Parafrasi e Analisi: "Canto XVIII" - Divina Commedia - Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XVIII dell'Inferno segna l'ingresso nell'ottavo cerchio, la Malebolge, luogo destinato ai fraudolenti contro chi non si fida. Qui, Dante costruisce una rappresentazione articolata e complessa del peccato di frode, suddividendo l'enorme cerchio in dieci bolge, ognuna riservata a una diversa tipologia di peccatori che hanno ingannato per interesse o malizia.
Il paesaggio si presenta con un'architettura rigorosa e inquietante, un insieme di fossati concentrici collegati da ponti di pietra, che richiamano un'organizzazione geometrica quasi fredda e razionale del peccato. Questo contesto riflette l'intenzione di Dante di descrivere il male come una perversione dell'intelletto, contrapponendolo all'ordine divino.
Il canto introduce dunque il tema della frode in una prospettiva morale e teologica, enfatizzando l'inganno come un tradimento della fiducia umana e divina. Si tratta di un luogo in cui l'oscurità e il tormento prendono una forma sistematica, anticipando l'analisi delle diverse forme di inganno che verranno esplorate nelle bolge successive.
Testo e Parafrasi
Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge. Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l'ordigno. Quel cinghio che rimane adunque è tondo tra 'l pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo. Quale, dove per guardia de le mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura, tale imagine quivi facean quelli; e come a tai fortezze da' lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli, così da imo de la roccia scogli movien che ricidien li argini e ' fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli. In questo luogo, de la schiena scossi di Gerïon, trovammoci; e 'l poeta tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. A la man destra vidi nova pieta, novo tormento e novi frustatori, di che la prima bolgia era repleta. Nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso 'l volto, di là con noi, ma con passi maggiori, come i Roman per l'essercito molto, l'anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto, che da l'un lato tutti hanno la fronte verso 'l castello e vanno a Santo Pietro, da l'altra sponda vanno verso 'l monte. Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro. Ahi come facean lor levar le berze a le prime percosse! già nessuno le seconde aspettava né le terze. Mentr'io andava, li occhi miei in uno furo scontrati; e io sì tosto dissi: «Già di veder costui non son digiuno». Per ch'ïo a figurarlo i piedi affissi; e 'l dolce duca meco si ristette, e assentio ch'alquanto in dietro gissi. E quel frustato celar si credette bassando 'l viso; ma poco li valse, ch'io dissi: «O tu che l'occhio a terra gette, se le fazion che porti non son false, Venedico se' tu Caccianemico. Ma che ti mena a sì pungenti salse?». Ed elli a me: «Mal volentier lo dico; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico. I' fui colui che la Ghisolabella condussi a far la voglia del marchese, come che suoni la sconcia novella. E non pur io qui piango bolognese; anzi n'è questo loco tanto pieno, che tante lingue non son ora apprese a dicer 'sipa' tra Sàvena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno». Così parlando il percosse un demonio de la sua scurïada, e disse: «Via, ruffian! qui non son femmine da conio». I' mi raggiunsi con la scorta mia; poscia con pochi passi divenimmo là 'v'uno scoglio de la ripa uscia. Assai leggeramente quel salimmo; e vòlti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie etterne ci partimmo. Quando noi fummo là dov'el vaneggia di sotto per dar passo a li sferzati, lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia lo viso in te di quest'altri mal nati, ai quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati». Del vecchio ponte guardavam la traccia che venìa verso noi da l'altra banda, e che la ferza similmente scaccia. E 'l buon maestro, sanza mia dimanda, mi disse: «Guarda quel grande che vene, e per dolor non par lagrime spanda: quanto aspetto reale ancor ritene! Quelli è Iasón, che per cuore e per senno li Colchi del monton privati féne. Ello passò per l'isola di Lenno poi che l'ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno. Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta che prima avea tutte l'altre ingannate. Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martiro lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta. Con lui sen va chi da tal parte inganna; e questo basti de la prima valle sapere e di color che 'n sé assanna». Già eravam là 've lo stretto calle con l'argine secondo s'incrocicchia, e fa di quello ad un altr'arco spalle. Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l'altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia. Le ripe eran grommate d'una muffa, per l'alito di giù che vi s'appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa. Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l'arco, ove lo scoglio più sovrasta. Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso. E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parëa s'era laico o cherco. Quei mi sgridò: «Perché se' tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?». E io a lui: «Perché, se ben ricordo, già t'ho veduto coi capelli asciutti, e se' Alessio Interminei da Lucca: però t'adocchio più che li altri tutti». Ed elli allor, battendosi la zucca: «Qua giù m'hanno sommerso le lusinghe ond'io non ebbi mai la lingua stucca». Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse, «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l'occhio attinghe di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l'unghie merdose, e or s'accoscia e ora è in piedi stante. Taïde è, la puttana che rispuose al drudo suo quando disse "Ho io grazie grandi apo te?": "Anzi maravigliose!". E quinci sian le nostre viste sazie». |
Nell'Inferno vi è un luogo chiamato Malebolge, tutto di pietra color grigio scuro (ferrigno), così come lo scoscendimento circolare (cerchia) che lo circonda (dintorno il volge). Proprio nel punto centrale (Nel dritto mezzo) del piano di Malebolge (campo maligno) si apre (vaneggia) un pozzo molto largo e profondo, di cui descriverò (dicerò) la struttura (l'ordigno) al momento opportuno (suo loco). L'anello (cinghio) che resta tra la base (piè) della parete rocciosa (l'alta ripa dura) e il pozzo è dunque circolare (tondo) e ha il fondo diviso in dieci bolge (valli). Quale aspetto (figura), nei luoghi in cui (dove) molti (più e più) fossati cingono i castelli a difesa (per guardia) delle mura, presenta (rende) il luogo (parte) in cui mi trovavo (son), la stessa vista (imagine) offrivano (facean) qui i fossati di Malebolge (quelli); e come in tali castelli (fortezze) vi sono dei ponticelli (che collegano) le porte d'ingresso (lor sogli) con l'orlo dell'ultimo fossato (a la ripa di fuor), così, dalla base (da imo) della parete si diramavano (movien) ponti rocciosi (scogli) che intersecavano (ricidien) gli argini e i fossati fino al pozzo che li (i) interrompe (tronca) e li riceve (raccogli). Scaricati (scossi) dal dorso di Gerione, venimmo a trovarci (trovammoci) in questo luogo; il poeta cominciò a camminare dirigendosi verso sinistra, ed io lo seguii (dietro mi mossi). Verso destra vidi un nuovo spettacolo doloroso (nova pieta), un nuovo tipo (novo) di pena e un nuovo genere (novi) di tormentatori (frustatori), di cui era colma (repleta) la prima bolgia. I peccatori stavano nudi sul fondo; dalla parte centrale (dal mezzo) al margine esterno (in qua) venivano in direzione contraria (verso 'l volto) alla nostra (ci), nella metà opposta (di là) (andavano) nella nostra stessa direzione (con noi), ma (tutti) più velocemente (con passi maggiori), come i Romani, nell'anno del Giubileo, a causa (per) della grande folla (l'essercito molto), per far passare la gente sul ponte hanno trovato (colto) questo espediente (modo): che da un lato (del ponte) procedessero, con la fronte rivolta verso Castel S. Angelo ('l castello), tutti quelli diretti (e vanno) a San Pietro, e dal lato opposto quelli che ne tornavano, (con la fronte rivolta) verso monte Giordano ('l monte). Da una parte e dall'altra, lungo la roccia scura (sasso tetro), vidi demoni cornuti con grandi sferze (ferze), che