Parafrasi e Analisi: "Canto II" - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Personaggi Principali
7) Temi Principali
8) Analisi ed Interpretazioni
9) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il secondo canto dell'Inferno svolge una funzione introduttiva specifica, ma limitata alla sola prima cantica, l'Inferno, mentre il primo canto introduce l'intera Commedia. In questo canto, Dante richiama l'atmosfera infernale, invocando le Muse e dichiarando il tema dell'opera.

La struttura del secondo canto può essere suddivisa in tre sezioni principali:

Il proemio (vv. 1-9), in cui Dante si rivolge alle Muse per ottenere l'ispirazione necessaria per affrontare il viaggio.
I dubbi di Dante (vv. 10-42), dove il poeta esprime le sue perplessità sulla sua capacità di intraprendere un'impresa tanto ardua.
La risposta di Virgilio (vv. 43-142), che rassicura Dante spiegandogli la natura divina del loro percorso, convincendolo così a proseguire.

Questo canto ha una funzione soprattutto informativa, essenziale per la struttura della Commedia: in esso sono delineate le fondamenta storico-teologiche del viaggio di Dante nell'aldilà.


Testo e Parafrasi


Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno

m'apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.

O muse, o alto ingegno, or m'aiutate;
mente che scrivesti ciò ch'io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.

Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s'ell'è possente,
prima ch'a l'alto passo tu mi fidi.

Tu dici che di Silvio il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente.

Però, se l'avversario d'ogne male
cortese i fu, pensando l'alto effetto
ch'uscir dovea di lui e 'l chi e 'l quale,

non pare indegno ad omo d'intelletto;
ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero
ne l'empireo ciel per padre eletto:

la quale e 'l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u' siede il successor del maggior Piero.

Per quest'andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto.

Andovvi poi lo Vas d'elezione,
per recarne conforto a quella fede
ch'è principio a la via di salvazione.

Ma io perché venirvi? o chi 'l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono:
me degno a ciò né io né altri 'l crede.

Per che, se del venire io m'abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono».

E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle,

tal mi fec'io 'n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la 'mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta.

«S'i' ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell'ombra;
«l'anima tua è da viltade offesa;

la qual molte fiate l'omo ingombra
sì che d'onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand'ombra.

Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch'io venni e quel ch'io 'ntesi
nel primo punto che di te mi dolve.

Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.

Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:

"O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto' l mondo lontana,

l'amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che volt'è per paura;

e temo che non sia già sì smarrito,
ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito.

Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c'ha mestieri al suo campare
l'aiuta, sì ch'i' ne sia consolata.

I' son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.

Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui".
Tacette allora, e poi comincia' io:

"O donna di virtù, sola per cui
l'umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c'ha minor li cerchi sui,

tanto m'aggrada il tuo comandamento,
che l'ubidir, se già fosse, m'è tardi;
più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento.

Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l'ampio loco ove tornar tu ardi".

"Da che tu vuo' saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente", mi rispuose,
"perch'io non temo di venir qua entro.

Temer si dee di sole quelle cose
c'hanno potenza di fare altrui male;
de l'altre no, ché non son paurose.

I' son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d'esto incendio non m'assale.

Donna è gentilnel ciel che si compiange
di questo 'mpedimento ov'io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange.

Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando -.

Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov'i' era,
che mi sedea con l'antica Rachele.

Disse: - Beatrice, loda di Dio vera,
ché‚ non soccorri quei che t'amò tanto,
ch'uscì per te de la volgare schiera?

non odi tu la pieta del suo pianto?
non vedi tu la morte che 'l combatte
su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? -

Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com'io, dopo cotai parole fatte,

venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch'onora te e quei ch'udito l'hanno".

Poscia che m'ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse;
per che mi fece del venir più presto;

e venni a te così com'ella volse;
d'inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse.

Dunque: che è? perché, perché restai?
perché tanta viltà nel core allette?
perché ardire e franchezza non hai?

poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e 'l mio parlar tanto ben ti promette?».

Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca
si drizzan tutti aperti in loro stelo,

tal mi fec'io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch'i' cominciai come persona franca:

«Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch'ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!

Tu m'hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch'i' son tornato nel primo proposto.

