Parafrasi e Analisi: "Canto XIX" - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XIX dell'Inferno rappresenta uno dei momenti più significativi della Commedia, in cui Dante affronta con particolare intensità il tema della corruzione ecclesiastica. Qui si denuncia la simonia, ovvero il commercio illecito di beni spirituali e cariche religiose, condannato come un grave tradimento nei confronti della missione della Chiesa. L'autore si scaglia con forza contro coloro che, abusando del loro ruolo spirituale, hanno asservito il sacro al profitto materiale. La riflessione di Dante, intrisa di indignazione morale e guidata da una profonda visione etica, si intreccia con la critica politica e religiosa, denunciando il degrado di un'istituzione che avrebbe dovuto rappresentare la guida spirituale dell'umanità. Questo canto si configura come un grido di denuncia contro la distorsione del potere sacro, offrendo al lettore un'analisi lucida e coraggiosa dei mali del suo tempo.


Testo e Parafrasi


O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci

per oro e per argento avolterate,
or convien che per voi suoni la tromba,
però che ne la terza bolgia state.

Già eravamo, a la seguente tomba,
montati de lo scoglio in quella parte
ch'a punto sovra mezzo 'l fosso piomba.

O somma sapïenza, quanta è l'arte
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
e quanto giusto tua virtù comparte!

Io vidi per le coste e per lo fondo
piena la pietra livida di fóri,
d'un largo tutti e ciascun era tondo.

Non mi parean men ampi né maggiori
che que' che son nel mio bel San Giovanni,
fatti per loco d'i battezzatori;

l'un de li quali, ancor non è molt'anni,
rupp'io per un che dentro v'annegava:
e questo sia suggel ch'ogn'omo sganni.

Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
d'un peccator li piedi e de le gambe
infino al grosso, e l'altro dentro stava.

Le piante erano a tutti accese intrambe;
per che sì forte guizzavan le giunte,
che spezzate averien ritorte e strambe.

Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
muoversi pur su per la strema buccia,
tal era lì dai calcagni a le punte.

«Chi è colui, maestro, che si cruccia
guizzando più che li altri suoi consorti»,
diss'io, «e cui più roggia fiamma succia?».

Ed elli a me: «Se tu vuo' ch'i' ti porti
là giù per quella ripa che più giace,
da lui saprai di sé e de' suoi torti».

E io: «Tanto m'è bel, quanto a te piace:
tu se' segnore, e sai ch'i' non mi parto
dal tuo volere, e sai quel che si tace».

Allor venimmo in su l'argine quarto;
volgemmo e discendemmo a mano stanca
là giù nel fondo foracchiato e arto.

Lo buon maestro ancor de la sua anca
non mi dipuose, sì mi giunse al rotto
di quel che si piangeva con la zanca.

«O qual che se' che 'l di sù tien di sotto,
anima trista come pal commessa»,
comincia' io a dir, «se puoi, fa motto».

Io stava come 'l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch'è fitto,
richiama lui per che la morte cessa.

Ed el gridò: «Se' tu già costì ritto,
se' tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.

Se' tu sì tosto di quell'aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a 'nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?».

Tal mi fec'io, quai son color che stanno,
per non intender ciò ch'è lor risposto,
quasi scornati, e risponder non sanno.

Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:
"Non son colui, non son colui che credi"»;
e io rispuosi come a me fu imposto.

Per che lo spirto tutti storse i piedi;
poi, sospirando e con voce di pianto,
mi disse: «Dunque che a me richiedi?

Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto,
che tu abbi però la ripa corsa,
sappi ch'i' fui vestito del gran manto;

e veramente fui figliuol de l'orsa,
cupido sì per avanzar li orsatti,
che sù l'avere e qui me misi in borsa.

Di sotto al capo mio son li altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
per le fessure de la pietra piatti.

Là giù cascherò io altresì quando
verrà colui ch'i' credea che tu fossi,
allor ch'i' feci 'l sùbito dimando.

