Parafrasi, Analisi e Commento di: "Ultimo canto di Saffo" di Giacomo Leopardi


Immagine Giacomo Leopardi
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento

Scheda dell'Opera


Autore: Giacomo Leopardi
Titolo dell'Opera: Canti
Prima edizione dell'opera: Ultimo canto di Saffo esce nel 1824 in un gruppo di dieci canzoni. La prima edizione dei Canti, invece, è l'edizione Piatti uscita nel 1831 che vede poi la sua edizione definitiva e completa nel 1835
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Canzone di quattro strofe, di 18 versi ciascuna, i primi 16 endecasillabi sciolti



Introduzione


"Ultimo canto di Saffo" è una delle poesie più celebri di Giacomo Leopardi, scritta nel 1822 e pubblicata nella raccolta dei "Canti". In questa lirica, Leopardi dà voce a Saffo, la poetessa greca del VII-VI secolo a.C., immaginandola poco prima del suo suicidio. La figura di Saffo viene reinterpretata attraverso la lente del pessimismo leopardiano, mettendo in luce il conflitto tra l'aspirazione alla bellezza e alla felicità e la crudele realtà della condizione umana.

Il poeta esplora temi come la disperazione, il senso di esclusione, la sofferenza derivante dall'amore non corrisposto e il desiderio di un impossibile ideale di bellezza e armonia. "Ultimo canto di Saffo" è quindi un esempio significativo del pensiero leopardiano, dove la voce della poetessa diventa un simbolo universale della condizione umana, intrappolata tra l'anelito verso l'infinito e le limitazioni imposte dalla realtà terrena. L'opera riflette anche sul tema della bellezza negata e della disillusione, elementi centrali nella produzione poetica di Leopardi.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Placida notte, e verecondo raggio
2. della cadente luna; e tu, che spunti
3. fra la tacita selva in su la rupe,
4. nunzio del giorno; oh dilettose e care,
5. mentre ignote mi fûr l'Erinni e il Fato,
6. sembianze agli occhi miei; giá non arride
7. spettacol molle ai disperati affetti.
8. Noi l'insueto allor gaudio ravviva,
9. quando per l'etra liquido si volve
10. e per li campi trepidanti il flutto
11. polveroso de' Noti, e quando il carro,
12. grave carro di Giove, a noi sul capo
13. tonando, il tenebroso aere divide.
14. Noi per le balze e le profonde valli
15. natar giova tra' nembi, e noi la vasta
16. fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
17. fiume alla dubbia sponda
18. il suono e la vittrice ira dell'onda.

19. Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
20. sei tu, rorida terra. Ahi! di codesta
21. infinita beltá parte nessuna
22. alla misera Saffo i numi e l'empia
23. sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
24. vile, o Natura, e grave ospite addetta,
25. e dispregiata amante, alle vezzose
26. tue forme il core e le pupille invano
27. supplichevole intendo. A me non ride
28. l'aprico margo, e dall'eterea porta
29. il mattutino albor; me non il canto
30. de' colorati augelli, e non de' faggi
31. il murmure saluta; e dove all'ombra
32. degl'inchinati salici dispiega
33. candido rivo il puro seno, al mio
34. lubrico piè le flessuose linfe
35. disdegnando sottragge,
36. e preme in fuga l'odorate spiagge.

37. Qual fallo mai, qual sí nefando eccesso
38. macchiommi anzi il natale, onde sí torvo
39. il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
40. In che peccai bambina, allor che ignara
41. di misfatto è la vita, onde poi scemo
42. di giovanezza, e disfiorato, al fuso
43. dell'indomita Parca si volvesse
44. il ferrigno mio stame? Incaute voci
45. spande il tuo labbro: i destinati eventi
46. move arcano consiglio. Arcano è tutto,
47. fuor che il nostro dolor. Negletta prole
48. nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
49. de' celesti si posa. Oh cure, oh speme
50. de' piú verd'anni! Alle sembianze il Padre,
51. alle amene sembianze, eterno regno
52. die' nelle genti; e per virili imprese,
53. per dotta lira o canto,
54. virtú non luce in disadorno ammanto.

55. Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
56. rifuggirá l'ignudo animo a Dite,
57. e il crudo fallo emenderá del cieco
58. dispensator de' casi. E tu, cui lungo
59. amore indarno, e lunga fede, e vano
60. d'implacato desio furor mi strinse,
61. vivi felice, se felice in terra
62. visse nato mortal. Me non asperse
63. del soave licor del doglio avaro
64. Giove, poi che perîr gl'inganni e il sogno
65. della mia fanciullezza. Ogni piú lieto
66. giorno di nostra etá primo s'invola.
67. Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
68. della gelida morte. Ecco di tante
69. sperate palme e dilettosi errori,
70. il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
71. han la tenaria diva,
72. e l'atra notte, e la silente riva.
1. Notte tranquilla, e raggio puro e limpido
2. della luna che sta tramontando; e tu, che spunti
3. in mezzo al bosco silenzioso sulla montagna,
4. annunciatore del giorno; oh piacevoli e care
5. foste ai miei occhi quando mi erano ancora
6. sconosciute le pene e il destino; il dolce spettacolo
7. non rallegra gli animi infelici.
8. In noi si ravviva una gioia insolita
9. quando turbina attraverso l'aria limpida
10. e per i campi sconvolti i venti che sollevano
11. polvere, e quando il carro,
12. il pesante carro di Giove, ci tuona sul capo
13. e squarcia l'aria tenebrosa.
14. A noi per le montagne e le profonde valli
15. piace nuotar tra le nuvole, e ci piace la disordinata
16. fuga delle greggi spaventate, e il fragore
17. e la violenza vittoriosa dell'onda di un fiume
18. in piena contro la pericolosa sponda.

19. Il tuo manto è bello, o cielo divino, e bella
20. sei tu, terra rugiadosa. Ahi! A questa
21. infinita bellezza non fecero prender parte
22. alla povera Saffo gli dei e la vergognosa sorte.
23. O Natura, vile e fastidiosa ospite addetta
24. ai tuoi superbi regni,
25. e disprezzata amante, alle tue aggraziate
26. forme inutilmente rivolgo, supplice, il cuore
27. e gli occhi. A me non sorride
28. il luogo soleggiato, e dalla porta del cielo
29. il chiarore mattutino; non mi saluta il canto
30. degli uccelli pieni di colori, né
31. il mormorio dei faggi; e nei luoghi in cui
32. all'ombra dei salici incurvati si dispiega
33. il chiaro alveo del limpido ruscello, al mio
34. piede malfermo le acque flessuose
35. sottrae serpeggiando,
36. e colpisce fuggendo le rive profumate.

37. Di quale sbaglio, di quale terribile colpa mi sono
38. macchiata prima della nascita, per far sì che
39. così sfavorevoli mi fossero il cielo e il volto
40. della fortuna? In cosa peccai da bambina,
41. quando la vita ancora è ignara di cosa sia il male,
42. in modo che poi privo di giovinezza e sfiorito,
43. al fuso dell'implacabile Parca si avvolgesse
44. il mio oscuro filo della vita? Inspiegabili domande
45. pronuncia la tua bocca: una decisione imperscrutabile
46. dirige gli eventi predestinati. Tutto è imperscrutabile,
47. eccetto il nostro dolore. Stirpe disprezzata
48. siamo nati per piangere, e la ragione del dolore è
49. posta sulle ginocchia degli dei. Oh desideri,
50. oh speranze degli anni più verdi! Giove diede
51. all'aspetto, al bell'aspetto, il dominio eterno
52. sulla gente; per quanto si compiano imprese
53. coraggiose, si abbia capacità poetica o canora,
54. la virtù non splende su un corpo deforme.

