Parafrasi, Analisi e Commento di: "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono" di Francesco Petrarca


Immagine Francesco Petrarca
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte

Scheda dell'Opera


Autore: Francesco Petrarca
Titolo dell'Opera: Rerum vulgarium fragmenta (Canzoniere)
Prima edizione dell'opera: 1374 (circa)
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Sonetto di quattordici endecasillabi (due quartine e due terzine). Schema delle rime: ABBA- ABBA- CDA – CDA.



Introduzione


L'introduzione del testo "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono" di Francesco Petrarca, sonetto che apre il Canzoniere, si rivolge a un pubblico di lettori e ascoltatori, invitandoli a immergersi nel mondo poetico dell'autore. Petrarca esprime la sua vulnerabilità e la sua ricerca di significato attraverso la poesia, creando un dialogo intimo e diretto con i suoi interlocutori. L'opera riflette il tema dell'amore, in particolare per Laura, e il tormento che questo sentimento provoca. In questo contesto, il poeta si propone di trasmettere le sue emozioni più profonde, conferendo alla sua scrittura un carattere confidenziale e riflessivo. Con uno stile raffinato e una lingua ricercata, Petrarca riesce a trasmettere la complessità dei suoi sentimenti, invitando il lettore a condividerne il percorso di scoperta e sofferenza.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
2. di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
3. in sul mio primo giovenile errore
4. quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,

5. del vario stile in ch'io piango e ragiono
6. fra le vane speranze e 'l van dolore,
7. ove sia chi per prova intenda amore,
8. spero trovar pietà, nonché perdono.

9. Ma ben veggio or sì come al popol tutto
10. favola fui gran tempo, onde sovente
11. di me medesmo meco mi vergogno;

12. e del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
13. e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
14. che quanto piace al mondo è breve sogno.
1. Presso di voi che ascoltate in poesie staccate tra loro il suono
2. di quei sospiri d'amore di cui io nutrivo il mio animo,
3. al tempo del mio primo traviamento giovanile,
4. quando in parte ero un uomo diverso da quello che sono ora,

5. (presso di voi che scoltate il suono) dei diversi stili, in cui io piango e mi esprimo
6. fra le inutili speranze e l'inutile dolore,
7. se c'è qualcuno che sappia per esperienza che cos'è l'amore,
8. spero di trovare presso di lui compassione e perdono.

9. Ma ora mi accorgo chiaramente come per tutto il popolo
10. sono stato per molto tempo oggetto di dicerie, motivo per cui spesso
11. ho vergogna di me stesso dentro di me;

12. e la vergogna è il risultato del mio vaneggiare,
13. e il pentimento e il sapere con chiarezza
14. che tutto ciò che riguarda la vita terrena è di breve durata.



Parafrasi discorsiva


Presso di voi (si tratta non di lettori reali, ma di un pubblico ideale) che ascoltate in poesie staccate tra loro (rime sparse: è la traduzione del titolo latino Rerum vulgarium fragmenta e indica sia che l'opera non ha assunto fin dall'inizio una forma organica, sia che il poeta vive continuamente un dissidio interiore) il suono di quei sospiri d'amore (dolorosi) di cui io (ond'io) nutrivo (nudriva) il mio animo (core, personificato, parola tipica della lingua poetica), al tempo del mio primo traviamento giovanile (giovenile errore: "errare" = "vagare senza meta", qui si tratta evidentemente dell'amore per Laura e, in generale, delle passioni terrene che lo hanno distolto dal suo ideale di vita), quando in parte (non del tutto, perché la passione amorosa è ancora presente) ero un uomo diverso da quello che sono, ora, (presso di voi che ascoltate il suono) dei diversi stili (riprende l'iniziale rime sparse, indicando una discontinuità nello stile delle diverse poesie), in cui io piango (per il pentimento per l'errore di gioventù) e mi esprimo (ragiono) fra le inutili speranze e l'inutile dolore (speranze e dolori sono i due poli opposti tra cui oscilla l'animo del poeta), se c'è qualcuno che sappia (intenda) per esperienza (prova) che cos'è l'amore, spero di trovare presso di lui compassione oltre che (nonchè) perdono. Ma ora mi accorgo chiaramente (ben veggio or) come per tutto il popolo sono stato per molto tempo oggetto di dicerie (favola fui gran tempo), motivo per cui spesso (sovente) ho vergogna di me stesso (me medesmo) dentro di me (meco, latinismo, lett. "con me": da notare la forte allitterazione di ME con poliptoto del pronome personale di prima persona a sottolineare che l'io lirico è il vero protagonista del sonetto); e la vergogna è il risultato del mio comportamento insensato (vaneggiar), e il pentimento e il sapere con chiarezza che tutto ciò che riguarda la vita terrena (mondo, contrapposto all'aldilà, alla vita ultraterrena) è di breve durata ed illusorio (breve sogno).