li colpivano (battien) crudelmente alle spalle (di retro). Ahi come facevano alzar loro i calcagni (berze) alle prime frustate (percosse)! e nessuno doveva attendere i colpi successivi (le seconde... né le terze). Mentre camminavo, i miei occhi si scontrarono casualmente (furo scontrati) in un dannato, e io immediatamente (sì tosto) dissi: «Mi sembra di aver già visto costui (di veder... non son digiuno)». Per cui fermai (affissi) i piedi per riconoscerlo meglio (figurarlo); e la guida cortese (dolce) si fermò (ristette) insieme a me (meco), e acconsentì (assentio) che tornassi (gissi) un po' indietro. E quel dannato (frustato) credette di nascondersi (celar) abbassando (bassando) il viso; ma poco gli valse, perché io gli dissi: «Tu che abbassi (gette) a terra lo sguardo, se non sono falsi i tuoi lineamenti (le fazion che porti), tu sei Venedico Caccianemico. Ma quale colpa ti conduce (mena) a così aspri (pungenti) tormenti (salse)?». Ed egli: «Ti rispondo mal volentieri; ma mi costringono (a farlo) (sforzami) le tue chiare parole (favella), che mi fanno ricordare (sovvenir) la vita terrena (mondo antico). Io fui colui che convinsi (condussi) Ghisolabella ad assecondare (far) il desiderio (voglia) del marchese (d'Este), qualunque sia (come che) la versione che si dà (suoni) di questa turpe vicenda (sconcia novella). E non sono solo (pur) io l'unico bolognese a essere qui dannato (piango); anzi questa bolgia (loco) ne è talmente piena, che non ci sono ora altrettante lingue (ossia persone) che abbiano appreso (apprese) a pronunciare 'sì' ('sipa') tra il Sàvena e il Reno; e se vuoi una sicura testimonianza (fede o testimonio) di questo, ricordati (rècati a mente) la nostra indole (seno) avida (avaro)». Mentre diceva queste parole, un demonio lo colpì con il suo scudiscio (scurïada), e disse: «Vattene via, ruffiano! qui non ci sono femmine da corrompere con frode (da conio)». Io mi ricongiunsi (mi raggiunsi) con la mia guida (scorta); quindi giungemmo (divenimmo) in breve (con pochi passi) nel punto in cui un ponte di pietra (scoglio) si staccava (uscia) dalla parete rocciosa (ripa). Lo risalimmo agevolmente (leggeramente); e svoltati (vòlti) a destra per la roccia scheggiata (scheggia), ci allontanammo (ci partimmo) dalla parete circolare che cinge in eterno Malebolge (cerchie etterne). Quando arrivammo là dove il ponte (el) fa un vuoto (vaneggia) di sotto per far passare (dar passo) i dannati, la guida disse: «Fermati (Attienti) e fa in modo che lo sguardo (viso) di questi altri dannati (mal nati), ai quali non hai ancora visto il volto dal momento che (però che) sono andati nella nostra stessa direzione (con noi insieme), venga a cadere (feggia = colpisca) su di te». Dal ponte antico guardavamo la fila (traccia) che veniva verso di noi dalla parte (banda) opposta, e che la frusta spinge avanti (scaccia) nello stesso modo. E il buon maestro, senza che glielo domandassi (sanza mia dimanda), mi disse: «Guarda quel personaggio imponente (quel grande) che viene verso di noi (vene), e non sembra (par) versare (spanda) lacrime di sofferenza: quanto atteggiamento (aspetto) regale ha ancora in sé (ritene)! Quegli è Giasone (Iasón), che con coraggio (per cuore) e con astuzia (per senno) sottrasse (privati féne = rese privi) ai Colchi il montone [dal Vello d'oro]. Egli passò per l'isola di Lemno, dopo che (poi che) le crudeli (ardite) e spietate donne fecero morire (a morte dienno) tutti i maschi dell'isola. Là (Ivi) con gesti (segni) e con parole affabili (ornate) ingannò Isifile, la giovane che per prima aveva ingannato tutte le altre. La abbandonò là (quivi) incinta (gravida) e completamente sola (soletta); questa colpa condanna lui a questa pena (martiro); e (qui) si compie (si fa) giusto castigo (vendetta) anche di Medea. Insieme a lui camminano (sen va) coloro che ingannano in questo modo (da tal parte); e sia sufficiente (basti) sapere questo riguardo alla prima bolgia (valle) e a coloro che essa strazia (assanna) dentro di sé ('n sé)». Eravamo giunti dove lo stretto passaggio (del ponte) (calle) si incrocia (s'incrocicchia) col secondo argine, e fa di quello un punto di appoggio (spalle) per un altro