Ma più è 'l tempo già che i piè mi cossi
e ch'i' son stato così sottosopra,
ch'el non starà piantato coi piè rossi:

ché dopo lui verrà di più laida opra,
di ver' ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.

Novo Iasón sarà, di cui si legge
ne' Maccabei; e come a quel fu molle
suo re, così fia lui chi Francia regge».

Io non so s'i' mi fui qui troppo folle,
ch'i' pur rispuosi lui a questo metro:
«Deh, or mi dì: quanto tesoro volle

Nostro Segnore in prima da san Pietro
ch'ei ponesse le chiavi in sua balìa?
Certo non chiese se non "Viemmi retro".

Né Pier né li altri tolsero a Matia
oro od argento, quando fu sortito
al loco che perdé l'anima ria.

Però ti sta, ché tu se' ben punito;
e guarda ben la mal tolta moneta
ch'esser ti fece contra Carlo ardito.

E se non fosse ch'ancor lo mi vieta
la reverenza de le somme chiavi
che tu tenesti ne la vita lieta,

io userei parole ancor più gravi;
ché la vostra avarizia il mondo attrista,
calcando i buoni e sollevando i pravi.

Di voi pastor s'accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l'acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;

quella che con le sette teste nacque,
e da le diece corna ebbe argomento,
fin che virtute al suo marito piacque.

Fatto v'avete dio d'oro e d'argento;
e che altro è da voi a l'idolatre,
se non ch'elli uno, e voi ne orate cento?

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!».

E mentr'io li cantava cotai note,
o ira o coscïenza che 'l mordesse,
forte spingava con ambo le piote.

I' credo ben ch'al mio duca piacesse,
con sì contenta labbia sempre attese
lo suon de le parole vere espresse.

Però con ambo le braccia mi prese;
e poi che tutto su mi s'ebbe al petto,
rimontò per la via onde discese.

Né si stancò d'avermi a sé distretto,
sì men portò sovra 'l colmo de l'arco
che dal quarto al quinto argine è tragetto.

Quivi soavemente spuose il carco,
soave per lo scoglio sconcio ed erto
che sarebbe a le capre duro varco.

Indi un altro vallon mi fu scoperto.
O Simon mago, o miseri seguaci che i beni (le cose) di
Dio, che dovrebbero (deon) essere uniti (spose) solo a chi è buono
(di bontate), mentre invece (e) voi, avidi (rapaci)

li scambiate illecitamente (avolterate = adulterate) con oro e
argento, ora è necessario (convien) che per voi suoni la tromba,
poiché vi trovate nella terza bolgia.

Giunti alla bolgia (tomba) successiva, eravamo ormai saliti
(montati) in quel punto del ponte (scoglio) che cade a perpendicolo
(piomba) esattamente (a punto) sopra il centro (sovra mezzo) del fossato.

O somma sapienza divina, quanto grande (quanta) è l'arte che dimostri (mostri)
in cielo, in terra e nell'Inferno (mal mondo), e come giustamente (quanto
giusto) la tua potenza (virtù) distribuisce premi e castighi (comparte)!

Lungo le pareti (coste) e sul fondo vidi la scura
(livida) pietra piena di buche (fóri), tutte circolari
e della stessa larghezza (d'un largo).

Non mi sembravano né meno larghe (men ampi) né più grandi (maggiori) di quelle
(che que') che si trovano nel mio bel (battistero di) San Giovanni, costruite
(fatti) con funzione (per loco) di fonti battesimali (battezzatori);

una delle quali, non molto tempo fa (ancor non è molt'anni), dovetti rompere
io per (salvare) uno che vi stava affogando; e sia questa la testimonianza
(suggel) che toglie dal dubbio (sganni) chiunque (ogn'omo).

Fuori dall'orlo (bocca) di ciascuna buca (a ciascun) sporgevano
(soperchiava) i piedi e le gambe fino alla coscia (al grosso) di un
peccatore, mentre (e) il resto del corpo (l'altro) stava dentro.

