Parafrasi, Analisi e Commento di: "Italia mia, benché ’l parlar sia indarno" di Francesco Petrarca
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
Scheda dell'Opera
Autore: Francesco Petrarca
Titolo dell'Opera: Rerum vulgarium fragmenta (Canzoniere)
Prima edizione dell'opera: Tra il 1336 e il 1374
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Canzone di sette strofe in endecasillabi e settenari, divisa in piedi e sirma, con schema AbC BaC cDEeDdfGfG, più un congedo.
Introduzione
"Italia mia, benché ’l parlar sia indarno" è uno dei sonetti più celebri di Francesco Petrarca, contenuto nel Canzoniere. Composto in un periodo di profonde divisioni politiche e sociali, il testo è un'accorata invocazione all'unità dell'Italia, allora frammentata in molti piccoli stati in lotta tra loro. Petrarca esprime il suo dolore e la sua preoccupazione per la patria, rappresentata come una madre ferita, e si appella ai potenti affinché mettano fine alle guerre fratricide. La poesia, con il suo tono solenne e appassionato, rappresenta un manifesto di amore per l'Italia e di speranza per un futuro migliore.
Testo e Parafrasi puntuale
1. Italia mia, benché ’l parlar sia indarno 2. a le piaghe mortali 3. che nel bel corpo tuo sí spesse veggio, 4. piacemi almen che ’ miei sospir’ sian quali 5. spera ’l Tevero et l’Arno, 6. e ’l Po, dove doglioso et grave or seggio. 7. Rettor del cielo, io cheggio 8. che la pietà che Ti condusse in terra 9. Ti volga al Tuo dilecto almo paese. 10. Vedi, Segnor cortese, 11. di che lievi cagion’ che crudel guerra; 12. e i cor’, che ’ndura et serra 13. Marte superbo et fero, 14. apri Tu, Padre, e ’ntenerisci et snoda; 15. ivi fa che ’l Tuo vero, 16. qual io mi sia, per la mia lingua s’oda. 17. Voi cui Fortuna à posto in mano il freno 18. de le belle contrade, 19. di che nulla pietà par che vi stringa, 20. che fan qui tante pellegrine spade? 21. perché ’l verde terreno 22. del barbarico sangue si depinga? 23. Vano error vi lusinga: 24. poco vedete, et parvi veder molto, 25. ché ’n cor venale amor cercate o fede. 26. Qual piú gente possede, 27. colui è piú da’ suoi nemici avolto. 28. O diluvio raccolto 29. di che deserti strani 30. per inondar i nostri dolci campi! 31. Se da le proprie mani 32. questo n’avene, or chi fia che ne scampi? 33. Ben provide Natura al nostro stato, 34. quando de l’Alpi schermo 35. pose fra noi et la tedesca rabbia; 36. ma ’l desir cieco, e ’ncontr’al suo ben fermo, 37. s’è poi tanto ingegnato, 38. ch’al corpo sano à procurato scabbia. 39. Or dentro ad una gabbia 40. fiere selvagge et mansüete gregge 41. s’annidan sí che sempre il miglior geme: 42. et è questo del seme, 43. per piú dolor, del popol senza legge, 44. al qual, come si legge, 45. Mario aperse sí ’l fianco, 46. che memoria de l’opra ancho non langue, 47. quando assetato et stanco 48. non piú bevve del fiume acqua che sangue. 49. Cesare taccio che per ogni piaggia 50. fece l’erbe sanguigne 51. di lor vene, ove ’l nostro ferro mise. 52. Or par, non so per che stelle maligne, 53. che ’l cielo in odio n’aggia: 54. vostra mercé, cui tanto si commise. 55. Vostre voglie divise 56. guastan del mondo la piú bella parte. 57. Qual colpa, qual giudicio o qual destino 58. fastidire il vicino 59. povero, et le fortune afflicte et sparte 60. perseguire, e ’n disparte 61. cercar gente et gradire, 62. che sparga ’l sangue et venda l’alma a prezzo? 63. Io parlo per ver dire, 64. non per odio d’altrui, né per disprezzo. 65. Né v’accorgete anchor per tante prove 66. del bavarico inganno 67. ch’alzando il dito colla morte scherza? 68. Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno; 69. ma ’l vostro sangue piove 70. piú largamente, ch’altr’ira vi sferza. 71. Da la matina a terza 72. di voi pensate, et vederete come 73. tien caro altrui che tien sé cosí vile. 74. Latin sangue gentile, 75. sgombra da te queste dannose some; 76. non far idolo un nome 77. vano senza soggetto: 78. ché ’l furor de lassú, gente ritrosa, 79. vincerne d’intellecto, 80. peccato è nostro, et non natural cosa. 81. Non è questo ’l terren ch’i’ toccai pria? 82. Non è questo il mio nido 83. ove nudrito fui sí dolcemente? 84. Non è questa la patria in ch’io mi fido, 85. madre benigna et pia, 86. che copre l’un et l’altro mio parente? 87. Perdio, questo la mente 88. talor vi mova, et con pietà guardate 89. le lagrime del popol doloroso, 90. che sol da voi riposo 91. dopo Dio spera; et pur che voi mostriate 92. segno alcun di pietate, 93. vertú contra furore 94. prenderà l’arme, et fia ’l combatter corto: 95. ché l’antiquo valore 96. ne gli italici cor’ non è anchor morto. 97. Signor’, mirate come ’l tempo vola, 98. et sí come la vita 99. fugge, et la morte n’è sovra le spalle. 100. Voi siete or qui; pensate a la partita: 101. ché l’alma ignuda et sola 102. conven ch’arrive a quel dubbioso calle. 103. Al passar questa valle 104. piacciavi porre giú l’odio et lo sdegno, 105. vènti contrari a la vita serena; 106. et quel che ’n altrui pena 107. tempo si spende, in qualche acto piú degno 108. o di mano o d’ingegno, 109. in qualche bella lode, 110. in qualche honesto studio si converta: 111. cosí qua giú si gode, 112. et la strada del ciel si trova aperta. 113. Canzone, io t’ammonisco 114. che tua ragion cortesemente dica, 115. perché fra gente altera ir ti convene, 116. et le voglie son piene 117. già de l’usanza pessima et antica, 118. del ver sempre nemica. 119. Proverai tua ventura 120. fra’ magnanimi pochi a chi ’l ben piace. 121. Di’ lor: – Chi m’assicura? 122. I’ vo gridando: Pace, pace, pace. – |
1. Italia mia, benché parlare sia vano 2. di fronte alle ferite mortali 3. che vedo così numerose nel tuo bel corpo, 4. voglio almeno che i miei sospiri siano come 5. li sperano le popolazioni di tutta Italia, presso il Tevere, l’Arno 6. e il Po, dove afflitto e pensieroso mi trovo ora. 7. Dio, re dei cieli, io chiedo 8. che la pietà che ti condusse a scendere in terra 9. ti faccia volgere lo sguardo al fecondo (almo) paese che ami. 10. Vedi, Signore generoso, 11. che crudele guerra nasce da futili motivi; 12-13. e i cuori che il feroce e superbo Marte inasprisce e chiude (=”‘ndura et serra”) all’amore, 14. aprili tu, Padre, addolciscili e schiudili. 15. Fa’ che ora la tua verità 16. sia ascoltata attraverso le mie parole, per quanto indegno io sia. 17. Voi signori d’Italia, a cui la sorte ha affidato le redini 18. delle belle regioni, 19. di cui sembra che non abbiate nessuna pietà, 20. cosa fanno qui tanti eserciti stranieri? 21. forse affinché il fertile suolo italiano 22. si tinga di sangue di altri popoli? 23. Un’erronea speranza vi alletta: 24. vedete poco, e vi sembra di vedere molto, 25. perché cercate partecipazione e fedeltà negli animi venali dei soldati mercenari. 26. Chi ha un esercito di mercenari più numeroso 27. è più circondato da nemici. 28. O catrastrofe proveniente 29. da chissà quali aridi paesi stranieri, 30. per invadere le nostre belle terre! 31. Se ci procuriamo questo con le nostre mani, 32. chi mai potrà salvarci? 