Or va, ch'un sol volere è d'ambedue:
tu duca, tu segnore, e tu maestro».
Così li dissi; e poi che mosso fue,

intrai per lo cammino alto e silvestro.
Il giorno era quasi finito e il cielo scuro sottraeva
gli esseri animati che vivono sulla Terra alle loro
fatiche; ed io, unico fra tutti,

mi preparavo ad affrontare le difficoltà sia del
cammino che dell'angoscia, che la mia mente
infallibile descriverà.

O muse, o mio alto ingegno, aiutatemi ora; o
memoria, che annotasti quello che hai visto, qui
dovrai dimostrare il tuo valore.

Io cominciai a dire: «Oh Poeta che mi guidi,
valuta se le mie capacità sono adeguate a ciò,
prima di affidarmi a questo arduo viaggio.

Tu dici che il padre di Silvio [Enea], ancora in vita,
andò nell'Aldilà, e lì vi andò con tutto il corpo.

Perciò, se il nemico di ogni male [Dio] fu cortese
verso di lui, pensando alla grandiosa
conseguenza che doveva derivare da lui, sia la sua persona che le sue qualità

non sembrano indegni a un uomo dotato di
intelletto; perché egli fu eletto nell'Empireo come
fondatore della nobile Roma e del suo impero:

e Roma e il suo impero, a voler dire la verità,
furono stabiliti come il sacro luogo dove risiede il
successore di San Pietro.

Grazie a questo viaggio per mezzo del quale tu
gli conferisci onore, [Enea] sentì cose che furono
motivo della sua vittoria e del manto papale.

Vi andò poi (nell'Aldilà) il Vaso d'elezione [San
Paolo], per dare sostegno a quella fede
(cristiana) che è indispensabile per percorrere la via verso la salvezza.

Ma io perché dovrei venirci? E chi lo permette? Io
non sono Enea, né san Paolo; né io né nessun
altro può ritenermi degno di questo compito.

Perciò, se accetto di incamminarmi, temo che il
mio viaggio sia un'empietà. Sei saggio,
comprendi meglio di quanto io sappia spiegare»

E come colui che non vuole più ciò che voleva, e
cambia proposito a causa di nuovi pensieri, al
punto che recede totalmente da ciò che stava per cominciare,

così divenni io in quel luogo oscuro, perché
pensandoci, annullai l'impresa che fu all'inizio
così rapida.

«Se io ho compreso bene le tue parole», rispose
l'ombra di quell'uomo magnanimo, «la tua
anima è vittima di viltà;

la quale molte volte ostacola l'uomo e lo porta a
desistere da un'impresa onorevole, proprio come una
immagine ingannevole fa fermare un animale quando si imbizzarrisce.

Affinché tu ti liberi da questo timore, ti dirò
perché son venuto qui e ciò che udii nel primo
momento in cui provai dolore per te.

Io ero tra le anime che sono sospese [nel Limbo],
e mi chiamò una donna beata e bella al punto tale che
le chiesi di comandarmi quel che desiderasse.

I suoi occhi splendevano più di una stella; e lei
cominciò a dirmi parlando con dolcezza e soavità, con
una voce che sembrava il linguaggio di un angelo:

"O nobile anima mantovana, la cui la fama ancora
perdura nel mondo, e durerà tanto
quanto il mondo,

il mio amico, non occasionale, sul pendio deserto
[di un colle] è così ostacolato nel suo cammino
che si è voltato indietro per paura;

e temo che sia già smarrito a tal punto che io
mi sia mossa troppo tardi per soccorrerlo, per
quello che ho udito riguardo lui in cielo.

Ora va', e con la tua parola convincente e con
ciò che è necessario per la sua salvezza, aiutalo,
così che io ne sia consolata.

Io, che ti faccio andare [da lui], sono Beatrice; vengo
dal luogo in cui desidero tornare (il Paradiso); è l'amore
mi ha fatto venire qui e che mi fa pronunciare queste parole.

Quando sarò davanti al mio Signore, spesso a Lui
ti loderò". Allora tacque, e cominciai io a parlare:

"O donna di virtù, grazie alle cui soltanto la specie
umana supera di tutto ciò che che è contenuto sotto il
cielo che ha la circonferenza minore,

la tua richiesta mi è così gradita, che se anche avessi
giù ubbidito mi sembrerebbe di averlo fatto tardi; non
devi fare altro che rivelarmi il tuo desiderio.

Ma dimmi il motivo per cui non temi di scendere quaggiù
(nell'inferno), dall'ampio luogo dove desideri
ardentemente tornare".

