Parafrasi, Analisi e Commento di: "La quiete dopo la tempesta" di Giacomo Leopardi


Immagine Giacomo Leopardi
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte

Scheda dell'Opera


Autore: Giacomo Leopardi
Titolo dell'Opera: Canti
Prima edizione dell'opera: 1831, presso l'editore Piatti
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Strofe libere di endecasillabi e settenari, con rime libere



Introduzione


"La quiete dopo la tempesta" è una delle poesie più celebri di Giacomo Leopardi, composta nel 1829 e inserita nei "Canti". Questa poesia riflette la visione pessimistica del poeta sulla condizione umana, attraverso la descrizione di un paesaggio che si rasserena dopo una tempesta. Leopardi usa il contrasto tra il tumulto della natura e la calma che segue per evidenziare la fugacità dei momenti di gioia e la continua presenza del dolore nella vita. Attraverso un linguaggio semplice ma ricco di immagini vivide, il poeta esplora il rapporto tra l'uomo e la natura, sottolineando come le brevi tregue dalla sofferenza siano solo effimeri momenti di sollievo, piuttosto che vere e proprie gioie durature. La poesia si colloca all'interno della riflessione leopardiana sull'esistenza, dove il piacere è percepito solo come un intervallo dalla sofferenza, anziché come uno stato stabile e raggiungibile.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Passata è la tempesta:
2. odo augelli far festa, e la gallina,
3. tornata in su la via,
4. che ripete il suo verso. Ecco il sereno
5. rompe lá da ponente, alla montagna:
6. sgombrasi la campagna,
7. e chiaro nella valle il fiume appare.
8. Ogni cor si rallegra, in ogni lato
9. risorge il romorio,
10. torna il lavoro usato.
11. L'artigiano a mirar l'umido cielo,
12. con l'opra in man, cantando,
13. fassi in su l'uscio; a prova
14. vien fuor la femminetta a côr dell'acqua
15. della novella piova;
16. e l'erbaiuol rinnova
17. di sentiero in sentiero
18. il grido giornaliero.
19. Ecco il sol che ritorna, ecco sorride
20. per li poggi e le ville. Apre i balconi,
21. apre terrazzi e logge la famiglia:
22. e, dalla via corrente, odi lontano
23. tintinnio di sonagli; il carro stride
24. del passeggier che il suo cammin ripiglia.

25. Si rallegra ogni core.
26. Sí dolce, sí gradita
27. quand'è, com'or, la vita?
28. Quando con tanto amore
29. l'uomo a' suoi studi intende?
30. o torna all'opre? o cosa nova imprende?
31. quando de' mali suoi men si ricorda?
32. Piacer figlio d'affanno;
33. gioia vana, ch'è frutto
34. del passato timore, onde si scosse
35. e paventò la morte
36. chi la vita abborria;
37. onde in lungo tormento,
38. fredde, tacite, smorte,
39. sudâr le genti e palpitâr, vedendo
40. mossi alle nostre offese
41. folgori, nembi e vento.

42. O natura cortese,
43. son questi i doni tuoi,
44. questi i diletti sono
45. che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
46. è diletto fra noi.
47. Pene tu spargi a larga mano; il duolo
48. spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
49. che per mostro e miracolo talvolta
50. nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
51. prole cara agli eterni! assai felice
52. se respirar ti lice
53. d'alcun dolor; beata
54. se te d'ogni dolor morte risana.
1. La tempesta è appena cessata:
2. sento gli uccelli che cinguettano allegri, e la gallina
3. tornata sulla strada
4. ripetere assiduamente il suo verso. Ecco il cielo sereno
5. da ovest verso la montagna squarcia irrompendo tra le nuvole;
6. si rischiara di luce il paesaggio della campagna
7. e il fiume appare luminoso nella valle.
8. Ognuno si rallegra nel proprio cuore, da ogni parte
9. riprendono i rumori di prima,
10. si ritorna alle attività consuete.
11-13. L'artigiano si affaccia sulla porta cantando con gli strumenti da lavoro in mano ad ammirare il cielo ancora umido di pioggia; di corsa come se fosse in gara con qualcuno
14. esce la giovane ragazza a raccogliere dell'acqua
15. della recente pioggia;
16. e il venditore di ortaggi torna a ripetere,
17. percorrendo il proprio cammino di sentiero in sentiero,
18. il suo grido quotidiano.
19. Ecco il sole che torna, ecco che risplende
20-21. attraverso le colline e le case. I domestici delle famiglie più ricche aprono balconi, terrazze e porticati:
22. e dalla strada maestra si sente un lontano
23. tintinnio di sonagli; il carro rumoreggia
24. poiché il passeggero ha ripreso il proprio cammino.

