Parafrasi, Analisi e Commento di: "Ultimo sogno" di Giovanni Pascoli
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
Scheda dell'Opera
Autore: Giovanni Pascoli
Titolo dell'Opera: Myricae
Prima edizione dell'opera: 1891 (ma Ultimo sogno compare solo dalla terza edizione uscita nel 1894)
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Quattro quartine di endecasillabi con rime ABAB
Introduzione
L'introduzione del testo "Ultimo sogno" di Giovanni Pascoli si apre su un'atmosfera intrisa di nostalgia e introspezione. La poesia rappresenta una riflessione profonda sulla vita, la morte e i sogni, temi ricorrenti nell'opera pascoliana. Attraverso una prosa evocativa e un linguaggio semplice ma carico di significato, Pascoli conduce il lettore in un viaggio emotivo che esplora la fragilità dell'esistenza e il desiderio di evadere dalla realtà. "Ultimo sogno" diventa così un momento di meditazione sul destino umano, dove il sogno si configura come un luogo di fuga e di speranza, ma anche come un simbolo della fine inevitabile. La voce del poeta si fa portavoce di un sentimento di malinconia e di ricerca di pace interiore, riflettendo la sua personale visione del mondo e della condizione umana.
Testo e Parafrasi puntuale
1. Da un immoto fragor di carrïaggi 2. ferrei, moventi verso l'infinito 3. tra schiocchi acuti e fremiti selvaggi... 4. un silenzio improvviso. Ero guarito. 5. Era spirato il nembo del mio male 6. in un alito. Un muovere di ciglia; 7. e vidi la mia madre al capezzale: 8. io la guardava senza meraviglia. 9. Libero!... inerte, sì, forse, quand'io 10. le mani al petto sciogliere volessi: 11. ma non volevo. Udivasi un fruscio 12. sottile, assiduo, quasi di cipressi; 13. quasi d'un fiume che cercasse il mare 14. inesistente, in un immenso piano: 15. io ne seguiva il vano sussurrare, 16. sempre lo stesso, sempre più lontano. |
1. Da un continuo rumore di carri 2. di ferro, che si muovevano verso l'infinito 3. tra forti colpi e sussulti incontrollati 4. venne un improvviso silenzio. Ero guarito. 5. Se n'era andata la nuvola della mia malattia 6. come in un soffio. Veloce come un battito di ciglia: 7. e vidi mia madre accanto al letto: 8. io la guardavo senza stupirmi. 9. Ero libero! Forse incapace, quando io 10. avessi voluto slegare le mani al petto: 11. ma non lo volevo. Si sentiva un rumore, 12. sottile, continuo, che sembrava di rami di cipressi, 13. quasi come se fosse un fiume che cercava il mare 14. che non esisteva, in una pianura senza fine: 15. io ne seguivo l'inutile sciacquio, 16. sempre uguale, sempre più distante. |
Parafrasi discorsiva
Da un continuo rumore di carri di ferro, che si muovevano verso l'infinito, tra forti colpi e sussulti incontrollati venne un improvviso silenzio. Ero guarito. Se n'era andata, come in un soffio, la nuvola della mia malattia. Veloce come un battito di ciglia: e vidi mia madre accanto al letto: io la guardavo senza stupirmi. Ero libero! Forse incapace di slegare le mani al petto, se lo avessi voluto; ma non lo volevo. Si sentiva un leggero rumore, continuo, che sembrava di rami di cipressi, quasi come se fosse un fiume che cercava il mare che non esisteva, in una pianura senza fine: io ne seguivo l'inutile sciacquio, sempre uguale, sempre più distante.
Figure Retoriche
Enjambements: vv. 1-2, vv. 11-12, vv. 13-14: "carriaggi / ferrei", "fruscio / sottile", "mare / inesistente".
Onomatopea: v. 17: "sussurrare".
Similitudini: v. 12, v. 13: "quasi di cipressi", "quasi d'un fiume che cercasse il mare".
Metafore: vv. 5-6: "era spirato il nembo del mio male / in un alito".
Anastrofi: v. 10: "le mani al petto sciogliere volessi".
Allitterazioni: vv. 1-3: Della "f" ed "r": "fragor... carrïaggi... ferrei... fremiti". Della "s": 4° e 5° strofa.
Analisi e Commento
Nella raccolta Myricae (parola latina, che significa "piccoli arbusti", citazione virgiliana), Pascoli canta i motivi del mondo della natura, caricandoli di significati simbolici. Infatti, la sua poetica, detta "del fanciullino" (dal titolo di un saggio di poetica, da lui pubblicato nel 1897), consiste nel sapere trovare la poesia negli oggetti quotidiani, nella campagna e nella natura che ci circonda, osservandoli con lo stupore e la meraviglia di un bambino, che consentono di riscoprirne i lati segreti e la purezza originaria. Si tratta di componimenti generalmente brevi e lineari, che rappresentano quadretti di vita campestre che si caricano di significati misteriosi e spesso evocano l'idea della morte. È in quest'ottica che la celebrazione delle piccole cose e del "nido" si può leggere come un baluardo che il poeta erige contro le forze inquietanti e minacciose.
La poesia Ultimo sogno conclude la raccolta e compare solo a partire dalla terza edizione. Il significato è di difficile interpretazione, a partire dal titolo che può avere diverse interpretazioni: che cos'è l' "ultimo sogno"? Potrebbe essere l'ultimo delirio della malattia, l'ultimo della vita, il sogno di essere morti. Siamo di fronte a una malattia da cui il poeta guarisce improvvisamente (o sogna di essere guarito), con una liberazione che è verosimilmente da intendersi come la morte. Libero dagli affanni e dal dolore, rappresentati dai rumori caotici e assordanti descritti nei primi versi (notiamo l'allitterazione in particolare della "r"), Pascoli comincia a sognare un paesaggio con cipressi e un fiume che confluisce nel mare. Il fluire della vita (notiamo a tal proposito l'allitterazione della "s" nelle ultime due quartine) è sempre più lontano, il mare verso cui si approda è paradossalmente inesistente. Il sogno, dunque, costituisce una liberazione dal dolore, che consente di proiettarsi in un mondo diverso, che probabilmente è l'aldilà, considerato in modo del tutto positivo. L'apparire della figura della madre riporta alla tematica del ricongiungimento con gli affetti familiari, a quel "nido" scudo contro le malignità del mondo esterno, tipico di Pascoli.
I diversi significati e le diverse interpretazioni anziché escludersi si completano e si integrano a vicenda, in una dimensione immaginifica, in cui il sogno si confonde con la realtà, la vita con la morte, com'è usuale nel Simbolismo. Questo componimento, infatti, viene considerato dal critico Luigi Baldacci come «il risultato più alto di tutto il simbolismo pascoliano» e continua «Qui [in Ultimo sogno] veramente l'ambiguità è estrema, e non è delucidabile secondo gli schemi di una grammatica o di una sintassi».
Fonti: libri scolastici superiori