"Dal momento che vuoi sapere le cose tanto a fondo,
ti spiegherò brevemente", mi rispose, "il motivo per
cui non temo di venire qua dentro.

Si devono temere soltanto quelle cose che hanno
il potere di fare male agli altri; le altre no,
poiché non sono paurose.

Io sono resa da Dio, per sua Grazia, tale che la
vostra miseria non mi tocca, e nessuna fiamma
di questo fuoco può assalirmi.

Nel cielo c'è una donna nobile [Maria] che si
duole di questo impedimento [che frena Dante] dove io
ti mando, così che infrange il severo giudizio di Dio.

Costei chiamò Lucia a sé e le disse: - Ora il tuo
fedele ha bisogno del tuo aiuto, e io a te lo affido -.

Lucia, nemica di ogni crudeltà, si mosse e venne
là nel luogo dov'ero io, che ero seduta accanto
all'antica Rachele.

Mi disse: - Beatrice, vera lode di Dio, perché
non soccorri colui che ti amò così tanto da elevarsi
al di sopra della gente volgare?

Non senti l'angoscia del suo pianto? Non vedi la morte [spirituale]
che combatte sul fiume impetuoso [del peccato], al punto che
il mare non può vantarsi [di essere così pericoloso]? -

Al mondo non ci furono mai persone tanto veloci a
perseguire il proprio vantaggio o a fuggire il proprio
danno, quanto io, dopo aver udito quelle parole,

venni quaggiù dal mio seggio beato, affidandomi alle
tua nobile eloquenza che onora te e coloro che
l'hanno ascoltata".

Dopo che mi ebbe detto questo, rivolse a me i suoi occhi luminosi e in lacrime, il che mi indusse a
venire [da te] quanto prima;

e venni da te proprio come lei volle; ti soccorsi
da quella belva che ti impedì di proseguire sul
percorso più breve per salire sul bel colle.

Dunque: cosa c'è? Perché, perché esiti? Perché
coltivi tanta viltà nel cuore? Perché non
hai coraggio e sicurezza,

dal momento che queste tre donne benedette
si prendono cura di te nella corte celeste
e le mie parole ti promettono un bene così grande?»

Come dei fiorellini chiusi e piegati dal gelo
notturno, dopo che il sole li illumina, si risollevano
tutti aperti sul loro stelo,

così feci io con la mia debolezza d'animo [risollevandola],
e al cuore mi venne tanto energico coraggio che
cominciare a dire, come una persona sicura di sé:

«Oh quant'è pietosa la donna che mi soccorse! E
quanto sei cortese tu che subito ubbidisti alle parole
di verità che ti rivolse!

Tu, hai reso il mio cuore desideroso di venire
[con te], grazie alle tue parole, al punto
che sono tornato al mio primo proposito.

Ora va', poiché entrambi abbiamo un'unica
volontà: tu sei la mia guida, il mio signore,
il mio maestro». Così gli dissi, e dopo che si fu avviato,

intrapresi il percorso difficile e selvaggio.



Riassunto


Nei versi 1-9 del secondo canto dell'Inferno, Dante si trova alla sera, inquieto e angosciato, al pensiero del viaggio che lo attende. Qui invoca le Muse, chiedendo il loro sostegno, affinché lo aiutino a usare al meglio ingegno e memoria per descrivere l'esperienza ultraterrena che si accinge a narrare.
Nei versi 10-42, Dante esprime a Virgilio tutte le sue incertezze, sentendosi indegno di intraprendere un cammino tanto importante. Si paragona ad Enea e a San Paolo, che ebbero il privilegio di accedere all'aldilà per ragioni nobili: Enea per gettare le basi di Roma, futura sede dell'Impero e della Chiesa, e San Paolo per rafforzare la fede cristiana. Dante, al contrario, non percepisce in sé meriti così elevati e teme che il suo viaggio possa addirittura essere interpretato come una presunzione.
Nella sezione dei versi 43-74, Virgilio risponde alla riluttanza di Dante rimproverandolo per la sua mancanza di coraggio e spiegandogli il motivo della missione. Gli rivela che Beatrice, mossa dalla preoccupazione per l'anima del poeta, è scesa nel Limbo per chiedere a Virgilio di guidarlo e proteggerlo.
Nei versi 75-114, Virgilio aggiunge che Beatrice gli ha raccontato come la Vergine Maria stessa, attraverso Santa Lucia, l'abbia incaricata di salvare Dante. Beatrice, grazie alla sua natura divina, è immune ai pericoli dell'Inferno e può quindi intercedere senza paura per il poeta smarrito.
Infine, nei versi 115-142, il racconto di Virgilio ispira in Dante una nuova determinazione. Con la consapevolezza di avere il sostegno di tre figure celesti, Dante mette da parte i timori, riprendendo con rinnovato entusiasmo la volontà di proseguire il viaggio al fianco di Virgilio.