Figure Retoriche


Anacoluti: vv. 1-8: "Voi ch'ascoltate [...] spero trovar pietà nonché perdono".
Il vocativo "voi" della prima quartina non trova seguito nel resto del componimento, in cui si passa prima alla terza persona singolare (ove sia chi), poi alla prima persona singolare (spero). "La struttura sintattica pare riprodurre il tortuoso percorso dell'esame interiore, arduo, problematico e doloroso" (Così nell'Analisi del testo di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, S. Zaccaria, Il piacere dei testi, vol. 1, Paravia.).

Polisindeti: vv. 14-15: "e del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto, / e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente".
L'utilizzo del polisindeto rende il ritmo incalzante dell'analisi interiore del poeta amplificandone l'effetto.

Poliptoti: v. 11: "di me medesmo meco mi".
Il poliptoto sortisce l'effetto di porre in grande rilievo il pronome di prima persona singolare, evidenziando che è l'io lirico il vero protagonista del sonetto.

Figura etimologica: vv. 11-12: "vergogno", "vergogna".
La figura etimologica lega due parole-chiave che indicano il ravvedimento del poeta e la vergogna rispetto agli "errori" giovanili.

Metafore: v. 2, v. 10, v. 12, v. 14: "sospiri ond'io nudriva 'l core", "favola fui", "vergogna è il frutto", "breve sogno".
Nella metafora del v. 2 le pene d'amore sono rappresentate come "sospiri" di cui il cuore personificato si nutre, mentre nella metafora del v. 10 "favola" significa "oggetto di maldicenze/dicerie", in quella del v. 12 il poeta si vergogna del "vaneggiare", degli errori del passato; ed infine quella del v. 14 indica l'illusorietà, la vanità e la brevità dei beni terreni.

Anafore: v. 1 e 5: "di... di".

Allitterazioni: vv. 1-2, v. 8, v. 10, v. 13, v. 11: "SOSpiri, SuOnO". Legati anche dall'enjambement, "sPERo, PiEtà, PERdono", "favola fui", "conoscer chiaramente", "me medesmo meco mi" (ripetizione del suono "v" in tutto il componimento "voi; nudriva; giovenile; vario; vane; van; ove; prova; trovar; veggio; sovente; vergogno; vaneggiar; vergogna; breve".
Le allitterazioni oltre a contribuire agli aspetti sonori del componimento, in questo componimento hanno una specifica funzione di messa in risalto in termini di significato: molte di queste parole legate da allitterazione, infatti, sono parole-chiave del componimento, come "vane", "vaneggiar", "vergogna".

Enjambements: vv. 1-2: "suono / di quei sospiri". I due sostantivi sono uniti anche dall'allitterazione.

Anastrofi: v. 12, v. 10: "del mio vaneggiar vergogna è il frutto". L'ordine naturale delle parole sarebbe: "la vergogna è il frutto del mio vaneggiare", "favola fui gran tempo". L'ordine naturale delle parole sarebbe: "fui favola".

Apostrofi: v. 1: "voi ch'ascoltate...".
Il poeta, con il vocativo, si rivolge direttamente al suo pubblico, un pubblico selezionato di persone esperte d'amore e che quindi possono comprendere le sofferenze dell'io lirico.