25. Tutti si rallegrano nel proprio cuore.
26-27. Quando la vita è così piacevole e gradita come lo è in momenti come questi?
28-29. Quando capita che l'uomo si dedichi alle proprie occupazioni con tanta passione?
30. O ritorni ad impegnarsi nelle sue consuete attività? O intraprenda qualcosa di nuovo?
31. Quando, cioè, si ricorda meno delle proprie sofferenze?
32. Il piacere deriva solo dal dolore;
33. è una gioia illusoria che nasce
34-36. dalla paura appena passata, a causa della quale coloro che odiavano prima la vita si spaventarono e temettero davvero la morte;
37-41. a causa della quale le persone che erano fredde come il ghiaccio, ammutolite e pallide per il lungo spavento sudarono e furono sorpresi dalle palpitazioni del loro cuore, vedendo scatenati contro di noi, per il solo sfizio di farci del male, i fulmini, le nubi e il vento della tempesta.

42. O natura generosa,
43. sono questi i tuoi doni,
44. questi sono i piaceri
45. che offri agli uomini. Sfuggire a una sofferenza
46. è per noi motivo di piacere.
47. Tu semini campi sterminati di sofferenze; il dolore
48. È il frutto che cresce spontaneamente da tal semina: tanto che quella piccola quantità di piacere
49. che per prodigio o per miracolo imprevisto qualche volta
50. nasce dalla cessazione della sofferenza è un grande vantaggio.
51. Specie umana cara agli dei! Dovresti essere assai contenta
52-54. se ti è permesso tirare un sospiro di sollievo dopo un dolore: e ancora più felice se la morte ti scampa per sempre al male dell'esistenza.



Parafrasi discorsiva


[vv. 1-24] La tempesta è appena cessata: sento gli uccelli che cinguettano allegri, e la gallina tornata sulla strada ripetere assiduamente il suo verso. Ecco il cielo sereno da ovest verso la montagna squarcia irrompendo tra le nuvole; si rischiara di luce il paesaggio della campagna e il fiume appare luminoso nella valle. Ognuno si rallegra nel proprio cuore, da ogni parte riprendono i rumori di prima, si ritorna alle attività consuete. L'artigiano si affaccia sulla porta cantando con gli strumenti da lavoro in mano ad ammirare il cielo ancora umido di pioggia; di corsa come se fosse in gara con qualcuno esce la giovane ragazza a raccogliere dell'acqua della recente pioggia; e il venditore di ortaggi torna a ripetere, percorrendo il proprio cammino di sentiero in sentiero, il suo grido quotidiano. Ecco il sole che torna, ecco che risplende attraverso le colline e le case. I domestici delle famiglie più ricche aprono balconi, terrazze e porticati: e dalla strada maestra si sente un lontano tintinnio di sonagli; il carro rumoreggia poiché il passeggero ha ripreso il proprio cammino.