33. La natura si occupò bene della nostra condizione, 34. quando le Alpi come barriera 35. pose fra noi e il furore dei popoli germanici; 36. ma l’avidità, che è cieca e agisce ostinatamente contro il proprio interesse, 37. si è poi ingegnata tanto 38. da procurare malattia a un corpo inizialmente sano. 39. Ora si rifugiano nella stessa gabbia 40. bestie selvagge e animali mansueti, 41. di modo che a soffrire sono i migliori; 42. e questo 43. – ad aumentare la gravità – ci deriva dal popolo senza civiltà 44. al quale, come si legge, 45. il console Gaio Mario sconfisse così duramente, 46. che ancora non viene meno la memoria dell’avvenimento, 47-48. quando i fiumi erano stati così riempiti di sangue dei nemici che, abbeverandosi stanco e assetato (=”assetato et stanco “) ad essi, bevve quasi più sangue che acqua. 49. Per non parlare di Cesare, che per ogni pianura 50. rese i prati pieni del sangue 51. dei loro corpi, in cui affondò le spade italiane. 52. Ora sembra, per l’influsso di non so quali costellazioni maligne, 53. che il cielo ci abbia in odio: 54. “merito” vostro, a cui è stato affidato un incarico tanto importante. 55. Le vostre brame discordi 56. rovinano la terra più bella del mondo. 57. Quale colpa degli uomini, o decisione celeste, o destino 58. è quello di avere in odio il vicino 59. meno potente, di accanirsi contro i suoi averi già 60. devastati e dispersi, 61. e cercare in paesi lontani e preferire soldati 62. che versino sangue e vendano l’anima dietro compenso? 63. Io parlo per amore di verità, 64. non per risentimento o disprezzo di altri. 65. E ancora non vi accorgete, nonostante lo abbiate provato tante volte, 66. di come vi ingannano questi Tedeschi, 67. che – in caso di reale pericolo – scherzano con la morte alzando il dito (in segno di resa)? 68. A mio parere la beffa subìta è peggio del danno ricevuto; 69. invece il sangue di voi Italiani è versato 70. copiosamente, perché vi muove un odio diverso, reale, non simulato. 71-72. Riflettete sulla vostra condizione al mattino presto, in un momento di lucidità, e vedrete quanta 73. dedizione può mai avere nei confronti di altri chi ritiene sé stesso così vile da combattere a pagamento. 74. Nobile stirpe latina, 75. allontana da te questo fardello dannoso; 76-77. non idolatrare la fama immeritata di questi eserciti tedeschi, cui non corrisponde la realtà di fatto: 78. perché il fatto che la rabbia dei popoli settentrionali, gente selvatica, 79. ci superi in intelligenza, 80. è una nostra colpa, e non un evento normale. 81. Non è forse questa la terra dove nacqui? 82. Non è questa la mia terra 83. dove fui allevato così dolcemente? 84. Non è questa la patria a cui mi affido, 85. madre benevola e devota, 86. dove sono sepolti entrambi i miei genitori? 87. Perdio, questi pensieri la mente 88. talvolta vi scuotano, e osservate con pietà 89. le lacrime del popolo sofferente, 90-91. che, a parte che da Dio, solo da voi spera di ricevere la pace. Purché voi mostriate 92. un qualche segno di pietà, 93. la virtù degli Italiani contro la follia dei Tedeschi 94. prenderà le armi, e sarà una lotta breve, 95. perché l’antico valore del popolo romano 96. non è ancora scomparso dai cuori italiani. 97. Signori, osservate come vola il tempo, 98. come la vita 99. fugge, e la morte già incombe su di noi. 100. Ora siete qui, ma pensate al trapasso: 101. poiché l’anima sola e spoglia 102. certamente arriverà a quell’incerto passaggio. 