Parafrasi, Analisi e Commento di: "Perch'i' no' spero di tornar giammai" di Guido Cavalcanti
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte
Scheda dell'Opera
Autore: Guido Cavalcanti
Titolo dell'Opera: Rime
Data: Fine del XIII sec. o inizi XIV sec.
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Ballata stravagante di quattro strofe e una ripresa. Le strofe sono costituite da fronte (ABAB) e sirma (Bccddx)
Introduzione
"Perch'i' no' spero di tornar giammai" è una delle canzoni più celebri di Guido Cavalcanti, poeta toscano del XIII secolo e figura di spicco del Dolce Stil Novo. Questa poesia è caratterizzata da un tono malinconico e riflette profondamente il sentimento di disperazione e rassegnazione dell'autore di fronte alla sua imminente morte. Composta probabilmente durante il suo esilio a Sarzana nel 1300, la canzone esprime la consapevolezza dell'impossibilità di rivedere Firenze, la città amata, e di riabbracciare la vita e gli affetti che vi ha lasciato. Il testo è intriso di temi tipici del periodo, come l'amore, la morte e la condizione umana, e utilizza uno stile elevato e raffinato, caratteristico della poesia stilnovista.
Testo e Parafrasi puntuale
1. Perch'i' no spero di tornar giammai, 2. ballatetta, in Toscana, 3. va' tu, leggera e piana, 4. dritt' a la donna mia, 5. che per sua cortesia 6. ti farà molto onore. 7. Tu porterai novelle di sospiri 8. piene di dogli' e di molta paura; 9. ma guarda che persona non ti miri 10. che sia nemica di gentil natura: 11. ché certo per la mia disaventura 12. tu saresti contesa, 13. tanto da lei ripresa 14. che mi sarebbe angoscia; 15. dopo la morte, poscia, 16. pianto e novel dolore. 17. Tu senti, ballatetta, che la morte 18. mi stringe sì, che vita m'abbandona; 19. e senti come 'l cor si sbatte forte 20. per quel che ciascun spirito ragiona. 21. Tanto è distrutta già la mia persona, 22. ch'i' non posso soffrire: 23. se tu mi vuoi servire, 24. mena l'anima teco 25. (molto di ciò ti preco) 26. quando uscirà del core. 27. Deh, ballatetta mia, a la tu' amistate 28. quest'anima che trema raccomando: 29. menala teco, nella sua pietate, 30. a quella bella donna a cu' ti mando. 31. Deh, ballatetta, dille sospirando, 32. quando le se' presente: 33. «Questa vostra servente 34. vien per istar con voi, 35. partita da colui 36. che fu servo d'Amore». 37. Tu, voce sbigottita e deboletta 38. ch'esci piangendo de lo cor dolente, 39. coll'anima e con questa ballatetta 40. va' ragionando della strutta mente. 41. Voi troverete una donna piacente, 42. di sì dolce intelletto 43. che vi sarà diletto 44. starle davanti ognora. 45. Anim', e tu l'adora 46. sempre, nel su' valore. |
1. Poiché io non spero più ormai di riuscire un giorno a tornare 2. in Toscana [dalla quale sono esiliato], piccola ballata, 3. vai tu al mio posto, con il tuo suono dolce e chiaro, 4. dalla mia donna, senza fermarti un attimo, 5. che con la sua nobiltà d'animo 6. ti accoglierà degnamente. 7. Tu porterai notizia delle mie sofferenze, 8. piene di dolore e di molta paura; 9. ma bada che non ti veda nessuna persona 10. che sia nemica della nobiltà interiore, 11. perché certamente, per mia sventura, 12. tu saresti da loro ostacolata 13. e tanto maltrattata 14. che ciò sarebbe per me motivo di angoscia; 15. e poi, dopo la morte, 16. causa di pianto e di nuovo dolore. 17. Piccola ballata, tu sei capace di sentire che la morte 18. mi incalza a tal punto che la vita ormai mi abbandona; 19. e senti come il cuore batte forte 20. per il discorrere confuso e turbato degli umori vitali [che si dibattono dentro di me]. 