[vv. 25-41] Tutti si rallegrano nel proprio cuore. Quando la vita è così piacevole e gradita come lo è in momenti come questi? Quando capita che l'uomo si dedichi alle proprie occupazioni con tanta passione? O ritorni ad impegnarsi nelle sue consuete attività? O intraprenda qualcosa di nuovo? Quando, cioè, si ricorda meno delle proprie sofferenze? Il piacere deriva solo dal dolore; è una gioia illusoria che nasce dalla paura appena passata, a causa della quale coloro che odiavano prima la vita si spaventarono e temettero davvero la morte; a causa della quale le persone che erano fredde come il ghiaccio, ammutolite e pallide per il lungo spavento sudarono e furono sorpresi dalle palpitazioni del loro cuore, vedendo scatenati contro di noi, per il solo sfizio di farci del male, i fulmini, le nubi e il vento della tempesta.

[vv. 42-54] O natura generosa, sono questi i tuoi doni, questi sono i piaceri che offri agli uomini. Sfuggire a una sofferenza è per noi motivo di piacere. Tu semini campi sterminati di sofferenze; il dolore È il frutto che cresce spontaneamente da tal semina: tanto che quella piccola quantità di piacere che per prodigio o per miracolo imprevisto qualche volta nasce dalla cessazione della sofferenza è un grande vantaggio. Specie umana cara agli dei! Dovresti essere assai contenta se ti è permesso tirare un sospiro di sollievo dopo un dolore: e ancora più felice se la morte ti scampa per sempre al male dell'esistenza.


Figure Retoriche


Enjambements: vv. 4-5, vv. 14-15, vv. 22-23, vv. 23-24, vv. 33-34, vv. 39-40, vv. 45-46, vv. 47-48, vv. 50-51, vv. 52-53: il poeta spezza i periodi nei versi sciolti per evidenziare le parole-chiave del ragionamento filosofico sulla teoria del piacere.

Apostrofi: v. 42, vv. 50-51: "o natura cortese": l'ultima sezione del componimento è rivolta direttamente e ironicamente alla natura matrigna, "Umana / prole cara agli eterni": gli ultimi versi sono rivolti, di nuovo ironicamente, all'umanità infelice.

Sineddoche: v. 8: "ogni cor": si indica con la figura ogni personaggio presente nel paesaggio evocato dal componimento.

Metafore: vv. 4-5, v. 19, v. 32, vv. 47-50: "il sereno / rompe", "ecco il Sol ... sorride". Il ritorno del cielo sereno è descritto con l'azzurro e il sole che si affacciano dalle nubi diradanti, "piacer figlio d'affanno". Il piacere, tema filosofico del componimento è paragonato al figlio della sofferenza, "Pene tu spargi a larga mano; il duolo / spontaneo sorge e di piacer, quel tanto / che per mostro e miracolo talvolta / nasce d'affanno, è gran guadagno": l'azione maligna della natura è descritta come una semina su campi sterminati i cui frutti sono dolore e piacere, il quale però è molto più raro.

Iperbato: v. 1, v. 7, vv. 23-24, v. 31, vv. 38-39, v. 54: "passata è la tempesta", "e chiaro nella valle il fiume appare", "il carro stride / del passegger", "de' mali suoi men si ricorda", "fredde, tacite, smorte / sudar le genti e palpitar", "te d'ogni dolor morte risana": il poeta studia melodicamente il ritmo sintattico, le inversioni danno ritmo alto e solenne e rimediano all'assenza di versi regolari e rime.

Domanda retorica: vv. 26-27, vv. 28-29, v. 30, v. 31: "Sì dolce, sì gradita / quand'è, com'or, la vita?", "Quando con tanto amore / l'uomo a' suoi studi intende?", "o torna all'opre? o cosa nova imprende?", "quando de' mali suoi men si ricorda?": la serie di interrogative retoriche rompe la descrizione del quadro paesaggistico e introduce la riflessione filosofica conseguente.

Allitterazioni: v. 1, v. 9, v. 18, vv. 21-24: della "p", "s", "t": "passata è la tempesta". Della "r": "risorge il romorio". Della "r" e della "g": "il grido giornaliero". Della "r" e del gruppo "gl": "terrazzi", "famiglia", "corrente", "sonagli", "carro", "stride", "ripiglia": il poeta riproduce fonicamente i rumori che gradualmente riempiono la quiete dopo la tempesta.