103. Nell’attraversare questa vita, 104. vogliate abbandonare l’odio e lo sdegno, 105. che spingono nella direzione opposta rispetto a un’esistenza tranquilla; 106-112. e quel tempo che si spende nell’arrecare sofferenza agli altrui, si trasformi in qualche opera più meritevole o manuale o intellettuale, in un’attività che vi procuri onore, in qualche nobile impresa. In questo modo si ottiene la felicità qui sulla terra, e si trova aperta la strada del cielo. 113. Canzone, ti raccomando 114. di esporre i tuoi argomenti con cortesia, 115. perché è necessario che tu vada fra signori superbi, 116. e i loro atteggiamenti sono pieni 117. di pessime e radicate consuetudini, 118. sempre nemiche della verità. 119. Tenterai la tua fortuna 120. fra quei pochi magnanimi amanti del bene. 121. Dici loro: “Chi mi prende sotto la sua protezione? 122. Io invoco la pace”. |
Parafrasi discorsiva
Italia mia, benché parlare sia vano di fronte alle ferite mortali che vedo così numerose nel tuo bel corpo, voglio almeno che i miei sospiri siano come li sperano le popolazioni di tutta Italia, presso il Tevere, l’Arno e il Po, dove afflitto e pensieroso mi trovo ora. Dio, re dei cieli, io chiedo che la pietà che ti condusse a scendere in terra ti faccia volgere lo sguardo al fecondo (almo) paese che ami. Vedi, Signore generoso, che crudele guerra nasce da futili motivi; e i cuori che il feroce e superbo Marte inasprisce e chiude all’amore, aprili tu, Padre, addolciscili e schiudili. Fa’ che ora la tua verità sia ascoltata attraverso le mie parole, per quanto indegno io sia.
Voi signori d’Italia, a cui la sorte ha affidato le redini delle belle regioni, di cui sembra che non abbiate nessuna pietà, cosa fanno qui tanti eserciti stranieri? forse affinché il fertile suolo italiano si tinga di sangue di altri popoli? Un’erronea speranza vi alletta: vedete poco, e vi sembra di vedere molto, perché cercate partecipazione e fedeltà negli animi venali dei soldati mercenari. Chi ha un esercito di mercenari più numeroso è più circondato da nemici. O catrastrofe proveniente da chissà quali aridi paesi stranieri, per invadere le nostre belle terre! Se ci procuriamo questo con le nostre mani, chi mai potrà salvarci?
La natura si occupò bene della nostra condizione, quando pose fra noi e il furore dei popoli germanici le Alpi come barriera. Ma l’avidità, che è cieca e agisce ostinatamente contro il proprio interesse, si è poi ingegnata tanto da procurare malattia a un corpo inizialmente sano. Ora si rifugiano nella stessa gabbia bestie selvagge e animali mansueti, di modo che a soffrire sono i migliori; e questo – ad aumentare la gravità – ci deriva dal popolo senza civiltà che il console Gaio Mario sconfisse così duramente, che ancora non viene meno la memoria dell’avvenimento, quando i fiumi erano stati così riempiti di sangue dei nemici che, abbeverandosi stanco e assetato ad essi, bevve quasi più sangue che acqua.
Per non parlare di Cesare, che per ogni pianura rese i prati pieni del sangue dei loro corpi, in cui affondò le spade italiane. Ora sembra, per l’influsso di non so quali costellazioni maligne, che il cielo ci abbia in odio: “merito” vostro, a cui è stato affidato un incarico tanto importante. Le vostre brame discordi rovinano la terra più bella del mondo. Quale colpa degli uomini, o decisione celeste, o destino è quello di avere in odio il vicino meno potente, di accanirsi contro i suoi averi già devastati e dispersi, e cercare in paesi lontani e preferire soldati che versino sangue e vendano l’anima dietro compenso? Io parlo per amore di verità, non per risentimento o disprezzo di altri.