55. Moriremo. Gettato a terra il corpo spregevole,
56. l'anima liberata fuggirà verso Dite,
57. e correggerà il crudele errore del cieco
58. dispensatore delle sorti. E tu, a cui mi legarono
59. lungo amore, e lunga fedeltà,
60. e inutile passione mai placata,
61. vivi felice, se mai visse felice sulla terra
62. un mortale. Avaro Giove non versò su di me
63. il dolce liquore della felicità,
64. dopo che svanirono le illusioni e i sogni
65. della mia fanciullezza. I giorni più lieti
66. della nostra vita per primi svaniscono.
67. Subentra la malattia, la vecchiaia, e la minaccia
68. della gelida morte. Ecco di tanti sperati
69. premi e piacevoli illusioni,
70. mi rimane solo il Tartaro; e già posseggono
71. il mio alto ingegno Proserpina,
72. e la buia notte, e la silenziosa riva.



Parafrasi discorsiva


Notte serena e raggio puro della luna che sta per tramontare; e tu, Venere, che annunci il sorgere del giorno, spuntando sulla roccia in mezzo al bosco silenzioso; oh immagini gradite e care ai miei occhi finché mi sono rimaste sconosciute le passioni amorose e il destino; ormai un gradevole spettacolo non provoca piacere a chi prova sentimenti disperati. Un'insolita gioia ci anima quando attraverso l'aria limpida e i campi sconvolti si agita la furia polverosa dei venti, e quando il pesante carro di Giove, tuonando sulle nostre teste, squarcia l'aria cupa. Per noi è piacevole immergerci nelle nubi attraverso i dirupi e le valli profonde; (è piacevole) la fuga caotica delle greggi impaurite; o il fragore e la forza devastante delle onde contro la riva non sicura di un fiume profondo.

È bello il tuo aspetto, o cielo divino, e tu sei bella, terra rugiadosa. Ahimè, gli dei e la sorte crudele non hanno fatto partecipare in nessun modo l'infelice Saffo di questa immensa bellezza. O natura, io, assegnata come un'estranea disprezzata e indesiderata e come un'amante denigrata ai tuoi splendidi regni, rivolgo invano angosciata il mio cuore e i miei occhi alle tue bellezze. A me non sorride la campagna soleggiata, né l'alba mattutina dalla porta da cui sorge il sole; non mi salutano né il canto degli uccelli colorati, né il mormorio dei faggi: e dove, all'ombra dei salici dai rami inchinati verso terra, un limpido ruscello fa scorrere le sue acque pure, questo sottrae con disprezzo le acque sinuose al mio piede che scivola e mentre fugge tocca le rive profumate.

Quale colpa mai, quale peccato così empio mi ha macchiato prima del giorno della mia nascita perché mi fossero così ostili il destino e la sorte? Che peccati ho commesso da bambina, quando la vita non ha ancora conosciuto le cattive azioni, cosicché poi il mio filo color della ruggine, privo di giovinezza e sfiorito, si avvolgesse al fuso dell'inesorabile Parca (divinità che governa la vita e la morte)? Le tue labbra pronunciano frasi troppo audaci: una volontà a noi sconosciuta determina gli eventi cui siamo destinati. Tutto è sconosciuto, tranne il nostro dolore. Noi, figli disprezzati, siamo nati solo per piangere e la motivazione si trova nella mente degli dei. Oh preoccupazioni, oh speranze della giovinezza! Giove, il padre degli dei, attribuì alle apparenze esteriori, al bell'aspetto un potere eterno tra gli uomini; e il valore dimostrato tramite le imprese eroiche oppure la musica o il canto poetico, non risplende in un corpo non bello.

Moriremo. Abbandonato sulla terra il corpo brutto, l'anima priva di corpo fuggirà presso Dite (divinità infernale), e correggerà il crudele errore di colui che distribuisce le sorti alla cieca. E tu, Faone, a cui mi hanno legato inutilmente un amore e una fedeltà di lunga durata e una inutile passione derivante da un desiderio insoddisfatto, vivi felice, se mai un uomo sulla Terra è vissuto felice. Giove non mi cosparse del piacevole liquido del vaso poco usato dei piaceri, dopo che finirono le illusioni e i sogni della mia fanciullezza. Ognuno dei giorni più felici della nostra vita è il primo ad andarsene. Subentrano la malattia, la vecchiezza e l'ombra della fredda morte. Ecco, di tanti premi desiderati e piacevoli illusioni, mi resta solo la morte, e accolgono il mio forte ingegno la dea di Capo Tenario (Proserpina, dea degli Inferi), e la notte oscura e la riva silenziosa dell'Acheronte.