Anafore: vv. 4, 19, vv. 8, 25, vv. 20-21, v. 26, vv. 27-28, 31, vv. 34, 37, vv. 43-44: "ecco ... ecco", "ogni... ogni", "apre ... apre", "sì...sì", "quand'è... quando", "onde ... onde", "questi ... questi": la figura aggiunge enfasi poetica al ragionamento filosofica e alla descrizione del paesaggio. Anch'essa ha tuttavia natura ironica e prepara all'amara conclusione dell'ultima strofa.

Personificazione: vv. 2-3, v. 19: "il sereno / rompe là da ponente", "Ecco il sol [...] sorride": il cielo e il sole sono ritratti come umani che si affacciano a guardare la terra dall'alto.

Climax: vv. 4-7,vv. 26-31: "Ecco il sereno / rompe lá da ponente, alla montagna: / sgombrasi la campagna, / e chiaro nella valle il fiume appare.": il poeta percorre il percorso della luce che lentamente torna a illuminare la vallata, "Sì dolce, sì gradita / quand'è, com'or, la vita? /Quando con tanto amore / l'uomo a' suoi studi intende? / o torna all'opre? o cosa nova imprende? /quando de' mali suoi men si ricorda?": la serie di interrogative retoriche descrive l'eterno ciclo delle azioni e del lavoro umano.

Chiasmi: vv. 20-21, vv. 8-25, vv. 26-27, v. 38-41, vv. 43-44: "Apre i balconi, / apre terrazzi e logge la famiglia:", "Ogni cor si rallegra / [...] Si rallegra ogni core", "Sí dolce, sí gradita / quand'è, com'or, la vita?", "fredde, tacite, smorte, / sudâr le genti e palpitâr, vedendo / mossi alle nostre offese / folgori, nembi e vento.", "son questi i doni tuoi, / questi i diletti sono": figura su cui il poeta insiste che esprime sintatticamente il paradosso della natura del piacere, che nasce dal dolore e nel dolore è destinato a tornare.

Perifrasi: vv. 33-35: "gioia vana, ch'è frutto / del passato timore, onde si scosse / e paventò la morte / chi la vita abborria": il poeta esplicita il suo ragionamento dando una definizione filosofica e poetica del concetto di "piacere".

Asindeti: v. 38-41: "fredde, tacite, smorte, / sudâr le genti e palpitâr, vedendo / mossi alle nostre offese / folgori, nembi e vento.": la velocità della figura aiuta a evocare quella della tempesta precedente e della paura.

Ironia: vv. 42-54: "O natura cortese / [...] risana": l'intera ultima sezione del componimento è da leggere come una forma di sarcasmo contro la natura matrigna e la condizione amarissima degli uomini sulla terra.

Epifrasi: vv. 50-54: "Umana / prole cara agli eterni! assai felice / se respirar ti lice / d'alcun dolor; beata / se te d'ogni dolor morte risana.": negli ultimi versi il poeta dichiara la propria opinione morale, per cui la natura della vita degli uomini è estremamente infelice e faticosa e può essere risarcita solo dal riposo della morte.


Analisi e Commento


Storico-letterario

La quiete dopo la tempesta è uno dei cosiddetti "grandi idilli" e fu composta da Leopardi nella sua città natale, Recanati, nel 1829. Con gli altri componimenti di questo periodo (1828-31), detti anche "canti pisano-recanatesi" dal luogo di composizione, entrò a far parte nella prima edizione dei Canti (Piatti) del 1831. Oltre alla Piatti, dei Canti si contano altre due edizioni, quella aggiornata e aumentata nel 1835 e la definitiva del 1845, dopo la morte dell'autore, che contiene l'intera produzione del grande poeta marchigiano.

Nei "grandi idilli", che si differenziano dai "piccoli" scritti in età giovanile, Leopardi torna alla poesia, dopo l'intervallo di sei anni dedicato alla prosa delle Operette morali. Queste poesie, a differenza degli idilli giovanili, sono pervase dalla consapevolezza dell'"arido vero", causata dalla "strage delle illusioni".