E ancora non vi accorgete, nonostante lo abbiate provato tante volte, di come vi ingannano questi Tedeschi, che – in caso di reale pericolo – scherzano con la morte alzando il dito (in segno di resa)? A mio parere la beffa subìta è peggio del danno ricevuto; invece il sangue di voi Italiani è versato copiosamente, perché vi muove un odio diverso, reale, non simulato. Riflettete sulla vostra condizione al mattino presto, in un momento di lucidità, e vedrete quanta dedizione può mai avere nei confronti di altri chi ritiene sé stesso così vile da combattere a pagamento. Nobile stirpe latina, allontana da te questo fardello dannoso; non idolatrare la fama immeritata di questi eserciti tedeschi, cui non corrisponde la realtà di fatto: perché il fatto che la rabbia dei popoli settentrionali, gente selvatica, ci superi in intelligenza, è una nostra colpa, e non un evento normale.
Non è forse questa la terra dove nacqui? Non è questa la mia terra dove fui allevato così dolcemente? Non è questa la patria a cui mi affido, madre benevola e devota, dove sono sepolti entrambi i miei genitori? Perdio, questi pensieri talvolta vi scuotano la mente, e osservate con pietà le lacrime del popolo sofferente, che, a parte che da Dio, solo da voi spera di ricevere la pace. Purché voi mostriate un qualche segno di pietà, la virtù degli Italiani prenderà le armi contro la follia dei Tedeschi; e sarà una lotta breve, perché l’antico valore del popolo romano non è ancora scomparso dai cuori italiani.
Signori, osservate come vola il tempo, come la vita fugge, e la morte già incombe su di noi. Ora siete qui, ma pensate al trapasso: poiché certamente l’anima arriverà a quell’incerto passaggio sola e spoglia. Nell’attraversare questa vita, vogliate abbandonare l’odio e lo sdegno, che spingono nella direzione opposta rispetto a un’esistenza tranquilla; e quel tempo che si spende nell’arrecare sofferenza agli altrui, si trasformi in qualche opera più meritevole o manuale o intellettuale, in un’attività che vi procuri onore, in qualche nobile impresa. In questo modo si ottiene la felicità qui sulla terra, e si trova aperta la strada del cielo.
Canzone, ti raccomando di esporre i tuoi argomenti con cortesia, perché è necessario che tu vada fra signori superbi, e i loro atteggiamenti sono pieni di pessime e radicate consuetudini, sempre nemiche della verità. Tenterai la tua fortuna fra quei pochi magnanimi amanti del bene. Dici loro: “Chi mi prende sotto la sua protezione? Io invoco la pace”.
Figure Retoriche
Enjambements: vv. 17-18, vv. 58-59, vv. 76-77, vv. 116-117.
Anastrofi: v. 22, v. 26, vv. 34-35, v. 34, v. 48, v. 56, vv. 59-60, v. 67, v. 68, v. 72, vv. 87-88, v. 94, v. 114, v. 115: “del barbarico sangue si depinga”, “più gente possede”, “schermo/ pose”, “de l’Alpi schermo”, “del fiume acqua”, “del mondo la più bella parte”, “le fortune afflicte et sparte / perseguire”, “colla morte scherza”, “peggio è lo strazio”, “di voi pensate”, “questo la mente/ talor vi mova”, “fia ‘l combatter corto”, “tua ragion cortesemente dica”, “fra gente altera ir ti convene”.
Apostrofi: v. 1, v. 113: “Italia mia”, “canzone”.
Personificazione: v. 3: “corpo tuo”.
Sineddoche: vv. 5-6: “‘l Tevere et l’Arno,/ e ‘l Po”.