ponte arcuato (altr'arco). Da qui sentimmo dei dannati (gente) gemere (si nicchia) nell'altra bolgia e soffiare rumorosamente (scuffa) con la bocca e con le narici (col muso), e picchiarsi con le mani (palme). Gli argini (ripe) erano incrostati (grommate) di una muffa causata dall'esalazione (l'alito) che proviene dal basso e si appiccica (s'appasta) alle pareti (vi), che irritava (facea zuffa) gli occhi e il naso. Il fondo della bolgia è talmente profondo (cupo) che non vi è punto (loco) sufficiente (non ci basta) per vederlo, se non si sale (sanza montare) sulla sommità (al dosso) dell'arco, dove il ponte (scoglio) è più alto e lo sovrasta direttamente (più sovrasta). Andammo in quel punto; e di qui vidi sul fondo della bolgia (giù nel fosso) dei dannati immersi (attuffati) in uno sterco che sembrava provenire (parea mosso) dalle latrine (privadi) terrestri (uman). E mentre frugo (cerco) laggiù con gli occhi vedo un dannato con la testa talmente sporca (lordo) che non si poteva capire (non parëa) se fosse laico o chierico (cherco). Quegli gridò forte (sgridò) verso di me: «Perché sei così avido (gordo) di guardare me più di tutti gli altri luridi di sterco (brutti)?». Ed io a lui: «Perché, se ben ricordo, ti ho già visto con i capelli non lordati (asciutti), e sei (se') Alessio Interminelli (Interminei) da Lucca: per questo (però) ti fisso (t'adocchio) più di tutti gli altri». Ed egli allora, battendosi la testa (zucca): «Mi hanno sommerso quaggiù le lusinghe, di cui (ond'io) non ebbi mai la lingua sazia (stucca)». Dopo di che (Appresso ciò) il maestro mi disse: «Spingi (Fa che pinghe) un po' più avanti il viso, così da raggiungere (con l'occhio attinghe) con lo sguardo il volto di quella lurida (sozza) e scapigliata femmina (fante) che laggiù si graffia con le unghie sporche di merda (merdose), e ora si siede a gambe incrociate (s'accoscia) e ora sta in piedi (è in piedi stante). Essa è Taide, la puttana che rispose al suo amante (drudo) quando questi disse "Ho io grandi meriti (grazie) presso (apo) di te?": "Anzi, grandissimi (maravigliose)!". E di ciò (quinci) si ritenga paga (sien sazie) la nostra vista». |
Riassunto
Malebolge e struttura (vv. 1-18)
L'ottavo cerchio dell'Inferno, noto come Malebolge, è composto da dieci fossati concentrici. Questi fossati sono separati da rupi rocciose e collegati al centro da ponti naturali. Nel cuore del cerchio si trova un pozzo profondo, abitato dai Giganti, che funge da accesso al nono cerchio, l'ultima sezione dell'Inferno.
La punizione dei peccatori (vv. 19-39)
Dante e Virgilio entrano nella prima bolgia, dove incontrano due schiere di dannati che corrono in direzioni opposte, incessantemente frustati dai demoni. Questa scena evoca l'immagine dei pellegrini che si accalcano a Roma durante il Giubileo. La prima schiera è composta dai ruffiani, coloro che hanno usato l'inganno e la seduzione per il vantaggio di altri.
Venedico Caccianemico (vv. 40-66)
Tra i ruffiani, Dante riconosce Venedico Caccianemico, un bolognese che tenta inutilmente di nascondersi. Dopo essere stato smascherato, Venedico ammette di aver costretto sua sorella Ghisolabella a concedersi al marchese Obizzo II d'Este. Mentre si lamenta dell'avidità dei suoi concittadini, un demone lo colpisce con violenza, costringendolo a fuggire.
Giasone tra i seduttori (vv. 67-99)
Nella seconda schiera, composta dai seduttori che hanno agito per interesse personale, Virgilio indica Giasone, il celebre comandante degli Argonauti. Nonostante la pena inflitta, Giasone mantiene un atteggiamento regale; è qui per aver ingannato sia Isifile che Medea, abbandonandole dopo aver ottenuto ciò che desiderava.
L'arrivo nella seconda bolgia (vv. 100-114)
Proseguendo il loro cammino, Dante e Virgilio raggiungono la seconda bolgia, che si distingue per il fetore nauseabondo. Da una posizione sopraelevata, osservano i dannati sommersi nello sterco, simbolo della falsità e della bassezza morale degli adulatori.
Alessio Interminelli (vv. 115-126)
Tra i dannati, Dante riconosce Alessio Interminelli, originario di Lucca, che confessa di essere stato un adulatore nella sua vita terrena e di meritare la pena inflitta.