Curiosità: La celebre espressione «Io era tra color che son sospesi», presente nel v. 52, è entrata nel linguaggio comune, assumendo il significato di "trovarsi in una condizione di incertezza." Tuttavia, nella Commedia Dante la usa per indicare le anime del Limbo: spiriti senza pena ma anche senza la gioia della visione divina.


Figure Retoriche


13. «di Silvio il parente»: Perifrasi per indicare Enea e Anastrofe
14-15. «ad immortale / secolo»: Enjambement
16. «l'avversario d'ogne male»: Perifrasi per indicare Dio
53. «beata e bella»: Allitterazione
56. «soave e piana»: Endiadi
123. «ardire e franchezza»: Endiadi


Personaggi Principali


Nel secondo canto dell'Inferno, oltre a Dante e Virgilio, già protagonisti del primo canto, vengono introdotte tre figure femminili: Beatrice, amata e celebrata da Dante nella Vita Nova, Santa Lucia e la Vergine Maria. In questo contesto, Dante si confronta anche con le figure di Enea e San Paolo, entrambi distinti per aver compiuto un viaggio nell'aldilà. Questi riferimenti suscitano in Dante una certa inquietudine, poiché avverte la grandezza di questi precedenti esempi: Enea visitò gli inferi come parte del destino che lo portò alla fondazione di Roma, mentre San Paolo intraprese il viaggio ultraterreno per diffondere il messaggio cristiano.

Le tre donne benedette

Virgilio conforta Dante, che si sente indegno di intraprendere il suo viaggio, spiegandogli che è stato proprio il volere di tre figure celesti a spingerlo verso il cammino di redenzione. La Vergine Maria, Santa Lucia e Beatrice rappresentano ciascuna una diversa manifestazione della Grazia divina: Maria incarna la Grazia preveniente, un dono elargito da Dio senza condizioni; Santa Lucia simboleggia la Grazia illuminante, quella che permette agli uomini di distinguere il bene dal male; Beatrice rappresenta la Grazia cooperante o santificante, il supporto che permette all'uomo di operare per il bene. In modo speculare, queste tre donne si contrappongono alle tre fiere che, nel primo canto, ostacolano il percorso di Dante simboleggiando i vizi che impediscono la salvezza.

La figura di Beatrice

Beatrice, che nel secondo canto compare come figura salvifica, è già stata celebrata da Dante nella Vita Nova e ritornerà nella Commedia, ricoprendo un ruolo centrale nei canti finali del Purgatorio e lungo tutto il Paradiso. Secondo le fonti più attendibili, si tratterebbe di Bice Portinari, figlia del banchiere Folco Portinari, nata nel 1266 e morta nel 1290 a soli ventiquattro anni. Nella Commedia, Beatrice incarna un valore più alto rispetto a quello lirico attribuitole nelle opere giovanili di Dante: qui assume un ruolo allegorico come rappresentazione della Teologia e della Verità rivelata, le quali conducono l'uomo alla fede, alla speranza e alla carità, e infine alla salvezza eterna.

Beatrice e la Grazia santificante

Nella struttura narrativa, Beatrice motiva Virgilio a soccorrere Dante, ma assume anche un significato più profondo: è la rappresentazione della Grazia santificante, che anticipa lo scopo ultimo del viaggio dantesco. La sola ragione (Virgilio) non può completare il percorso di redenzione, poiché solo attraverso la Teologia e la Grazia l'uomo può giungere alla piena conoscenza di Dio; senza queste, ogni tentativo di purificazione morale risulta vano.


Temi Principali


Il secondo canto dell'Inferno si apre con un'invocazione alle Muse e una dichiarazione di intenti: descrivere il viaggio tra le anime dannate. Questo canto ha dunque una funzione introduttiva per la cantica dell'Inferno, così come il primo canto introduce l'intera Commedia. Seguendo la tradizione classica, Dante si rivolge a tutte le Muse, sottolineando la necessità di attingere a ogni arte per affrontare il suo arduo compito.