La quiete dopo la tempesta è una delle poesie più conosciute e significative scritte da Leopardi e presenta numerose affinità con altri componimenti recanatesi, come Il sabato del villaggio o La sera del dì di festa. Il poeta, in questo periodo della sua vita, ritiene la Natura matrigna e nemica della specie umana ed espone in questa lirica la "teoria del piacere", per cui l'uomo può conoscere la felicità solo al termine di una lunga e grande sofferenza. Il cosiddetto pessimismo leopardiano si rivolge in maniera ironica contro la tracotanza dei progressisti del XIX secolo, che esaltavano la condizione umana. Nella sua originalità e la sua formulazione filosofica sulla natura del piacere, in direzione ostinata e contraria rispetto ai suoi contemporanei, che non sempre lo apprezzarono proprio a causa della congenita malinconia dei suoi scritti, Leopardi si è dimostrato ai posteri un precursore della filosofia di Schopenauer, Nietzsche e delle novecentesche basi della psicanalisi formulate da Sigmund Freud.

Tematico

La struttura compositiva del componimento La quiete dopo la tempesta è simile a quella de Il sabato del villaggio o La sera del dì di festa: queste poesie si avviano con una parte descrittiva a cui segue una parte di riflessione esistenziale e filosofica sulla condizione umana. In questo caso Leopardi si sofferma sulla natura del piacere. Come il contemporaneo filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, che affermava che «la vita è come un pendolo che oscilla tra dolore e noia», per Leopardi il piacere ha un'essenza fondamentalmente negativa e mai consolatoria.

La parte descrittiva del componimento si realizza con l'alternarsi di sensazioni visive e uditive, ma non si tratta di una descrizione oggettiva, bensì è tutta basata su elementi della poetica del "vago e indefinito": compaiono, infatti, suoni lontani, spazi vasti e indeterminati, indicazioni paesaggistiche essenziali, in cui, secondo la teoria della "doppia visione", enunciata nello Zibaldone, al paesaggio reale si sovrappone continuamente quello creato con l'immaginazione. Il paesaggio campagnolo festoso e allegro in cui è tornato il sereno dopo un temporale, che il poeta sembra osservare dall'alto, è una chiara metafora delle gioie passeggere della vita. L'immagine evocata sembrerebbe lieta e consolatoria, ma ecco che il poeta, con una serie di interrogative retoriche in cui descrive il ritmo del lavoro incessante degli uomini (vv. 25-31) apre la scena dell'impietosa analisi filosofica a cui paradossalmente la serenità della scena lo conduce.

Il ritmo più lento e prosastico della seconda parte è dedicato alla riflessione concettuale e filosofica e alla vera e propria formulazione della "teoria del piacere": metaforicamente definito "figlio d'affanno", esso può scaturire solo dalla cessazione di un dolore, in quanto la natura, ormai considerata da Leopardi "matrigna", porta agli uomini solo sofferenza. Con l'apostrofe "o natura cortese" (v.42) si apre la conclusione della lirica e del ragionamento, tutta da leggere in chiave ironica. Leopardi infatti esalta sarcasticamente i "doni della natura" e li paragona ai frutti di un campo seminato di sofferenza (metafora ai vv. 47-50). Rivolgendosi con una nuova apostrofe poi all'"umana / prole cara agli eterni", ossia i suoi fratelli esseri umani, chiude il ragionamento con un'epifrasi dal tono ironico e amarissimo, in cui afferma che l'umanità deve essere contenta del fatto che gli è concesso appena di respirare e che la morte prima o poi arrivi a scamparla dal dolore della vita.