Chiasmi: vv. 5-6: "in ch'io piango et ragiono / fra le vane speranze e 'l van dolore".
Il chiasmo è efficace per esprimere l'oscillazione psicologica del poeta.

Endiadi: v. 5: "piango et ragiono".


Analisi e Commento


Storico-letterario

Il Canzoniere di Petrarca è una raccolta di 366 poesie, in gran parte sonetti (317), in cui il poeta canta il suo amore, inappagato e tormentato, per Laura. Questo è il sonetto che porta i numero complessivo delle poesie da 365 a 366. La conflittuale vicenda d'amore non è fine a se stessa, bensì è assunta a paradigma di un'esperienza più vasta: di una continua introspezione, del bisogno di assoluto e del contemporaneo legame con i beni terreni, di un dissidio che non troverà mai una soluzione definitiva, se non nella limpidezza della forma.

Petrarca conferisce al Canzoniere una struttura organica, ordinando i 366 microtesti in una struttura dotata di un suo significato complessivo. È noto che Petrarca non si aspettava i ottenere la fama da quest'opera, ma da quelle in latino, tuttavia è altrettanto vero che lavorò alle poesie in volgare molto a lungo con un instancabile labor limae, che dimostra quanto il poeta fosse consapevole del valore della propria opera.

Protagonisti del Canzoniere di Petrarca sono sì Laura, sì gli storici protettori del poeta (i Colonna), ma soprattutto Petrarca stesso e gli effetti che il suo amore per Laura produce nel suo animo.

L'amore, che caratterizza l'opera e il poeta, è un amore tormentato, che investe sia l'anima che il corpo. È un amore oscillante tra la passione dei sensi e il vagheggiamento ideale. Un amore inteso come traviamento, da cui il poeta spesso vuole liberarsi per poi però ricadere nel vagheggiamento: esiste un forte dualismo tra aspirazione alla fede e all'amore spirituale e amore sensuale e carnale. Lo stato d'animo del poeta oscilla continuamente tra poli opposti, senza mai giungere a una soluzione.

La svolta dell'opera si ha con la morte di Laura nel 1348, in quanto le poesie si possono dividere in "rime in vita" e "rime in morte" di Laura, ma in ogni caso, Petrarca non è mai in grado di trovare la pace cui aspira, fino all'ultima canzone, una preghiera alla Vergine, in cui chiede appunto di superare ogni dissidio.

Occorre anche sottolineare che da un lato la vicenda amorosa narrata è indubbiamente reale; dall'altro, però, è una costruzione ideale e letteraria, ben lontana dalla pura autobiografia, tant'è che tanto la donna quanto il paesaggio naturale non sono realistici, ma sempre evanescenti, stereotipati, non concreti.

Tematico

Nel sonetto Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, posto in calce al Canzoniere, ma composto in anni più tardi (probabilmente verso il 1349, dopo la morte dell'amata Laura, le cui "rime in morte" costituiscono la seconda parte del Canzoniere), Petrarca si volge indietro ed opera un bilancio, completamente negativo, della propria esperienza amorosa. Infatti, rivolgendosi a chi, come lui, soffre pene d'amore, chiede comprensione e perdono perché il suo "primo giovanile errore" (v. 3), l'amore per una donna terrena (Laura, che, però, non viene mai menzionata neppure indirettamente nel sonetto) lo ha traviato e lo ha allontanato dall'amore per Dio, facendogli perdere anche la propria dignità.

Il poeta si presenta, dunque, come colui che ha sbagliato in passato ed ora se ne vergogna, secondo una prospettiva etico-morale: il sonetto, pertanto, è al contempo inizio e fine, perché è posto all'inizio, ma ripercorre criticamente l'esperienza passata del poeta, in una sorta di palinodia, ossia di ritrattazione dei sentimenti provati in passato.