Entrambe le piante dei piedi erano ardenti (accese); per cui le articolazioni
del ginocchio (le giunte) scalciavano (guizzavan) così forte che avrebbero
potuto spezzare (spezzate averien) legami (ritorte) e funi (strambe).

Come la fiamma (il fiammeggiar) (che brucia) le cose unte è solita (suole)
lambire (muoversi... su per) solo (pur) la superficie (buccia) esterna (strema),
tale era (il fiammeggiare) sui piedi dei dannati (lì), dai calcagni alle punte.

«Chi è quello, maestro, che esprime il proprio dolore (si cruccia) dimenandosi
(guizzando) più degli altri suoi compagni di pena (consorti)», dissi io, «e
che è arso (succia) da una fiamma più rossa (roggia)?».

Ed egli a me: «Se vuoi che ti porti laggiù lungo (per) il pendio (ripa)
meno ripido (che più giace), saprai direttamente da
lui chi è (di sé) e i suoi peccati (torti)».

Ed io: «Tutto ciò che piace a te mi è gradito (m'è bel): tu sei
il signore, e sai che io non mi discosto (mi parto) dal tuo volere,
e conosci anche ciò che non dico (quel che si tace)».

Così giungemmo al quarto argine; scendemmo girando verso
sinistra (a mano stanca) nel fondo pieno
di buche e stretto (arto).

Virgilio non mi depose (dipuose) ancora dal suo fianco (de la
sua anca) finché (sì) non mi ebbe avvicinato (mi giunse) alla
buca (rotto) di quello che piangeva agitando le gambe (con la zanca).

«Chiunque tu sia, che tieni di sotto la parte superiore del corpo
('l di sù), anima misera conficcata (commessa) come un palo»,
cominciai a dire, «parla (fa motto), se puoi».

Io stavo nella posizione del frate che confessa l'empio (perfido) sicario
(assessin), il quale, dopo essere stato confitto nella buca (poi ch'è fitto),
lo chiama indietro per rinviare (cessa) la propria morte.

Ed egli gridò: «Sei proprio qui (costì ritto), sei proprio qui,
Bonifacio? Il libro del futuro (lo scritto)
mi ha mentito di parecchi anni.

Ti sei saziato (Se'... sazio) così presto (sì tosto) di quelle ricchezze
(aver) per le quali non hai avuto timore (non temesti) di sposare con l'inganno
(tòrre a 'nganno) la Chiesa (la bella donna) e poi di disonorarla (farne strazio)?».

Io divenni (mi fec'io) come (quai son) coloro che, non comprendendo (per non intender)
ciò che viene detto loro, rimangono (stanno) confusi (quasi scornati)
e non sanno che cosa rispondere.

Allora Virgilio disse: «Digli (Dilli) subito: "Non sono quello,
non sono quello che tu credi"»; ed io risposi come mi fu
ordinato (imposto).

Per cui lo spirito torse completamente (tutti) i piedi; poi,
sospirando e con la voce rotta dal pianto, mi disse: «Che cosa
mi vuoi chiedere, dunque?

Se ti importa (ti cal) sapere chi io sia, al punto (cotanto) da aver
(che tu abbi) disceso (corsa) per questo (però) il pendio infernale
(ripa), sappi che io rivestii (fui vestito) il gran manto papale;

e appartenni alla famiglia (fui figliuol) degli Orsini (de l'orsa), così avido di
ricchezze (cupido) per favorire (per avanzar) i miei congiunti (li orsatti),
che in terra (sù) misi nella borsa le ricchezze (l'avere) e in questa bolgia (qui) me stesso.

Sotto la mia testa, appiattiti (piatti) nelle fessure della roccia,
sono stati trascinati giù (tratti) gli altri (pontefici) che,
colpevoli di simonia (simoneggiando), mi hanno preceduto.

Là in basso io verrò spinto (cascherò) a mia volta (altresì) quando
arriverà colui che credevo tu fossi, quando ti ho rivolto
quell'improvvisa ('l sùbito) domanda (dimando).