La morte ha dunque un valore estremo e liberatorio, in quanto l'uomo è, per natura, destinato a soffrire. Il piacere, dunque, non può assumere connotazioni positive, bensì è solo l'illusione momentanea della cessazione delle pene. Le due parti della poesia sono perciò strettamente collegate tra loro. L'illusione della scena descritta all'inizio è subito spenta dall'amara consapevolezza dell'impossibilità di conseguire una stabile felicità. A tale scopo, ha profonda importanza la presenza costante di un'ironia antifrastica, in particolare nella terza e ultima strofa, che offre la chiave di interpretazione della poesia: l'amaro sarcasmo leopardiano si rivolge, come spesso accade, contro la natura ostile, tutt'altro che "cortese", che non offre "doni" e "diletti" agli uomini ma solo dolori e sofferenze.

Stilistico

La quiete dopo la tempesta è formata da 54 versi disposti in tre strofe libere di endecasillabi e settenari disposti irregolarmente. Come da manuale, i versi leopardiani sono sciolti, ossia privi di schema rimico regolare, sebbene in questo componimento si contino alcune rime baciate (vv.5-6; 15-16; 17-18; 26-27; 29-30; 51-52) e la celebre rimalmezzo dei primi 2 versi ("Passata è la tempesta / odo augelli far festa"). Leopardi fa un ampio uso degli enjambements (vv. 4-5; vv. 14-15; vv. 22-23; vv. 23-24; vv. 33-34; vv. 39-40; vv. 45-46; vv. 47-48; vv. 50-51; vv. 52-53) per evidenziare i termini chiave del concetto principale trattato nella poesia, ossia la natura del piacere.

La contrapposizione tra la prima parte del componimento, di natura descrittiva, e la seconda, di carattere argomentativo, è presente anche dal punto di vista sintattico: nella prima parte, i periodi sono brevi e semplici; nella seconda prevalgono periodi lunghi e complessi con numerose inversioni e iperbati (v. 1: "passata è la tempesta"; v. 7: "e chiaro nella valle il fiume appare"; vv. 23-24: "il carro stride / del passegger"; v. 31: "de' mali suoi men si ricorda"; vv. 38-39: "fredde, tacite, smorte / sudar le genti e palpitar"; v. 54: "te d'ogni dolor morte risana"). A sostegno del ragionamento paradossale condotto dal poeta, secondo il quale piacere e dolore sono l'uno conseguenti all'altro e strettamente legati, trova ampio spazio la figura del chiasmo (vv. 20-21 "Apre i balconi, / apre terrazzi e logge la famiglia:"; vv. 8-25 "Ogni cor si rallegra / [...] Si rallegra ogni core"; vv. 26-27 "Sí dolce, sí gradita / quand'è, com'or, la vita?"; v. 38-41 "fredde, tacite, smorte, / sudâr le genti e palpitâr, vedendo / mossi alle nostre offese / folgori, nembi e vento."; vv. 43-44 "son questi i doni tuoi, / questi i diletti sono")

Fondamentale nell'interpretazione del componimento è la natura profondamente ironica del testo. Anche nella prima parte, in cui viene descritto apparentemente l'idillio gioioso, l'ironia leopardiana si rivela attraverso l'eccessiva enfasi creata dalle anafore (vv. 4, 19: "ecco ... ecco"; vv. 8, 25: "ogni... ogni"; vv. 20-21: "apre ... apre"; v. 26: "sì...sì"; vv. 27-28, 31: "quand'è... quando"; vv. 34, 37: "onde ... onde"; vv. 43-44: "questi ... questi"). Il carattere della descrizione è perciò sarcastico, come poi sarà rivelato esplicitamente dalle numerose interrogative retoriche che preludono all'ironia e alle antifrasi dell'ultima strofa, dove la presa in giro del poeta alla condizione umana diventa plateale e si conclude con l'epifrasi degli ultimi 3 versi.

Infine, si evidenzia l'opinione del critico Gianfranco Contini sulla natura lessicale del componimento, dove si rileva un «conflitto tra poeticità e prosasticità», poiché vi coesistono termini del tutto quotidiani (come "gallina") e parole auliche e poetiche (come "augelli").