L'amore è sempre presentato come fonte di incertezza, sofferenza, inutili illusioni (v. 2 "sospiri", v. 5 "piango", v. 6 "fra le vane speranze e 'l van dolore"). Tuttavia, occorre anche evidenziare che certamente il poeta, Petrarca-autore che riflette sui suoi errori passati, è ancora invaso da quella stessa passione, in quanto lui stesso ammette, al v. 4, che in passato era solo "in parte" un uomo diverso da quello che è oggi. In Dante, questi sentimenti di pentimento erano legati a diversi peccati; qui, invece, l'unico errore è stato l'amore che, essendo una passione terrena, è considerato un peccato e non è così netta la frattura tra l'autore che oggi riflette sui suoi errori e il "Petrarca-personaggio" che li ha commessi in passato.

L'attitudine all'introspezione e all'autoanalisi è tipicamente petrarchesca, così come la dicotomia tra sacro e profano. Identificare la poesia col suono, la musicalità del verso è molto moderno, come il fatto di invitare noi che ascoltiamo, ossia leggiamo le poesie, a partecipare degli stati d'animo del poeta, che la poesia è chiamata ad esprimere.

Il sonetto, fin dalle origini della letteratura in volgare, è la forma canonica della poesia italiana, soprattutto per quanto riguarda la poesia d'amore. Petrarca, inoltre, seleziona i termini da impiegare innanzitutto in nome della musicalità del suono: il canone di parole che dà l'effetto sonoro desiderato dal poeta è molto ristretto. I vocaboli che formano rima o assonanza tra loro, "suono – sono – sogno", sono le parole-chiave che costituiscono l'ossatura del Canzoniere: la musicalità, la poesia come espressione di sé e il sogno, l'arbitrio. Da alcune espressioni, come "rime sparse" (v. 1) e "vario stile" (v. 5), si desume che la condanna petrarchesca non riguarda solo il suo comportamento, bensì anche la forma delle sue poesie: è, infatti, noto che Petrarca si aspettava la gloria dal poemetto in latino Africa, mentre attribuiva un'importanza minore alle opere in volgare. Infatti, le "rime sparse" non sono state concepite fin dall'inizio per costituire un libro organico e il Canzoniere ha dunque avuto varie forme: come afferma il critico Marco Santagata, pertanto, quella delle "rime sparse" "è categoria insieme retorica e morale". È verosimile che il poeta, nel delineare la sua storia personale, volesse nel contempo rappresentare una sorta di storia universale dell'anima di ogni cristiano dal traviamento giovanile alla presa di coscienza dei valori e alla conversione.

In Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, si intrecciano due piani temporali: il presente, che è il tempo della vergogna e del pentimento, e il passato, il momento dell'errore che, però, non è del tutto superato e continua a stazionare nell'animo del poeta. Petrarca sente angosciosamente il fluire inesorabile del tempo, di cui sono una conseguenza inevitabile la vanità e la precarietà di tutte le cose terrene. La struttura è bipartita: il sonetto è, infatti, diviso nettamente in due parti: le due quartine e le due terzine. Nelle quartine, si parla del pubblico e del contenuto dell'opera e della fase del "primo giovenile errore" del poeta: questo, nella struttura complessiva dell'opera, corrisponde alla prima parte, ossia alle "rime in vita" di Laura. Nelle terzine, notiamo un certo incupimento di significato, scaturito dalle sensazioni di pentimento, derisione e vergogna che il poeta sente verso l'amore da lui provato, ch'egli considera come qualcosa di vano, al pari di ogni sentimento terreno soggetto alla morte. Questa concezione viene evidenziata maggiormente dall'ultimo verso del sonetto: "che quanto piace al mondo è breve sogno" (v. 14), che assume il valore di una massima epigrammatica, sottolineando la fugacità e la vanità dei desideri umani. Nella struttura complessiva dell'opera, questo corrisponde alla seconda parte del Canzoniere, ossia alle "rime in morte" di Laura.

Tipici della struttura del proemio, funzione che evidentemente assume questo sonetto, sono: la scelta di rivolgersi a un pubblico preciso, il richiamo al genere e allo stile scelti, l'anticipazione degli argomenti trattati.