Taide, simbolo dell'adulazione (vv. 127-136)
Prima di lasciare la bolgia, Virgilio indica un'ulteriore figura: Taide, una prostituta tratta dalla commedia L'Eunuco di Terenzio. La donna, in preda alla disperazione, si graffia il volto con rabbia, incarnando l'abiezione degli adulatori
Figure Retoriche
v. 1: "Luogo è in inferno": Anastrofe.
v. 3: "Come la cerchia che dintorno il volge": Similitudine.
vv. 14-18: "E come a tai fortezze da' lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli, così da imo de la roccia scogli movien che ricidien li argini e ' fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli": Similitudine.
vv. 19-20: "De la schiena scossi / di Gerion": Enjambement.
vv. 19-20: "In questo luogo, de la schiena scossi di Gerion, trovammoci": Iperbato.
vv. 22-23: "Nova pieta, novo tormento e novi frustatori": Climax Ascendente.
vv. 22-23: "Nova, novo, novi": Simploche.
v. 26: "Ci venien verso 'l volto": Sineddoche.
vv. 28-30: "Come i Roman per l'essercito molto, l'anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto": Similitudine.
vv. 40-41: "Li occhi miei in uno furo scontrati": Metonimia. Il concreto per l'astratto, cioè "occhi" anziché "sguardo".
vv. 48: "L'occhio a terra gette": Metonimia. Il concreto per l'astratto, cioè "occhio" anziché "sguardo".
v. 67: "Scorta mia": Anastrofe.
v. 84: "Non par lagrime spanda": Anastrofe.
vv. 110-111: "Al dosso / de l'arco": Enjambement.
v. 115: "Con l'occhio cerco": Metonimia. Il concreto per l'astratto, cioè "occhio" anziché "sguardo".
v. 116: "Di merda lordo": Anastrofe.
v. 123: "Più che li altri tutti": Anastrofe.
v. 128: "Il viso un poco più avante": Sineddoche.
v. 130: "Sozza e scapigliata": Endiadi.
v. 132: "E or s'accoscia e ora è in piedi stante": Anadiplosi. Si ripete il termine "ora" abbreviato in "or" nello stesso verso.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto XVIII della Divina Commedia segna l'inizio della seconda parte dell'Inferno, che, con i suoi trentaquattro canti, può essere idealmente diviso in due sezioni di diciassette: la prima dedicata all'«alto Inferno», la seconda al «basso Inferno». È qui che si apre la descrizione delle Malebolge, il grande ottavo cerchio dell'Inferno, che accoglie i fraudolenti e occupa una parte significativa della cantica con ben tredici canti. Questo cerchio è suddiviso in dieci bolge concentriche, somiglianti a fossati difensivi di castelli medievali, intervallate da argini di pietra e collegate da ponti rocciosi che convergono verso il centro, dove si trova il pozzo dei Giganti.
Le Malebolge rappresentano un luogo architettonicamente imponente, dominato da una rigida geometria e da un'atmosfera cupa e disumana, perfetta per sottolineare la gravità del peccato di frode. Qui si punisce chi ha tradito la fiducia altrui usando la ragione per fini egoistici, un peccato che degrada la dignità umana. Le pene sono distribuite con meticolosa corrispondenza al tipo di frode: ruffiani, seduttori e adulatori, per esempio, occupano rispettivamente le prime due bolge. I ruffiani e i seduttori sono costretti a camminare nudi in file opposte mentre vengono colpiti dai demoni cornuti con fruste, una pena che richiama simbolicamente la mercificazione del corpo e il raggiro verso le donne. Gli adulatori, invece, sono immersi nello sterco, in un'immagine che degrada le loro lusinghe dolci e false in un contesto di ripugnanza olfattiva e visiva.
Dante utilizza un linguaggio particolarmente crudo e realistico per descrivere questi peccati e le loro conseguenze. Termini volgari come "sterco", "privadi" (latrine) e "merda" sottolineano il disprezzo del poeta verso queste anime e rafforzano il tono grottesco della narrazione.
Allo stesso tempo, l'autore alterna stili diversi: si passa dall'intonazione epica dell'esordio ai registri bassi e comico-realistici che dominano nella descrizione delle bolge, dove abbondano rime aspre e suoni duri.