Confronti


Pur maggiormente incentrata sul tema del piacere, La quiete dopo la tempesta è un componimento che presenta numerose affinità tematiche con il resto della produzione leopardiana, notoriamente improntata al tema della lotta contro la natura matrigna per un'impossibile ricerca della felicità. Nel corso della sua carriera poetica, che confluisce interamente nei Canti, Leopardi oscilla dall'attribuire un'incurabile miseria e infelicità solo a se stesso o all'intero genere umano. Nel periodo dei grandi idilli, a seguito della stesura delle Operette morali, Leopardi crede che sia tutto il genere umano a essere vittima della crudeltà della natura (si pensi a Dialogo tra la natura e un islandese nelle Operette). La poesia che più si avvicina alle tematiche della Quiete dopo la tempesta è Il sabato del villaggio, altro celebre componimento in cui il poeta esalta il momento in cui dopo le fatiche settimanali (assimilabili alla tempesta del nostro componimento) gli abitanti del villaggio fanno festa. Oltre alla comparsa di personaggi comuni (la celebre "donzelletta che vien dalla campagna" compare rapidamente anche nella Quiete), è la riflessione condotta sulla fatica a essere identica. Nel Sabato infatti l'attimo di gioia per la festa futura sarà spento dal ritorno ai cicli di lavoro, proprio come gli attimi di felicità dopo la tempesta sono sporadici prima del ritorno dei tormenti della natura.

In altri momenti della sua produzione poetica Leopardi invece attribuisce l'infelicità solo a se stesso, tormentato da malinconia e malattie, mentre osserva i giovani recanatesi liberi di godersi la vita. Concetto che il poeta esprime poi esplicitamente, ad esempio, in Canto notturno di un pastore errante dall'Asia ("Questo io conosco e sento, / che degli eterni giri, / che dell'esser mio frale, / qualche bene o contento; avrà fors'altri; / a me la vita è male"), prima di virare sulla spinta verso una lotta collettiva contro la natura che egli elabora negli ultimi componimenti della sua vita, parlando di "social catena" formata da tutti gli uomini per la sopravvivenza ne La ginestra, o il fiore del deserto.

Il villaggio che si risveglia dopo la tempesta è inoltre una tematica che sarà ripresa da Giosuè Carducci nella celebre lirica San Martino, in cui il poeta descrive la festa di un villaggio durante quel breve periodo autunnale in cui le temperature per qualche giorno si rialzano prima di dar spazio all'inverno, detto appunto "estate di San Martino". La tematica carducciana trova molti punti di contatto con la teoria del piacere di Leopardi, perché il villaggio della sua poesia è circondato dalla "nebbia agli irti colli" che "piovigginando sale/ e sotto il maestrale / urla e biancheggia il mare". Si tratta appunto di uno scenario tempestoso che avvolge il breve periodo di festa, destinato presto a spegnersi ed essere inghiottito dal freddo invernale, proprio come il piacere leopardiano è un attimo di quiete destinato a tornare presto tra i venti della tempesta.


Domande e Risposte


In quale opera compare La quiete dopo la tempesta?
La quiete dopo la tempesta fa parte dei Canti leopardiani.

Di quale periodo poetico è parte il componimento?
Il componimento è uno dei "grandi idilli" o "canti pisano-recanatesi" scritti tra il 1828 e il 1831.

Qual è il tema principale del componimento?
Il tema principale del componimento è una riflessione sulla teoria del piacere.

Qual è la forma metrica della poesia?
La quiete dopo la tempesta è formata da 54 versi sciolti disposti in tre strofe libere di endecasillabi e settenari disposti irregolarmente.

A cosa può essere assimilata la tempesta?
La tempesta è l'insieme dei dolori passati al termine dei quali si può provare, secondo Leopardi, un attimo di gioia.

Quale figura retorica è realizzata nel famosissimo verso "Piacer figlio d'affanno"?
La figura retorica in questione è una metafora.

Fonti: libri scolastici superiori

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