Dittologie: v. 6, v. 12, v. 13, v. 14, v. 59, v. 85, v. 104: “doglioso et grave”, “‘ndura et serra”, “superbo e fero”, “‘ntenerisci et snoda”, “afflicte et sparte”, “benigna et pia”, “l’odio et lo sdegno”.
Paradosso: v. 11: “di che lievi cagion’ che crudel guerra”.
Antitesi: vv. 12-14, v. 24, vv. 63-64, v. 80: “che ‘ndura et serra/ Marte superbo et fero,/ apri Tu”, “poco vedete, et parvi veder molto”, “per ver dire,/ non per odio d’altrui”, “peccato è nostro, et non natural cosa”.
Metafore: v. 17, v. 28, v. 38, vv. 39-41, v. 75, v. 82, v. 103, v. 105, v. 112: “il freno”, “diluvio”, “al corpo sano à procurato scabbia”, “dentro ad una gabbia fiere selvagge et mansüete gregge s’annidan”, “some”, “nido”, “valle”, “vènti”, “la strada del ciel”.
Epifrasi: v. 14, v. 25, v. 64: “apri Tu, Padre, e ‘ntenerisci et snoda”, “amor cercate o fede”, “per odio d’altrui, né per disprezzo”.
Metonimia: v. 20, v. 35, v. 42, v. 51, v. 74, v. 78: “spade”, “la tedesca rabbia”, “seme”, “ferro”, “sangue”, “‘l furor”.
Chiasmi: v. 24, v. 40, v. 73: “poco vedete, et parvi veder molto“, “fiere selvagge et mansüete gregge“, “caro altrui… sé così vile".
Iperbato: v. 27, v. 48, vv. 106-107: “più da’ suoi nemici avolto”, “non più bevve del fiume acqua”, “quel che ‘n altrui pena/ tempo”.
Esclamazione: vv. 28-30: “O diluvio raccolto/ di che deserti strani/ per inondar i nostri dolci campi!”.
Domanda retorica: vv. 31-32, vv. 81-86: “Se da le proprie mani/ questo n’avene, or chi fia che ne scampi?”, “non è… parente?”.
Iperbole: v. 48: “più bevve del fiume acqua che sangue”.
Anafore: v. 57, vv. 81-85, vv. 107, 109-110: “qual… qual… qual”, “non è questo… non è questo… non è questa", “in qualche… in qualche… in qualche“.
Preterizione: v. 49: “Cesare taccio”.
Antifrasi: v. 54: “vostra mercè”.
Parallelismo: v. 62: “sparga ‘l sangue et venda l’alma”.
Allitterazioni: v. 55: “Vostre Voglie divise”.
Commoratio: vv. 97-99: “Signor’, mirate come ’l tempo vola,/ et sí come la vita/ fugge, et la morte n’è sovra le spalle.”.
Prosopopea: vv. 121-122: “Di’ lor: – Chi m’assicura?/ I’ vo gridando: Pace, pace, pace.”.
Duplicazione: v. 122: “pace, pace, pace”.
Analisi e Commento
Il componimento Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno fa parte del libro di liriche del Petrarca, il Canzoniere (titolo originale: Rerum vulgarium fragmenta), raccolta di trecentosessantasei poesie che raccontano la storia dell’amore del poeta per Laura e la decisione, dopo la morte di lei, di abbandonare le illusioni mondane per cercare in Dio la fine degli affanni terreni e la salvezza.
Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno, però, non è un componimento d’amore, bensì uno dei non molti testi di argomento politico della raccolta petrarchesca. Si tratta anzi, con tutta probabilità, della canzone politica più famosa della letteratura italiana. La ragione occasionale della stesura del testo è incerta, ma pare debba essere la guerra fra gli Este e i Gonzaga per il dominio di Parma (1344-45). Il più immediato bersaglio contro cui si scaglia il componimento è l’impiego di milizie mercenarie straniere, in particolare tedesche, da parte degli eserciti combattenti. Ma è evidente che la circostanza specifica sia perlopiù tralasciata: la canzone sconfina decisamente dai limiti della semplice poesia d’occasione per allargarsi in più ampia riflessione non solo politica, ma anche etica.