Figure Retoriche


Enjambements: vv. 1-2, vv. 6-7, vv. 10-11, vv. 15-16, vv. 16-17, vv. 20-21, vv. 22-23, vv. 25-26, vv. 27-28, vv. 29-30, vv. 30-31, vv. 31-32, vv. 32-33, vv. 37-38, vv. 38-39, vv. 40-41, vv. 41-42, vv. 42-43, vv. 43-44, vv. 44-45, vv. 45-46, vv. 47-48, vv. 48-49, vv. 49-50, vv. 51-52, vv. 57-58, vv. 58-59, vv. 59-60, vv. 62-63, vv. 64-65, vv. 65-66, vv. 67-68, vv. 68-69, vv. 70-71.

Apostrofi: vv. 1-2, vv. 2-4, v. 19, v. 20, v. 24, vv. 49-50: "placida notte, e verecondo raggio/ della cadente luna", "e tu che spunti / [...] nunzio del giorno", "o divo cielo", "rorida terra", "o Natura", "Oh, cure, oh speme/ de' più verd'anni!".

Anastrofi: vv. 16-17, vv. 30-31, v. 39, vv. 40-41, vv. 44-45, vv. 45-46: "d'alto/ fiume alla dubbia sponda", "de' faggi/ il murmure", "di fortuna il volto", "ignara/ di misfatto è la vita", "incaute voci/ spande il tuo labbro", "i destinati eventi/ move arcano consiglio".

Polisindeti: vv. 24-25, v. 67, vv. 71-72: "vile, o Natura, e grave ospite addetta,/ e dispregiata amante", "il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra", "la tenaria Diva, e l'atra notte, e la silente riva".

Metonimia: v. 45: "il tuo labbro".

Sineddoche: v. 26: "pupille".

Metafore: v. 44, vv. 48-49, v. 50, v. 54, v. 55, vv. 51-52, v. 53, vv. 62-64, v. 64: "il ferrigno mio stame", "la ragione in grembo/ de' celesti si posa", "de' più verd'anni", "disadorno ammanto", "velo indegno", "alle amene sembianze, eterno regno/ die' nelle genti", "per dotta lira o canto", "Me non asperse/ del soave licor del doglio avaro/ Giove", "perir gl'inganni".

Iperbato: vv. 2-4, vv. 4-6, v. 8, vv. 17-19, vv. 20-23, vv. 41-44, vv. 57-58, vv. 59-60: "e tu che spunti/ fra la tacita selva in su la rupe/ nunzio del giorno", "oh dilettose e care/ mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,/ sembianze", "noi l'insueto allor gaudio ravviva", "o d'alto/ fiume alla dubbia sponda/ il suono e la vittrice ira dell'onda", "Ahi! di cotesta/ infinita beltà parte nessuna/ alla misera Saffo i numi e l'empia/ sorte non fenno", "onde poi scemo/ di giovanezza, e disfiorato, al fuso/ dell'indomita Parca si volvesse/ il ferrigno mio stame?", "e il crudo fallo emenderà del cieco/ dispensator de' casi", "e vano/ d'implacato desio furor mi strinse".

Chiasmi: vv. 29-31: "me non il canto/ de' colorati augelli, e non de' faggi/ il murmure".

Domanda retorica: vv. 37-39, vv. 40-44: "Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso/ macchiommi anzi il natale, onde sì torvo/ il ciel mi fosse e di fortuna il volto?", "In che peccai bambina, allor che ignara/ di misfatto è la vita, onde poi scemo/ di giovanezza, e disfiorato, al fuso/ dell'indomita Parca si volvesse/ il ferrigno mio stame?".