21. Il mio corpo è già così esausto [dalle sofferenze] 22. che io ormai non soffro nemmeno più: 23. se vuoi rendermi un servizio, 24. porta con te la mia anima, 25-26. (ti prego fortemente di ciò), quando questa si separerà dal cuore [nel momento della morte.] 27. O mia piccola ballata, alla tua amicizia 28. affido questa mia anima spaurita: 29. portala con te, nell'agonia che sta vivendo, 30. e consegnala a quella bella donna a cui ti invio. 31. Piccola ballata, dille sospirando 32. quando sarai davanti a lei: 33. "quest'anima, vostra devota, 34. viene per stare con voi, 35. separatasi da colui 36. che fu servo d'Amore". 37. E tu, mia voce turbata e debole, 38. che esci piangendo dal cuore sofferente, 39. con la mia anima e questa ballata 40. vai e discuti della mia mente distrutta. 41. Voi troverete una donna bella 42. e di così deliziosa intelligenza, 43. che sarà per voi un piacere 44. stare sempre al suo cospetto. 45. E tu, anima mia, adorala 46. sempre, per la sua virtù. |
Parafrasi discorsiva
Poiché io non spero più ormai di riuscire un giorno a tornare in Toscana [dalla quale sono esiliato], piccola ballata, vai tu al mio posto, con il tuo suono dolce e chiaro, dalla mia donna, senza fermarti un attimo, che con la sua nobiltà d'animo ti accoglierà degnamente.
Tu porterai notizia delle mie sofferenze, piene di dolore e di molta paura; ma bada che non ti veda nessuna persona che sia nemica della nobiltà interiore, perché certamente, per mia sventura, tu saresti da loro ostacolata e tanto maltrattata che ciò sarebbe per me motivo di angoscia; e poi, dopo la morte, causa di pianto e di nuovo dolore.
Piccola ballata, tu sei capace di sentire che la morte mi incalza a tal punto che la vita ormai mi abbandona; e senti come il cuore batte forte per il discorrere confuso e turbato degli umori vitali [che si dibattono dentro di me]. Il mio corpo è già così esausto [dalle sofferenze] che io ormai non soffro nemmeno più: se vuoi rendermi un servizio, porta con te la mia anima, (ti prego fortemente di ciò), quando questa si separerà dal cuore [nel momento della morte.]
O mia piccola ballata, alla tua amicizia affido questa mia anima spaurita: portala con te, nell'agonia che sta vivendo, e consegnala a quella bella donna a cui ti invio. Piccola ballata, dille sospirando quando sarai davanti a lei: "quest'anima, vostra devota, viene per stare con voi, separatasi da colui che fu servo d'Amore".
E tu, mia voce turbata e debole, che esci piangendo dal cuore sofferente, con la mia anima e questa ballata vai e discuti della mia mente distrutta. Voi troverete una donna bella e di così deliziosa intelligenza, che sarà per voi un piacere stare sempre al suo cospetto. E tu, anima mia, adorala sempre, per la sua virtù.
Figure Retoriche
Endiadi: v. 3, v. 16, v. 37: "leggera e piana". La ballata deve essere secondo i principi dello Stil Novo, scorrevole e semplice, "pianto e novel dolore". Se la ballata non fosse ben accolta il poeta continuerebbe a soffrirne anche dopo la morte, "sbigottita e deboletta". La voce del poeta è sfatta dalle sfortune e ormai ridotta a un sussurro.
Enjambements: vv. 17-18, vv. 45-46: "la morte / mi stringe". L'interruzione enfatizza il senso di morte che il poeta sente avvicinarsi a sé, "l'adora / sempre". L'amore per la donna, dice il poeta esortando la propria anima, dovrà rimanere vivo in eterno.
Anafore: vv. 17, 19, vv. 27, 31, vv. 7, 17, 37: "tu senti... e senti", "deh, ballatetta mia ... deh, ballatetta", "tu porterai ... tu senti... tu, voce" . La ripetizione delle apostrofi crea enfasi sul discorso struggente che il poeta affida alla ballata.
