave o improvviso.

Invece le sensazioni piacevoli possono protrarsi lungamente senza produrre alcun effetto deprimente, anzi stimolando tutto il sistema a una maggiore attività. Si arriva perciò a concludere che la maggior parte degli esseri viventi, se non tutti, si sono sviluppati per selezione naturale in modo tale che si valgono delle sensazioni piacevoli come loro guida abituale. Abbiamo un esempio in noi stessi nel piacere che deriva dall'attività, talvolta anche da grandi fatiche fisiche e psichiche, nel piacere che deriva dai pasti quotidiani, e in particolare dalla vita sociale e dall'amore verso la famiglia. Non v'è dubbio che l'insieme di queste sensazioni di piacere, che sono abituali o ricorrono frequentemente, fa sì che per la maggior parte degli esseri sensibili la felicità prevalga sull'infelicità, anche se per alcuni le sofferenze possono essere talvolta assai gravi. Tali sofferenze sono assolutamente compatibili con la dottrina della selezione naturale, la quale non è perfetta nella sua azione, ma tende soltanto a dare a ogni specie il massimo delle possibilità di successo relativamente ad altre specie nella lotta per la vita, in condizioni mirabilmente complesse e mutevoli. Nessuno può negare che nel mondo vi sia molta sofferenza. Molti hanno voluto spiegarla, per l'uomo, considerandola necessaria al suo perfezionamento morale.

Ma il numero degli uomini è niente al confronto con tutti gli altri esseri dotati di sensibilità, i quali spesso soffrono molto, senza alcun perfezionamento morale. Per la nostra mente limitata un essere potente e sapiente come un Dio capace di creare l'universo, deve essere onnipotente e onnisciente; e sarebbe addirittura rivoltante per noi supporre che la sua benevolenza non sia anch'essa infinita; infatti quale potrebbe essere il vantaggio di far soffrire milioni di animali inferiori per un tempo praticamente illimitato? Questo antichissimo argomento che si vale del dolore per negare l'esistenza di una causa prima dotata d'intelletto, mi sembra molto valido; mentre, come è stato giustamente notato, la presenza di tanto dolore concorda bene con l'opinione che tutti gli esseri viventi si siano sviluppati attraverso la variazione e la selezione naturale.

Oggi gli argomenti più comuni a favore dell'esistenza di un Dio intelligente sono tratti da profonde convinzioni personali e dai sentimenti provati dalla maggioranza delle persone. Ma è certo che gli indú, i maomettani e altri popoli di religioni diverse potrebbero, con ragionamenti analoghi e altrettanto validi, affermare l'esistenza di un Dio o di molti dèi, oppure, come i buddisti, l'inesistenza di Dio. Vi sono anche molte tribù di popoli barbari che non hanno la nostra stessa idea della divinità: esse credono negli spiriti o fantasmi e Tyler e Herbert Spencer hanno dimostrato come si possa spiegare il sorgere di simili credenze.

In passato, sentimenti come quelli citati mi avevano portato a credere fermamente nell'esistenza di Dio e nell'immortalità dell'anima (benché non abbia mai avuto un sentimento religioso molto forte). A proposito delle impressioni che provai nella grandiosità della foresta brasiliana, scrissi nel mio diario: «Non è possibile dare un'idea adeguata dei sentimenti sublimi di meraviglia, ammirazione e devozione che s'impadroniscono del nostro spirito e lo elevano». Ricordo bene la mia convinzione, che nell'uomo ci fosse qualcosa oltre la semplice vitalità corporea. Ma per me oggi non v'è più spettacolo, per quanto grandioso, che possa suscitare convinzioni e sentimenti simili. Si può obiettare che potrei essere paragonato a un uomo che fosse diventato cieco per i colori, il cui difetto non avrebbe alcun valore di prova, contro l'universale assicurazione da parte di tutti gli altri uomini dell'esistenza del rosso. Questo argomento potrebbe valere se tutti gli uomini, di tutte le razze, avessero la stessa intima convinzione dell'esistenza di un Dio: ma sappiamo che ciò non è affatto vero. Perciò non riesco a capire come tali convinzioni intime e simili sentimenti possano avere il minimo valore di prova di ciò che esiste realmente. Le condizioni di spirito che un tempo le grandiose visioni naturali risvegliavano in me e che erano intimamente connesse con la fede in Dio, non differivano sostanzialmente da ciò che spesso si indica come sentimento del sublime; e ciò, nonostante sia difficile spiegarne la genesi, non può essere preso come prova dell'esistenza di Dio, più che non lo siano i sentimenti analoghi, forti ma indefiniti, suscitati dalla musica. [...]