Ma già è più lungo (più è) il tempo che sono stato con i piedi di fuori bruciati
(che i piè mi cossi) e così capovolto (così sottosopra) di quanto dovrà rimanerci
piantato con i piedi bruciati (coi piè rossi) lui (Bonifacio VIII):

poiché dopo di lui verrà uno, originario di un paese occidentale (di ver' ponente),
dal comportamento ancora più abominevole (di più laida opra), un pastore
senza legge così corrotto (tal) che è giusto (convien) che ricopra (ricuopra) lui e me.

Sarà un nuovo Giasone, di cui si legge nel libro dei Maccabei; e come verso
quello fu accondiscendente (molle) il suo re, così si mostrerà debole nei
confronti di costui (così fia lui) il re di Francia (chi Francia regge)».

Non so se in questa occasione (qui) fui troppo temerario (folle), dal momento
che continuai a parlargli (ch'i' pur rispuosi lui) in questo tono (a
questo metro): «Dimmi ora (or mi dì): quanto denaro (tesoro) chiese (volle)

Nostro Signore a san Pietro prima di (in prima... ch') affidargli (ponesse...
in sua balìa) le chiavi (del cielo)? Non chiese nulla in
cambio se non "Seguimi (Viemmi retro)".

Né Pietro né gli altri (apostoli) chiesero in cambio (tolsero)
oro o argento a Mattia, quando questi fu sorteggiato (sortito)
per prendere il posto (loco) perduto (che perdé) da Giuda (l'anima ria).

Perciò rimani dove sei (ti sta), poiché sei giustamente dannato (ché tu se'
ben punito); e custodisci (guarda) bene il denaro indebitamente ricevuto
(la mal tolta moneta) che ti consentì di opporti (ti fece... ardito) a Carlo d'Angiò.

E se non fosse che me lo proibisce (lo mi vieta) ancora il rispetto
(reverenza) che ho per la dignità papale (de le somme chiavi) che tu
rivestisti (tenesti) nella vita terrena (vita lieta),

userei parole ancora più dure (gravi); poiché la cupidigia (avarizia) di
voi pontefici (vostra) avvilisce (attrista) il mondo, calpestando
(calcando) i meritevoli (buoni) e premiando (sollevando) i malvagi (pravi).

Previde (s'accorse) questo atteggiamento negativo dei pontefici (di voi pastor)
l'Evangelista (il Vangelista), quando ebbe in visione (a lui fu vista) colei
che siede sopra le acque (la Roma papale) prostituirsi (puttaneggiar) con i principi terreni (regi);

proprio colei (quella) che nacque con sette teste e ricevette
sostegno (ebbe argomento) dalle dieci corna finché il marito (=
il papa) amò (piacque) la virtù (virtute).

Avete fatto idoli (dio) dell'oro e dell'argento; e che differenza
c'è (che altro è) tra voi e gli idolatri (l'idolatre), se non che essi
[ne adorano] uno soltanto e voi ne adorate (ne orate) cento?

Ahi Costantino, di quanto male fu origine (matre) non la tua
conversione, ma quella donazione (dote) che da te ricevette il
primo pontefice (patre) che divenne ricco!».

E mentre io gli (li) dicevo chiaramente (cantava) tali cose
(note), egli, che fosse colpito (che 'l mordesse) dall'ira o dalla
coscienza sporca, scalciava (spingava) forte con le gambe (con ambo le piote).

Sono certo (credo ben) che ciò fosse gradito (piacesse) alla mia
guida, che seguì attentamente (attese) con volto sereno (contenta labbia)
il suono delle parole veritiere (vere) da me pronunciate (espresse).

Perciò mi cinse (mi prese) con entrambe le braccia; e dopo
avermi sollevato (tutto su mi s'ebbe) al petto, risalì lungo la via
da cui era disceso.