Anastrofi: vv. 26-27: "a la tu' amistade / quest'anima che trema raccomando". L'inversione sospende il componimento sull'amicizia della ballata, unica alleata del poeta nei suoi dolori.
Perifrasi: vv. 35-36: "colui / che fu servo d'Amore". Con queste parole Cavalcanti indica se stesso come amante schiavo della volontà della donna amata.
Metafore: vv. 19-20, v. 28, vv. 37-38, v. 40: "senti come 'l cor si sbatte forte / per quel che ciascun spirito ragiona.". Si richiama la concezione medievale che voleva il corpo abitato da umori organici che nel loro equilibrio davano la salute. Il dibattersi disordinato di questi umori interni provoca sofferenza al cuore, "anima che trema". L'anima del poeta è impaurita dal destino che la attende, "Tu, voce sbigottita e deboletta / ch'esci piangendo de lo cor dolente,". La voce nel discorso di Cavalcanti proviene direttamente dal cuore, "strutta mente". La mente del poeta, disfatta dal dolore, è come un edificio in rovina.
Apostrofi: v. 2-17-27-31, vv. 37, v. 45: "ballatetta". L'intera ballata è rivolta alla ballata stessa, "voce sbigottita e deboletta", "Anim'". Voce e anima sono le compagne di viaggio che la ballata ha il compito di scortare dalla donna, il poeta fa loro delle raccomandazioni dirette.
Metonimia: v. 7: "novelle di sospiri". Le notizie che la ballata porta alla donna sono storie di dolori e sfortune.
Personificazione: v. 8, vv. 37-40: in tutto il componimento la ballata è personificata, "[novelle] piene di dogli' e di molta paura". Le storie soffrono, come persone, di dolori e paura, "Tu, voce sbigottita e deboletta / ch'esci piangendo de lo cor dolente, / coll'anima e con questa ballatetta / va' ragionando della strutta mente". Voce, anima e ballata sono viaggiatori che discutono dello stato mentale del poeta che le invia alla donna amata.
Eufemismo: v. 10: "nemica di gentil natura". Indica chi non ha nobiltà d'animo, ossia la "gentilezza", qualità necessaria a comprendere il sentimento amoroso secondo gli stilnovisti.
Iperbole: vv. 21-22, vv. 42-44: "Tanto è distrutta già la mia persona, / ch'i' non posso soffrire". Il poeta afferma di aver sofferto così tanto nel corpo da non provare ormai più nessun dolore, "di sì dolce intelletto / che vi sarà diletto / starle davanti ognora". La bellezza e l'intelligenza della donna sono qualcosa che rende beati nella contemplazione eterna.
Sineddoche: v. 26: "core". Si indica con "cuore" l'intero corpo del poeta, destinato presto alla morte.
Prosopopea: vv. 33-36: "Questa vostra servente / vien per istar con voi, / partita da colui / che fu servo d'Amore.". Il poeta indica le parole con cui la ballata dovrà presentarsi alla donna in discorso diretto, descrivendola come un messaggero d'amore.
Sinestesia: v. 42: "dolce intelletto". L'intelletto della donna è dolce come lo zucchero e il miele e rasserena perciò l'animo tormentato.
Analisi e Commento
Storico-letterario
Perch'i' no spero di tornar giammai è una ballata che fa parte dei 52 componimenti a noi giunti di Guido Cavalcanti, raccolti in un unico volume intitolato Rime solo nel 1813. La poesia fu composta con tutta probabilità tra il 24 giugno e il 19 agosto 1300 poiché, come spiega il primo verso, il poeta fa riferimento all'esilio da Firenze vissuto in quel periodo e alle sue gravi condizioni di salute, a causa delle quali la condanna venne revocata prima della morte del poeta, avvenuta a qualche giorno di distanza dal rientro nella città natia.