Il testo si incentra così su una severa condanna delle lotte fratricide fra stati italiani, un accorato appello alla pace e alla pietà, un’esortazione ai Signori d’Italia perché ricompongano le loro discordie, facendo prevalere sui motivi di conflitto la coscienza di un comune paese d’origine e il compatimento per le popolazioni che implorano la fine delle guerre. Ma a questi temi si accompagna un’indignazione e quasi un risentimento nei confronti degli alamanni mercenari che alimentano i contrasti traendone guadagno.
L’opposizione fra Tedeschi e Italiani è concepita tramite il filtro della cultura classica, come contrapposizione fra Germani feroci e senza civiltà e Latini valorosi e virtuosi. Nell’ottica petrarchesca c’è continuità fra età antica e età moderna: le popolazioni d’Italia sono a tutti gli effetti eredi del glorioso passato romano, e sono dunque parte della loro storia le imprese belliche di Mario e di Cesare. Questa continuità fra classico e contemporaneo indirizza il poeta verso la veemente impennata dei vv. 93-96 (che saranno posti da Machiavelli a conclusione del Principe), in cui si auspica la riscossa dell’eroismo latino-italiano contro la selvaggia furia germanica.
L’orgoglio “patriottico” di questi versi esige alcune chiarificazioni. Nonostante sia inconcepibile, data l’epoca, intendere le parole di Petrarca in senso propriamente nazionalistico (uno stato italiano unitario era impensabile, e certo il poeta non aveva in mente nulla di simile), non si può negare che, rispetto per esempio a Dante, la differenza sia sensibilissima. Se il sentimento politico di Dante è confinato a una visione principalmente o esclusivamente municipalistica, locale, il punto di vista di Petrarca è invece di respiro ben più ampio. La funzione civile che Petrarca assegna al letterato – quella cioè di indipendenza personale e intellettuale, la prerogativa di potersi rapportare da pari a pari con i potenti, il porsi al di sopra delle parti – gli consente di rivolgere il proprio appello a tutti gli stati della penisola; allo stesso modo, il mito della romanità che gli veniva tramandato da fonti classiche e medievali gli permette di attribuire alle popolazioni d’Italia una presente unità di storia e comunità di interessi.
La dimensione politica della canzone non esclude momenti quasi di raccoglimento religioso, in particolare al principio e alla fine del testo. La prima strofa contiene infatti un’invocazione a Dio perché intervenga direttamente a toccare gli animi induriti dall’odio. Il rettor del cielo è contrapposto a Marte ed è chiamato a ispirare le parole del poeta proprio come una Musa pagana: nella multiforme e completa formazione del Petrarca, cultura classica e cultura cristiana interagiscono fortemente. Nell’ultima strofa, invece, si invita a meditare sull’imminenza della morte e sul destino ultraterreno di ogni uomo: per spianare la strada del ciel è necessario deporre l’odio e lo sdegno, dedicandosi ad attività meritevoli di lode. L’invito alla concordia si tinge in questo modo si sfumature spiccatamente religiose e assume i caratteri di un sentimento di carità in senso cristiano. Di qui si passa infine ai versi del congedo, dove è la canzone stessa ad avvicinare i potenti innalzando una triplice appassionata invocazione alla pace.
Lo stile del componimento Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno rispetta quanto si richiede al genere della canzone politica: linguaggio elevato, intonazione eloquente e solenne, tensione etico-morale, momenti di aspra deprecazione, punte antifrastiche (v. 54), secondo quanto stabilito dai modelli di Guittone (Ahi lasso) e Dante (in particolare Purg. VI), con cui sono avvertibili notevoli corrispondenze.
Fonti: libri scolastici superiori