Le Muse, figlie di Zeus e Mnemosine, sono nove divinità minori che proteggono le arti e le scienze. Ciascuna ha un ruolo specifico: Calliope ispira la poesia epica, Clio la storia, Erato la poesia amorosa, Euterpe la poesia lirica, Melpomene la tragedia, Polimnia il canto sacro, Tersicore la danza, Talia la poesia comica e Urania l'astronomia. Mentre i poeti epici invocano generalmente solo Calliope, Dante si rivolge a tutte loro, esprimendo così il bisogno di un aiuto universale. Egli invoca anche il proprio «alto ingegno» (v. 7), evidenziando come la creazione poetica sia il risultato dell'ingegno personale e della maestria retorica.

Dante si scontra però con un ostacolo interiore: il dubbio sulla propria adeguatezza per compiere il viaggio. Mentre nel primo canto incontra impedimenti tangibili, rappresentati dalle tre fiere simboliche, qui la difficoltà è interna: il timore di non essere all'altezza. Il confronto con figure illustri come Enea e San Paolo, che hanno intrapreso viaggi simili nell'aldilà, accresce in lui il senso di inadeguatezza. Entrambi, infatti, hanno avuto missioni di enorme rilevanza per l'umanità, essendo rispettivamente legati alla nascita dell'Impero romano e alla diffusione del Cristianesimo. Dante si sente insignificante al confronto, come evidenziato nel celebre verso 32: «Io non Enea, io non Paulo sono».

Tuttavia, Dante è scelto dalla grazia divina (rappresentata dalle tre donne benedette) per completare una missione altrettanto importante: rivelare agli uomini ciò che ha visto, affinché possano ritrovare la «diritta via» e avviare un percorso di redenzione. In questo modo, Dante si unisce alla triade di coloro che hanno avuto accesso all'aldilà per il bene dell'umanità.

Dante è un eroe diverso: non un guerriero come Enea, né un missionario come San Paolo, ma un poeta che, grazie al proprio ingegno, ha saputo distinguersi dalla massa («de la volgare schiera», v. 105), diventando così un modello da seguire.

È interessante notare che le Muse erano chiamate anche Eliconie (dal monte Elicona, loro dimora) o Pieridi (dal loro luogo di nascita, la Pieria ai piedi dell'Olimpo).


Analisi ed Interpretazioni


Il secondo canto dell'Inferno, primo effettivo della cantica, si apre con il proemio, dove Dante enuncia il tema e invoca l'aiuto delle Muse, chiedendo loro di assisterlo nel racconto del viaggio nell'Oltretomba. A differenza dei proemi delle altre due cantiche, nei quali Dante invoca specificamente Calliope e Apollo, qui l'invocazione alle Muse è più generica, concepita come una manifestazione di ispirazione divina, e indica l'intenzione di descrivere in maniera fedele le visioni del suo cammino.

Il canto è strutturato in tre parti. Nella prima, Dante esprime dubbi e timori per il viaggio, che emergono con il calare della sera. Sente di non essere all'altezza di questa missione e richiama gli esempi di Enea, sceso nell'Ade per incontrare il padre Anchise, e di San Paolo, salito al terzo cielo. Questi due esempi sono fondamentali nella tradizione classico-cristiana: Enea è legato alla fondazione di Roma e quindi alla futura sede del Papato, mentre San Paolo, apostolo centrale del Cristianesimo, è noto per aver fissato i primi fondamenti teologici della fede. Il paragone con questi due protagonisti dell'aldilà lo riempie di incertezza e timore, e Dante considera il suo viaggio come potenzialmente pericoloso e folle, forse causato dalla sua condizione di "smarrito nella selva oscura".

Virgilio lo rimprovera per la sua viltà, sostenendo che non deve temere poiché il viaggio è voluto da Dio. Per rassicurarlo, racconta di come Beatrice, simbolo di grazia divina e verità rivelata, gli abbia chiesto aiuto per salvare Dante. Beatrice è presentata con le caratteristiche della "donna-angelo" tipiche dello Stilnovo e usa parole persuasive per convincere Virgilio ad assistere Dante. In quanto emblema della grazia, Beatrice è indispensabile per completare la missione di Dante, poiché la ragione umana rappresentata da Virgilio non può condurre l'uomo alla salvezza eterna senza l'aiuto divino.