Il Canto XVIII introduce anche una struttura narrativa interessante, in cui Dante incontra sia dannati contemporanei sia personaggi del mondo classico, con un parallelo significativo: i primi sono costretti a confessare il loro peccato, mentre i secondi sono muti e semplicemente indicati da Virgilio. Tra i dannati contemporanei emergono Venedico Caccianemico, che ammette di aver venduto la sorella per cupidigia, e Alessio Interminelli, punito per la sua adulazione. Entrambi sono figure note ai tempi di Dante, e la loro dannazione si rivela al lettore come una denuncia pubblica dei loro peccati. Sul versante classico, incontriamo Giasone, il seduttore di Isifile e Medea, e Taide, la prostituta adulatrice tratta dall'Eunuchus di Terenzio, esempi che amplificano la portata universale delle colpe punite nelle Malebolge.
L'architettura e la narrazione delle Malebolge segnano un netto distacco dagli altri cerchi, con un'atmosfera sempre più oscura e un progressivo irrigidimento del rapporto tra Dante pellegrino e le anime dannate. Il poeta osserva le colpe con crescente distacco e disprezzo, abbandonando quasi del tutto ogni pietà. Questa distanza emotiva si riflette anche nello stile, che nella descrizione delle Malebolge raggiunge la sua più straordinaria espressività comica, capace di rappresentare in modo grottesco e spietato la degradazione dell'animo umano.
Passi Controversi
Nei versi 25-33, Dante descrive due schiere di dannati nella prima bolgia, i ruffiani e i seduttori, che si muovono in direzioni opposte lungo percorsi paralleli. I ruffiani procedono sul lato esterno del fossato, incrociando il cammino dei due poeti, mentre i seduttori si trovano nella parte interna e avanzano nella stessa direzione di Dante e Virgilio, che per osservare meglio dovranno salire sul ponte roccioso. La scena è paragonata al flusso di pellegrini durante il Giubileo del 1300, indetto da papa Bonifacio VIII. All'epoca, il ponte di Castel Sant'Angelo, unico accesso alla basilica di San Pietro, fu diviso in due corsie separate da una transenna per gestire il traffico: una direzione per i pellegrini che entravano e un'altra per quelli che uscivano. Nel testo, il "monte" del verso 33 potrebbe alludere al Monte Giordano, situato di fronte a Castel Sant'Angelo.
L'espressione "Berze" (v. 37), di probabile origine germanica, si riferisce alle gambe. Le "pugenti salse" del verso 51 indicano pene dolorose e pungenti, forse con un richiamo alle "Salse" di Bologna, dove venivano gettati i corpi dei condannati a morte. Il termine "Sipa" (v. 61) è una variante dialettale bolognese di "sia, mentre Sàvena e Reno sono due fiumi che delimitano Bologna a est e ovest.
L'espressione "femmine da conio" (v. 66) può essere interpretata in due modi: come "donne da mercificare" (conio nel senso di "moneta") o come "donne da raggirare", poiché in fiorentino "coniare" significava "ingannare". Le "cerchie etterne" del verso 72 probabilmente indicano il moto perpetuo dei dannati nella prima bolgia, anche se alcuni studiosi le collegano alle pareti rocciose delle Malebolge o alla struttura dell'Inferno stesso.
Al verso 104, il termine "scuffa" (presente in alcune versioni anche come "sbuffa") si riferisce al soffiare forte con narici e bocca. Nel verso 118, la lezione "gordo" è preferibile a "ingordo" per la maggiore complessità del termine. Infine, il termine "fante" (v. 130) identifica una giovane donna di bassa condizione sociale, spesso associata al significato di "prostituta" (v. 133).
L'episodio di Taide (vv. 133-136) trae ispirazione dall'Eunuchus di Terenzio. Virgilio descrive la prostituta che graffia il proprio corpo in modo rabbioso. Il riferimento deriva da un episodio in cui il soldato Trasone, tramite il ruffiano Gnatone, aveva fatto un dono a Taide e si era informato sulla sua gratitudine. Dante potrebbe aver ripreso questa scena non direttamente da Terenzio, ma dal De Amicitia di Cicerone, dove il racconto appare con una variazione.
Fonti: libri scolastici superiori