Guido Cavalcanti è con Dante Alighieri, di cui fu amico e maestro, come testimonia il sonetto dantesco Guido, i' vorrei che tu, Lapo ed io, uno dei massimi esponenti della scuola due-trecentesca del Dolce Stil Novo. La definizione della corrente letteraria è data dallo stesso Alighieri nel canto XXIV del Purgatorio ed il capostipite dei principi dello Stilnovismo è rintracciato dai poeti che vi aderirono nel collega bolognese Guido Guinizzelli, autore della canzone-manifesto Al cor gentil rempaira sempre amore. I principi cantati da Guinizzelli, che Dante e Cavalcanti faranno propri, si rifanno a un'esperienza amorosa vivificante, vissuta nella contemplazione di una donna-angelo, creatura che, essendo emanazione della volontà divina e delle sfere celesti, innalza l'amante alla trascendenza e la contemplazione, affettando i cuori capaci di "gentilezza", la nobiltà di spirito che li rende in grado di concepire un amore di tale tipo. Cavalcanti, in realtà, nella maggior parte dei propri componimenti, si discosta dagli altri stilnovisti, concependo le apparizioni della donna-angelo come qualcosa di sconvolgente e doloroso, talmente puro da sconvolgere il fallace intelletto umano e ammutolirlo.
Perch'i' no spero di tornar giammai ribalta parzialmente la dominante tematica cavalcantiana sull'amore, complice probabilmente la questione autobiografica legata all'esilio. Il poeta aveva fama di essere ateo, dissoluto e miscredente ed era discendente di una famiglia ghibellina. Abbracciato in maturità il partito dei Guelfi Neri e ottenute varie cariche comunali a Firenze, fu esiliato in Liguria, a Sarzana, nell'anno 1300, a seguito dei continui scontri tra le fazioni comunali. Dante Alighieri, che in quel periodo esercitava la carica di priore, firmò la sua condanna e il suo reintegro in città poco prima della morte. Da questi fatti è appunto tratta la tradizione che vuole la composizione della ballata in questo periodo. Interpretazioni più recenti, tuttavia, vedono nel componimento un'adesione al tema, frequentissimo nel Duecento, dell'amore lontano e della nostalgia, incentrati sul ricordo e il desiderio di ricongiungimento con la donna amata (secondo una linea che ha il suo capostipite nel poeta provenzale Jaufré Rudel). La situazione descritta nella ballata potrebbe dunque anche essere di estrazione puramente letteraria e slegata dalle vicende biografiche dell'autore.
Tematico
Perch'i' no spero di tornar giammai fonde alcuni dei temi tipici di Cavalcanti con tematiche del tutto nuove e originali, dall'aspetto romantico e intimistico. Il componimento è un'esortazione che il poeta rivolge tramite numerose ed accorate apostrofi (vv. 2-17-27-31) alla ballata stessa, cui affida il compito, già dalla prima strofa, di raggiungere al proprio posto la donna amata per informarla delle sue sventure (le "novelle di sospiri", v. 7).
La seconda stanza è incentrata sulla ricezione della ballata, di cui il poeta indica i destinatari in coloro che non siano nemici di "gentil natura". Si tratta dell'espressione chiave dello Stil Novo, che vede solo alcuni uomini capaci di comprendere l'amore che il poeta prova e con esso il dolore lancinante che segue alla separazione dalla donna, che Cavalcanti, com'egli afferma, potrebbe continuare a provare anche al di là della morte, privato persino del riconoscimento poetico.
Il tema della morte è quello principale della terza stanza e Cavalcanti lo affronta ricorrendo al suo consueto armamentario razionale. Secondo la teoria medica predominante nel Medioevo, infatti, la salute corporea era frutto dell'equilibrio degli umori generati dagli organi interni. Il moto impazzito del cuore tormentato dall'amore e dalle sfortune provoca un disordine di tutto il corpo che porta l'autore al completo disfacimento fisico. È per tale ragione che il poeta scongiura la ballata, in finale di strofa, di portare l'anima con sé, separandola dal tormento del corpo destinato di lì a poco a rendere l'ultimo respiro.