Nella narrazione, Beatrice descrive come sia stata intercessa da Santa Lucia, su incarico della Vergine Maria, per soccorrere Dante, con Lucia vista da alcuni commentatori come simbolo della grazia illuminante. La presenza di queste figure femminili sottolinea che il viaggio di Dante è voluto da Dio e rassicura ulteriormente il poeta, che inizia così a sciogliere i suoi dubbi.

Infine, l'immagine di Beatrice, con il suo amore e la sua compassione, stimola Dante ad abbandonare le sue paure. Alla fine del canto, Dante si sente pronto a proseguire il viaggio, come un fiore che si riapre dopo la notte, simbolo del suo rinnovato coraggio e fiducia nella guida di Virgilio.


Passi Controversi


Nel secondo canto dell'Inferno, Dante utilizza riferimenti e richiami a opere classiche, a partire dai versi 1-3 che riecheggiano passi virgiliani dell'Eneide, come quelli di III, 147 ("Nox erat, et terris animalia somnus habebat") e altri in IV e VIII. Nel verso 13 si fa riferimento a Enea come padre di Silvio, figlio di Lavinia, mentre l'"avversario d'ogne male" (v. 16) allude chiaramente a Dio. Più avanti, nei versi 18-19, Dante attribuisce a Enea qualità e meriti tali da renderlo degno del privilegio di discendere agli Inferi.

San Pietro, menzionato come "il maggior Piero" (v. 24), è il primo papa, mentre il suo "successor" indica il pontefice in carica a Roma. Con l'espressione "vas d'elezione" (v. 28), Dante si riferisce a san Paolo, designato in Atti degli Apostoli IX, 15 come "strumento scelto" (vas electionis), e richiama il viaggio in cielo narrato da Paolo stesso in II Corinzi XII, 2-4, dove descrive di essere stato rapito al Terzo Cielo.

Il verso 35, costruito con "temo che... non", segue una costruzione latina (timeo ne) che ricompare anche al verso 64. Al verso 44 "ombra" si presenta come un sostantivo e fa rima con "ombra" (v. 48), qui usato come verbo. Alcuni commentatori ritengono che la "stella diana" (v. 55) faccia riferimento a Venere, paragonata allo splendore di Beatrice, anche se l'espressione potrebbe avere un significato generico. È interessante notare che Beatrice afferma, nel verso 60, che la fama di Virgilio durerà fintanto che esisterà il mondo; qui "lontana" è usato come aggettivo.

Nel verso 61, l'espressione "l'amico mio, e non de la ventura" indica un amore sincero e privo di interesse. Quando Virgilio parla del "ciel c'ha minor li cerchi sui" (v. 78), si riferisce al cielo della Luna, il più basso e vicino alla Terra, oltre il quale si trova il mondo materiale. Alcuni manoscritti riportano al verso 81 la variante "più non t'è uopo aprirmi il tuo talento" ("non è più necessario che tu esprima il tuo desiderio"), essendo che Beatrice ha già esplicitato la sua richiesta a Virgilio, ma tale lezione viene di solito tralasciata come troppo semplice.

I versi 88-90 contengono un riferimento al principio aristotelico trasmesso a Dante attraverso san Tommaso d'Aquino e riguardano le paure iniziali di Dante, ritenute infondate. Il verso 96 rimanda a Maria e alla sua propensione a intercedere per i fedeli presso Dio. Beatrice tornerà al suo posto accanto a Rachele, tra i beati, come indicato nel Paradiso (Par., XXXI, 52 ss.; cfr. anche XXXII, 7-9).

Il verso 108 ("su la fiumana ove 'l mar non ha vanto") ha suscitato varie interpretazioni: letteralmente, significa "sul fiume, dove il mare non ha potere", cioè alla foce, ma può essere letto in chiave allegorica come riferimento al fiume del peccato. Qui la corrente è più impetuosa presso la foce, e Lucia, descrivendo Dante travolto dal peccato, ne sottolinea il rischio di dannazione. Il termine "volse" nei versi 116 e 118 gioca su due significati: "volgere" e "volere". La "fiera" menzionata da Virgilio (v. 119) è la lupa, che compariva già nel canto I, mentre nei versi 121-123 Virgilio esorta Dante con un appello ripetuto, sottolineato dall'anafora "Perché?".

Fonti: libri scolastici superiori

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