Un altro argomento a favore dell'esistenza di Dio, connesso con la ragione più che col sentimento, e a mio avviso molto importante, è l'estrema difficoltà, l'impossibilità quasi, di concepire l'universo, immenso e meraviglioso, e l'uomo, con la sua capacità di guardare verso il passato e verso il futuro, come il risultato di un mero caso o di una cieca necessità. Questo pensiero mi costringe a ricorrere a una Causa Prima dotata di un'intelligenza in certo modo analoga a quella dell'uomo; e mi merito così l'appellativo di teista. Questa conclusione, a quanto ricordo, era ben radicata nella mia mente al tempo in cui scrissi l'Origine delle specie; ma in seguito, dopo molti alti e bassi, si è gradualmente indebolita. [...] Non è mia pretesa far luce su questi astrusi problemi. Il mistero del principio dell'universo è insolubile per noi, e perciò, per quel che mi riguarda, mi limito a dichiararmi agnostico.


Guida alla lettura


1) Quando nasce in Darwin il dubbio circa il valore di verità del Vecchio Testamento e quando la sua l'incredulità in lui divenne totale?
Darwin inizia a dubitare del valore di verità del Vecchio Testamento durante il suo viaggio a bordo del Beagle. È durante questo periodo che gradualmente si rende conto delle incongruenze e delle falsità presenti nelle storie del Vecchio Testamento, come ad esempio la storia della Torre di Babele. Tuttavia, la sua incredulità diventa totale solo col passare del tempo, senza che ne soffra particolarmente, fino a quando non raggiunge una conclusione definitiva sull'inesistenza di un disegno intelligente nella creazione del mondo.

2) Esponi in modo sintetico l'argomento di Paley.
L'argomento di Paley, riassunto in modo sintetico, è che la complessità e l'adattamento degli organismi viventi sono indicativi di un progettista intelligente, simile a un orologiaio che crea un orologio complesso. Questo suggerisce l'esistenza di un Dio creatore.

3) Quale idea porta Darwin a rinunciare definitivamente alla fede in un disegno divino del mondo?
Darwin rinuncia definitivamente alla fede in un disegno divino del mondo perché, dopo aver meditato a lungo sulla religione e sulle sue convinzioni, giunge alla conclusione che l'evoluzione degli organismi attraverso la selezione naturale spiega in modo più soddisfacente la complessità e la diversità della vita sulla Terra rispetto all'ipotesi di un disegno intelligente orchestrato da una divinità. Inoltre, osserva che la sofferenza e il piacere degli esseri viventi possono essere meglio compresi e spiegati attraverso l'ottica della selezione naturale piuttosto che attribuendoli a un disegno divino. Questa comprensione scientifica della natura porta Darwin a rifiutare definitivamente l'idea di un Dio creatore che governa il mondo secondo un piano predeterminato.

4) Perché Darwin non ritiene accettabile l'argomento del perfezionamento morale con cui molti hanno tentato di giustificare la presenza del dolore nel mondo?
Darwin non ritiene accettabile l'argomento del perfezionamento morale come giustificazione per la presenza del dolore nel mondo perché osserva che molti esseri dotati di sensibilità soffrono senza alcun evidente beneficio morale. Nel testo, Darwin evidenzia che il numero degli esseri umani è insignificante rispetto a tutti gli altri esseri sensibili che soffrono, senza che questa sofferenza porti necessariamente a un perfezionamento morale. Pertanto, Darwin non vede il dolore come un mezzo necessario per il miglioramento morale degli individui, ma piuttosto come un fenomeno compatibile con l'evoluzione attraverso la selezione naturale.

5) Che cosa pensa Darwin dei grandi spettacoli della natura e delle emozioni che suscitano in noi?
Darwin descrive i grandi spettacoli della natura come fonte di emozioni intense, come meraviglia, ammirazione e devozione, che possono elevare lo spirito umano. In passato, queste esperienze lo avevano portato a credere fermamente nell'esistenza di Dio e in qualcosa oltre la semplice vitalità corporea. Tuttavia, nel corso del tempo, Darwin ha perso la capacità di trarre convinzioni e sentimenti simili da tali spettacoli naturali. Anche se riconosce che queste esperienze possono essere potenti e difficili da spiegare, non le considera più una prova sufficiente dell'esistenza di Dio.