Nella quarta stanza Cavalcanti si raccomanda con la ballata, affidandole le parole esatte con cui dovrà presentarsi al cospetto dell'amata attraverso la prosopopea "Questa vostra servente / vien per istar con voi, / partita da colui / che fu servo d'Amore." (vv. 33-36). Il poeta richiama il tema particolare della sua poesia rispetto a quella degli altri stilnovisti. L'amore-tormento che il poeta prova è fonte di annullamento e sbigottimento perché generato da una creatura di origine angelica che lo sconvolge. Il suo atteggiamento è perciò quello di una contemplazione passiva e muta che lo rende schiavo della volontà dell'amata. Questo elemento richiama il servitium amoris, concetto di origine provenzale per il quale l'amante si pone al completo servizio di colei che ama, senza avere il coraggio né del resto la possibilità di sfuggire a un amore così intenso da renderlo profondamente infelice.
Il poeta conclude il componimento con due apostrofi rivolte alla propria voce e alla propria anima personificate, come lo è nel resto della lirica la stessa ballata, invitandole ad accompagnare la poesia nel viaggio che l'attende e a ragionare sulla condizione disfatta della mente, e di conseguenza del corpo, del loro "padrone". Cavalcanti si raccomanda a loro perché siano capaci di bearsi della presenza della donna amata lodandone la sovrumana bellezza e virtù.
Nel corso del componimento il poeta si sofferma più e più volte sull'angoscia intima e l'approssimarsi della morte. Tuttavia, invece di dirottare il proprio discorso sull'ambito filosofico o teologico, come spesso accade nel resto delle sue poesie, Cavalcanti si concentra sulle sfumature intime e malinconiche della delicatezza dei sentimenti provati. Ciò ha spinto Italo Calvino a definire Perch'i' no spero di tornar giammai una "poesia di leggerezza", fatta di immagini astratte e impalpabili.
Stilistico
Dal punto di vista metrico Perch'i' no spero di tornar giammai è una ballata stravagante di quattro strofe e una ripresa. Il genere della ballata, destinato in origine al canto, si definisce per la presenza di una ripresa (o ritornello) seguita da una o diverse strofe, dette stanze, costituite da due piedi di versi uguali e rimanti detti fronte e una seconda parte (sirma) che si lega e riprende il ritmo della ripresa. Nel nostro caso le strofe sono costituite da fronte (ABAB) e sirma (Bccddx). La lunghezza della ripresa determina la tipologia di ballata, quando essa è costituita da più di 4 versi (il nostro componimento ne conta 6) viene definita stravagante.
Come dichiarato esplicitamente nel v. 3, la ballata è "leggera e piana" e segue i precetti stilistici tipici dello stilnovismo tanto dal punto di vista lessicale che da quello sintattico. Nonostante l'uso sporadico di latinismi come "amistate" e di alcuni espedienti sintattici come enjambements ("la morte / mi stringe" (vv. 17-18); "l'adora / sempre" (vv. 45-46)) e anastrofi ("ma la tu' amistade / quest'anima che trema raccomando" (vv. 26-27)), la cadenzatura del periodo coincide generalmente con quella dei versi e i concetti esposti sono descritti con termini di agile comprensione.
Gli esperimenti retorici più interessanti sono dati dalla concatenazione di apostrofi e personificazioni – l'anima, la voce e soprattutto la ballata sono chiamate in causa come personaggi veri e propri–, di modo che l'interlocutore del poeta finisce per coincidere col componimento stesso e, volendo spingere l'analisi un po' più in là, la poesia assume i caratteri di un dialogo intimo e confidenziale che avviene tra le parti che compongono l'Io lacerato e scomposto del poeta, preso da una battaglia interiore che lo sta conducendo al disfacimento fisico e spirituale.