Perifrasi: vv. 57-58, v. 62, v. 71: "cieco/ dispensator de' casi", "nato mortal", "tenaria Diva".

Epanalessi: vv. 11-12, vv. 50-51: "il carro/ grave carro di Giove", "alle sembianze il Padre/ alle amene sembianze".


Analisi e Commento


L'Ultimo canto di Saffo, insieme al Bruto minore, è considerato una delle cosiddette "canzoni del suicidio" del 1821-1822 e chiude la prima sezione dei Canti leopardiani, quella dedicata alle canzoni civili o patriottiche. Ponendo il testo in questa posizione, secondo Zottoli, è chiaro che per Leopardi «la morte di Saffo era l'avvenimento decisivo che segnava la fine di un periodo poetico».

Questa canzone trae spunto da un passo delle Heroides di Ovidio, in cui viene narrato l'amore della poetessa greca per il giovane Faone, che la disprezzava per la sua bruttezza. Nel testo leopardiano, però, all'infelicità individuale dell'io lirico, escluso e triste a causa di un corpo deforme, si affianca l'idea di un'infelicità universale che coinvolge l'intera umanità di ogni tempo: anche gli antichi Greci, pertanto, erano infelici, perché alla natura, considerata ancora una madre benigna, si affianca il fato crudele, che destina inevitabilmente l'uomo alla sofferenza. Ciò si riflette, in particolare, nell'uso dei pronomi, in cui all'io, si alterna costantemente il noi, per accomunare il destino della poetessa a quello di tutti gli uomini. Siamo dunque di fronte ad una Saffo profondamente moderna, che, abbandonata ogni illusione, ha assunto piena consapevolezza dell'"arido vero": il suo dolore è direttamente proporzionale alle sue notevoli qualità d'animo. In Saffo, evidentemente, Leopardi proietta, almeno in parte, la sua personale esperienza; tuttavia, l'impianto della canzone, con il contrasto tra l'io e il mondo, non si può ridurre al solo dato biografico, bensì è il frutto di profonde riflessioni filosofiche.

Ultimo canto di Saffo inizia con la serena contemplazione di un paesaggio notturno; tuttavia, la serenità è di breve durata, in quanto, già al v. 5, con i richiami alle "Erinni" e al "Fato" diventa evidente che la bellezza della natura non ha alcun rapporto, anzi è in contrasto, con i "disperati affetti" di Saffo, che predilige, invece, un paesaggio ben più cupo e tempestoso, quale quello evocato nei vv. 8-18, poiché, attraverso l'esperienza dolorosa dell'amore, ella è diventata consapevole dell'infelicità umana. Nella seconda strofa, diventa evidente che la donna è irrimediabilmente esclusa dalla bellezza della natura, rappresentata da pochi elementi molto evocativi (il cielo, la terra umida di rugiada, gli uccelli, un albero e un ruscello). La terza e la quarta strofa sono tutte incentrate sull'io lirico, che sottolinea la sua innocenza di bambina per mettere in evidenza quanto siano inspiegabili e senza motivo le sofferenze subite. Ogni illusione giovanile è destinata a cadere, rimane solo la certezza del dolore, dal momento che il mondo apprezza solo la bellezza esteriore e non quella dell'animo. Spenta infine ogni illusione, l'unico possibile rimedio alla crudeltà del destino resta, dunque, il suicidio.

Saffo incarna qui il modello del suicidio eroico, considerato un gesto di libertà interiore, secondo una concezione analoga a quella dello Stoicismo antico; Leopardi giustifica il suicidio come gesto di rivalsa dell'intellettuale che, nel Settecento, ha perso il suo ruolo, in quanto la poesia è diminuita d'importanza, a favore della scienza.

La lirica Ultimo canto di Saffo è caratterizzata da numerose metafore ardite e sentenze lapidarie e da un lessico decisamente aulico. Frequenti ed espressivi sono anche gli enjambements, gli iperbati e le anastrofi.

Fonti: libri scolastici superiori

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