E non si stancò di tenermi così stretto (d'avermi a sé distretto)
finché (sì) non mi ebbe condotto sulla sommità (sovra 'l colmo) del ponticello
(arco) che è punto di passaggio (è tragetto) dal quarto al quinto argine.

Là depose (spuose) delicatamente il carico (carco), dolce per lui (da portare)
lungo (per) il ponte disagevole (sconcio) e ripido (erto) che avrebbe
costituito un passaggio (varco) difficile (duro) anche per le capre.

Di lì (Indi) mi fu possibile vedere (mi fu scoperto) un'altra bolgia (vallon).



Riassunto


L'inizio del canto (vv. 1-30)
Il canto si apre con un'invettiva di Dante contro Simon Mago e i suoi seguaci, i simoniaci, accusati di aver mercificato beni e cariche sacre. Dal ponte che sovrasta la terza bolgia, Dante osserva il fondo disseminato di buche, in ciascuna delle quali i dannati sono conficcati a testa in giù. Le loro gambe sporgono all'esterno fino ai polpacci, e le piante dei piedi sono bruciate da fiamme ardenti.

L'incontro con papa Niccolò III (vv. 31-87)
Dante nota un dannato che si agita con più intensità degli altri, scalciando nervosamente le gambe. Incuriosito, si avvicina a lui insieme a Virgilio, che lo accompagna fino alla buca. Interrogato, il dannato scambia Dante per papa Bonifacio VIII, che presto dovrà prendere il suo posto tra i simoniaci. Niccolò III, il dannato in questione, accusa Bonifacio di essere corrotto e si stupisce del suo arrivo anticipato all'Inferno, poiché la sua morte è prevista per il 1303, mentre il viaggio di Dante si svolge nell'anno giubilare 1300. Dopo aver chiarito l'equivoco, Niccolò III ammette la propria identità e rivela che sotto di lui sono puniti altri papi colpevoli di simonia. Egli stesso verrà spinto più in basso quando Bonifacio prenderà il suo posto, e quest'ultimo sarà a sua volta sostituito da Clemente V, ancora più colpevole per essere stato eletto grazie alle pressioni del re di Francia.

Dura condanna alla corruzione ecclesiastica (vv. 88-117)
Sconvolto da ciò che ha sentito, Dante lancia un'invettiva contro la cupidigia e la decadenza morale della Chiesa. Secondo lui, questa corruzione ha avuto origine dalla "Donazione di Costantino", che avrebbe dato il via all'ambizione e all'avidità dei papi.

Verso la prossima bolgia (vv. 118-133)
Le parole di Dante provocano la rabbia di papa Niccolò, che reagisce scalciando violentemente. Virgilio, silenzioso ma soddisfatto dell'indignazione del suo discepolo, prende Dante tra le braccia e lo aiuta a risalire dal fondo della bolgia, conducendolo verso il ponte che porta alla bolgia successiva.


Figure Retoriche


v. 2: "Le cose di Dio": Metonimia. L'autore per l'opera, cioè al posto di dire "le cose sante".
v. 6: "Che ne la terza bolgia state": Anastrofe.
v. 7: "A la seguente tomba": Anastrofe.
v. 8: "De lo scoglio": Sineddoche. La parte per il tutto, s'intende il "ponte roccioso".
v. 10: "O somma sapienza": Apostrofe.
v. 14: "Piena la pietra livida di fóri": Anastrofe.
v. 15: "D'un largo tutti": Anastrofe.
vv. 23-24: "Li piedi e de le gambe infino al grosso": Climax Ascendente.
v. 27: "Ritorte e strambe": Endiadi.
vv. 28-30: "Qual suole il fiammeggiar de le cose unte muoversi pur su per la strema buccia, tal era lì dai calcagni a le punte": Similitudine.
v. 38: "Tu se' segnore, e sai": Allitterazione della "s".
v. 47: "Anima trista come pal commessa": Similitudine.
vv. 49-51: "Io stava come 'l frate che confessa lo perfido assessin, che, poi ch'è fitto, richiama lui, per che la morte cessa": Similitudine.
v. 57: "La bella donna": Perifrasi. Per indicare la chiesa.
vv. 58-60: "Tal mi fec'io, quai son color che stanno, per non intender ciò ch'è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno": Similitudine.
v. 62: "Non son colui, non son colui": Anadiplosi.
v. 67: "Se di saper": Ellissi.
v. 72: "Qui me misi in borsa": Metafora.
vv. 86-87: "E come a quel fu molle suo re, così fia lui chi Francia regge": Similitudine.
vv. 91-92: "In prima da san Pietro ch'ei ponesse le chiavi": Anastrofe.
v. 96: "Al loco che perdé": Anastrofe.
v. 96: "L'anima ria": Perifrasi. Per indicare l'anima malvagia, Giuda.
v. 101: "Delle somme chiavi": Perifrasi. Per indicare la Chiesa.
v. 107: "Colei che siede sopra l'acque": Perifrasi. Per indicare la Chiesa.
v. 111: "Al suo marito": Perifrasi. S'intende il marito della Chiesa, ovvero il papa.
v. 112: "Fatto v'avete": Anastrofe.
v. 117: "Il primo ricco patre": Perifrasi.