Confronti
Come detto, i temi di Perch'i' no spero di tornar giammai hanno un aspetto piuttosto singolare e atipico se confrontati con il resto della produzione di Cavalcanti. Il poeta tratta infatti spesso l'analisi del sentimento amoroso e della sua natura stupefacente, volgendo la classica riflessione stilnovistica sulla trascendenza dell'amore in investigazione intima tormentosa, che con i suoi caratteri fisici diventa una vera e propria indagine scientifica, aspetto che qui appare solo parzialmente nella terza stanza. Perch'i' no spero di tornar giammai presenta un amore-speranza, vissuto in punto di morte con toni smorzati e tinte tenui quasi consolatorie. È esemplare la descrizione che invece il poeta fa dell'amore nell'incipit della canzone-manifesto Donna mi prega perch'eo voglia dire:
Donna me prega, – per ch'eo voglio dire
d'un accidente – che sovente – è fero
ed è sì altero – ch'è chiamato amore:
sì chi lo nega – possa ‘l ver sentire!
L'amore è per Cavalvanti un "accidente", una catastrofe che sconvolge l'animo e lo tormenta sia spiritualmente, come accade nel sonetto Chi è questa che vèn ch'ogn'om la mira, sia fisicamente, tema principe di Voi che per gli occhi mi passaste il cuore, in cui il poeta descrive il sentimento come un dardo mortale che strazia il cuore e l'anima conducendo chi lo prova alla morte.
L'eterodossia di Cavalcanti, diviso dagli altri stilnovisti anche dall'ateismo e la fede politica, non conduce tuttavia a un'abiura dei principi cardine della corrente letteraria. In Perch'i' no spero di tornar giammai vediamo appunto il riferimento ai nemici di "gentil natura" che richiama il concetto centrale del maestro Guinizzelli in Al cor gentil rempaira sempre amore, la poesia-manifesto del movimento, in cui si affermava appunto il concetto di "gentilezza" come nobiltà d'animo data dalla natura del cuore e non dal lignaggio o la posizione sociale. Solo questi cuori sono capaci di amare, come del resto afferma Dante nel celebre verso del Canto V dell'Inferno "al cor gentil amor ratto s'apprende", mettendo in bocca queste parole agli amanti dannati Paolo e Francesca. Come per i due personaggi danteschi, l'amore è però per Cavalcanti qualcosa che può condurre alla sofferenza eterna, nonostante l'essere di origine miracolosa, la donna-angelo, da cui è generato.
Altro tema principe del componimento è quello dell'esilio, condizione che Cavalcanti soffre per pochissimo tempo ma molto frequente nel Medioevo, tant'è che sarà condivisa qualche anno più in là anche dall'amico Dante, che lamenterà la durezza dello "scendere e ‘l salir per l'altrui scale" (Paradiso, XVII). Si tratta poi di una problematica trattata a più riprese da poeti e scrittori eterodossi, costretti ad abbandonare la propria terra natia per fedeltà alle proprie idee, come accadde tra XVII e XIX secolo ad Ugo Foscolo, ad esempio, che compianse il proprio destino di esule nelle celebri poesie A Zacinto o In morte del fratello Giovanni.
Domande e Risposte
A quale raccolta appartiene il componimento?
Il componimento appartiene alle Rime di Cavalcanti, composte nel XIII secolo ma raccolte in un unico volume nel 1813.
Qual è il tema principale della lirica?
Il tema principale della lirica è il viaggio della ballata a recar notizie della sventurata fortuna del poeta all'amata.
Qual è la forma metrica del componimento?
Perch'i' no spero di tornar giammai è una ballata stravagante composta di una ripresa di 6 versi e quattro stanze di 10 versi in rima ABAB Bcc ddx.
Di quale corrente letteraria Cavalcanti è uno dei massimi esponenti?
Guido Cavalcanti è uno dei maggiori rappresentanti del Dolce Stil Novo.
In quale componimento Dante nomina l'amico Guido Cavalcanti?
Dante testimonia la sua amicizia per Guido in Guido, i' vorrei che tu, Lapo ed io.
A quale fazione politica comunale appartenne a Firenze Guido Cavalcanti?
Guido Cavalcanti militò tra le file dei Guelfi Neri.
Fonti: libri scolastici superiori