Stilistico

Il componimento è un sonetto e presenta lo schema di rime ABBA ABBA CDE CDE: Come sempre in Petrarca, la forma è estremamente armonica e raffinatissima, sia grazie alla fitta rete di allitterazioni che legano tra loro le parole-chiave, sia grazie alla struttura perfettamente bipartita (due quartine, chiuse dal punto fermo e due terzine), sia grazie a un nutrito tessuto retorico.

Anche la struttura sintattica è studiatissima e molto fluida: le due quartine sono disposte a chiasmo: la prima quartina si apre col "voi", la seconda si chiude con "spero"; inoltre, notiamo una grande distanza tra il destinatario dell'invocazione "voi ch'ascoltate" e l'invocazione stessa "spero trovar...", come a voler riprodurre il processo difficile e lungo dell'esame di coscienza interiore.

La ricercata aggettivazione, tutta negativa, mette in risalto il tema-chiave del sonetto: la vanità dei beni terreni. Inoltre, le quartine, in cui vi sono rime dai suoni dolci e armoniosi, sono costituite da un unico periodo molto ampio, di ben 8 versi, e ricco di subordinate, per dare l'idea della sospensione. Le terzine, invece, in cui prevalgono le rime dai suoni chiusi e aspri, formano ognuna un periodo, quindi la loro sintassi risulta più semplice, mentre la conclusione perentoria assume quasi il valore di un aforisma. La crescente drammaticità degli ultimi tre versi è messa in evidenza dal polisindeto dei vv. 12-13 ("e del mio vaneggiar.../ e il pentersi e il conoscer chiaramente"), che rende il ritmo incalzante nell'analisi interiore. Inoltre, la forte avversativa "ma" che apre le terzine segna il passaggio a una fase diversa della vita del poeta. Da sottolineare anche l'evidente allitterazione della lettera "m" al verso 11 e la continua ripetizione di pronomi di prima persona singolare "me medesimo", "meco", "mi", che pongono decisamente in primo piano l'io lirico.


Confronti


Il v. 7 (ove sia chi per prova intenda amore) riprende la concezione, tipicamente stilnovistica, secondo cui la poesia amorosa può essere compresa appieno solo dalle persone nobili d'animo, capaci a loro volta di amare finemente, com'è chiaramente espresso nella canzone-manifesto Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli. Ugualmente, Dante aveva aperto il primo componimento della sua Vita nova A ciascun'alma presa e gentil core. Anche l'iniziale apostrofe a un gruppo di lettori è tipica di tutta la tradizione letteraria, in particolare Cavalcanti e Dante. A questi "spiriti eletti" capaci di amare si contrappone il "popol tutto" del v. 9, ossia coloro che non sono in grado di comprendere il suo amore.

La terminologia è quella tipica della tradizione cortese e stilnovistica: basti pensare a "sospiri" e "core" al v. 2, "piango e ragiono" al v. 5 (che ricorda, fra gli altri, il celeberrimo "piange e dice" della Francesca dantesca, cfr. Inf, V, 126); tali vocaboli sono intrecciati con altri di matrice cristiana, come "vergogna/vergogno" dei vv. 11-12 e "perdono" del v. 8. Vi sono anche alcuni richiami biblici, ad esempio il primo verso rimanda a un passo delle Lamentazioni di Geremia: "O voi tutti che passate per la via, ascoltate e vedete". Anche l'ultimo verso riecheggia evidentemente un celebre verso del libro biblico delle Ecclesiaste, Vanitas vanitatum et omnia vanitas ("vanità delle vanità e tutto è vanità").

L'espressione del v. 10 favola fui gran tempo è ripresa dall'Epodo 11, v. 8 di Orazio: fabula quanta fui!

La composizione del Canzoniere negli stessi termini qui enunciati era già stata preannunciata nel Secretum, quando Francesco afferma Sparsa anime fragmenta recolligam (Raccoglierò i frammenti sparsi della mia anima).


Domande e Risposte


A quale opera appartiene la poesia?
Rerum vulgarium fragmenta (Canzoniere)

Qual è la forma metrica della poesia?
Sonetto (14 endecasillabi raggruppati in due quartine e due terzine).

Fonti: libri scolastici superiori

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