Analisi ed Interpretazioni


Il Canto XIX della Divina Commedia è interamente dedicato alla III Bolgia dell'Inferno, dove sono puniti i simoniaci, coloro che hanno mercanteggiato beni spirituali, come cariche ecclesiastiche e indulgenze. Questa pena, che consiste nell'essere conficcati a testa in giù in buche circolari dalle quali spuntano solo le gambe, è accompagnata da fiamme che bruciano le piante dei piedi, infliggendo sofferenza ai dannati. Il contrappasso simboleggia, probabilmente, la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli in forma di fiamma, come raccontato negli Atti degli Apostoli, e l'azione di Simon Mago che tentò di acquistare il potere di conferire lo Spirito Santo.

Il protagonista del Canto è papa Niccolò III, appartenente alla nobile famiglia Orsini, che appare particolarmente tormentato dalla pena inflitta, mostrando segni di maggiore sofferenza rispetto agli altri dannati. Il dialogo tra lui e Dante avviene in un contesto grottesco e comico, in cui Dante paragona se stesso a un frate che sta confessando un condannato a morte, con un allusivo rovesciamento dei ruoli. Un altro espediente narrativo è l'equivoco che scaturisce quando Niccolò, non vedendo Dante, lo scambia per Bonifacio VIII, pensando che sia venuto a sostituirlo nella buca, in quanto sa che la morte di Bonifacio avverrà nel 1303, ma Dante lo incontra già nel 1300, creando così una visione profetica della sua dannazione. Questo espediente permette a Dante di predire la sorte eterna di Bonifacio VIII e di Clemente V, due pontefici simoniaci che Dante considera responsabili della corruzione della Chiesa.

Niccolò III racconta con ironia la sua vita passata, definendo se stesso "figlio dell'orsa", in riferimento alla sua famiglia, gli Orsini, notoriamente dedita a favoritismi e atti di corruzione. Con un gioco di parole, afferma che mentre in vita aveva messo il denaro in borsa, ora si è messo nel sacco, alludendo alla sua dannazione. A questo punto, predice la condanna anche di Clemente V, che, trasferendo la sede papale da Roma ad Avignone, si sarebbe sottomesso agli interessi del re Filippo il Bello. Niccolò lo paragona a Giasone, un personaggio biblico che acquistò la carica sacerdotale con una corruzione simile a quella dei papi.

In questo Canto, Dante dà voce alla sua denuncia contro la corruzione ecclesiastica, scagliandosi contro i papi simoniaci e accusandoli di aver deviato dalla povertà evangelica per soddisfare i propri desideri materiali. In particolare, si accanisce contro Bonifacio VIII, che considera responsabile della sua esilio da Firenze, e Clemente V, che secondo Dante ha tradito gli ideali della Chiesa, mettendo la sua autorità al servizio dei sovrani francesi. La sua invettiva si estende alla "Donazione di Costantino", il documento apocrifo che attribuiva al papa il potere temporale su Roma, considerato da Dante come la radice della corruzione della Chiesa e la causa della confusione dei poteri tra la Chiesa e l'Impero. Dante condanna non solo l'autenticità di questo atto, ma anche la sua illegittimità, poiché contrasta con la povertà che Cristo aveva imposto alla Chiesa.