6) Perché preferisce definirsi agnostico piuttosto che ateo?
Darwin preferisce definirsi agnostico piuttosto che ateo perché riconosce l'insolubilità del mistero dell'origine dell'universo per l'uomo. Nel testo, Darwin afferma di limitarsi a dichiararsi agnostico in quanto il mistero del principio dell'universo è irrisolvibile. Pur avendo dubbi riguardo all'esistenza di Dio, non si sente in grado di negarla categoricamente, poiché non ritiene di avere prove definitive a favore o contro l'esistenza di una divinità. Pertanto, sceglie di adottare un atteggiamento di agnosticismo, che riflette la sua posizione di accettare la propria limitatezza di fronte a questioni così complesse e misteriose.


Guida alla Comprensione


1) Darwin si oppone a una teoria religiosa punitiva con un argomento molto personale. Prova a discuterlo e a saggiarne il significato generale.
Darwin si oppone alla dottrina religiosa punitiva che condanna le persone senza fede all'eternità di sofferenza, definendola "odiosa". Egli riflette sul fatto che persone a lui care, come suo padre, suo fratello e molti amici, sarebbero condannate secondo questa dottrina. Questo argomento personale di Darwin evidenzia il conflitto tra la sua esperienza emotiva e la dottrina religiosa tradizionale. Egli non solo critica la crudeltà intrinseca di una tale visione, ma mette anche in discussione l'idea stessa di un Dio che punisce eternamente coloro che non credono, sottolineando la sua incompatibilità con il concetto di benevolenza divina.

Dal punto di vista generale, questo argomento di Darwin solleva importanti questioni sulla giustizia e la moralità delle dottrine religiose tradizionali, e sulla coerenza di un Dio che condanna eternamente le persone per la loro mancanza di fede. Rappresenta anche una critica alla concezione antropomorfica di Dio come un giudice punitivo, e riflette il conflitto tra la razionalità scientifica e le convinzioni religiose. Inoltre, evidenzia il ruolo dell'esperienza personale e delle emozioni nel plasmare le convinzioni e nel porre domande esistenziali fondamentali.

2) In base a quale argomentazione Darwin afferma che nel mondo la quantità di felicità non può essere inferiore a quella della sofferenza?
Darwin afferma che nel mondo la quantità di felicità non può essere inferiore a quella della sofferenza basandosi sull'analisi delle sensazioni di piacere e dolore negli esseri viventi. Egli sostiene che la maggior parte degli organismi si è evoluta in modo tale da ricercare le sensazioni piacevoli e evitare quelle dolorose, poiché le prime stimolano l'attività e non producono effetti deprimenti prolungati come le seconde. Questa visione è sostenuta dall'idea che la selezione naturale favorisce gli individui che sono in grado di sfruttare le sensazioni di piacere per guidare il loro comportamento e aumentare le loro probabilità di sopravvivenza e riproduzione. Pertanto, secondo Darwin, la felicità tende a prevalere sull'infelicità nella maggior parte degli esseri sensibili, anche se alcune sofferenze possono essere presenti.

3) Darwin valuta la capacità della teoria della selezione naturale di spiegare il dolore di esseri sensibili e subito dopo richiama l'argomento del dolore come prova a sfavore dell'esistenza di Dio. Prova a ricostruire la logica del confronto e i suoi esiti.
Darwin utilizza la teoria della selezione naturale per spiegare il dolore negli esseri sensibili. Egli argomenta che, sebbene il dolore possa essere un'esperienza negativa, può avere un ruolo funzionale nell'evoluzione degli organismi. Ad esempio, il dolore può spingere gli organismi a evitare situazioni dannose e a sopravvivere meglio nell'ambiente circostante.

Successivamente, Darwin richiama l'argomento del dolore come prova a sfavore dell'esistenza di Dio. Egli riflette sulla quantità di sofferenza nel mondo e si chiede come un Dio onnipotente e benevolo possa permettere tale sofferenza. Questa considerazione lo porta a mettere in discussione l'idea di un Dio come causa dell'universo e ad adottare una posizione agnostica riguardo all'esistenza divina.

In breve, Darwin confronta la capacità della selezione naturale di spiegare il dolore negli esseri viventi con l'argomento del dolore come prova contro l'esistenza di Dio, evidenziando una contraddizione tra la sofferenza nell'universo e l'idea di un Dio benevolo e onnipotente.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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