Lo stile di Dante in questo Canto è caratterizzato da un linguaggio potente e retorico, in cui utilizza domande retoriche, richiami biblici e un forte tono di indignazione per denunciare la corruzione che affligge la Chiesa e i suoi vertici. L'intera sequenza si chiude con Dante che, dopo aver espressamente condannato i papi simoniaci, viene sollevato da Virgilio e si prepara a proseguire il suo cammino verso la bolgia successiva, segnando così la conclusione di questa parte del viaggio.


Passi Controversi


La tromba menzionata al verso 5 potrebbe riferirsi a quella del giorno del Giudizio, sebbene alcuni commentatori ipotizzino che si tratti della tromba utilizzata dai banditori per convocare i cittadini alla lettura di decreti pubblici nelle piazze. I "battezzatori" del verso 18 si possono intendere sia come i fonti battesimali sia come i preti che amministrano il battesimo; tuttavia, la prima interpretazione appare più convincente, considerando che nel battistero di San Giovanni a Firenze vi erano anticamente fonti di forma circolare. Secondo l'Ottimo commento, Dante avrebbe spezzato uno di questi fonti per salvare un ragazzo che vi era caduto rischiando di annegare, anche se di questo episodio non vi sono altre conferme biografiche. Questo rende incerto il significato del verso 21, "e questo sia suggel ch'ogn'omo sganni".

L'espressione "infino al grosso" del verso 24 potrebbe indicare "fino al polpaccio", ma sembra più plausibile che si riferisca "fino alla coscia", dato che sono visibili le articolazioni del ginocchio dei dannati. Le "ritorte e strambe" citate si riferiscono a robuste corde realizzate con vimini e fibre vegetali. Al verso 51, l'interpretazione varia a seconda che "morte" sia soggetto o oggetto: potrebbe significare che il sicario chiama il confessore per ritardare l'esecuzione oppure per rivelare i mandanti e scongiurare la propria condanna a morte. Lo "scritto" del verso 54 è probabilmente il libro che rivela il futuro e in cui Niccolò può leggere il proprio destino, come accade a tutti i dannati. Gli "orsatti" del verso 71 sono i discendenti di Niccolò, appartenenti alla famiglia degli Orsini.

L'anima malvagia menzionata al verso 96 è Giuda, il cui posto tra gli apostoli, dopo la sua morte, fu assegnato per sorteggio a Mattia, come narrato negli Atti degli Apostoli (I, 13-26). La "mal tolta moneta" del verso 98 si riferisce probabilmente all'accusa secondo cui Niccolò avrebbe ricevuto oro dai Bizantini per fomentare la rivolta del Vespro contro Carlo I d'Angiò, anche se questa versione non trova conferme storiche. I versi 106-111 richiamano l'Apocalisse di Giovanni (XVII, 1-3), che descrive una meretrice sopra le acque seduta su una bestia con sette teste e dieci corna, simbolo dell'Impero romano. Dante riprende un'interpretazione medievale, trasformando questa figura in una rappresentazione della Chiesa corrotta dal potere temporale: le sette teste simboleggiano i sacramenti, mentre le dieci corna rappresentano i comandamenti. L'espressione "puttaneggiar coi regi" fa riferimento ai legami tra il Papato e la monarchia francese, in particolare durante il periodo della cattività avignonese. Infine, il "primo ricco patre" del verso 117 è papa Silvestro, al quale, secondo una tradizione storicamente infondata, Costantino avrebbe donato un territorio per il dominio temporale della Chiesa.

Fonti: libri scolastici superiori

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