Parafrasi, Analisi e Commento di: "Il pianto della scavatrice" di Pier Paolo Pasolini


Immagine Pier Paolo Pasolini
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte

Scheda dell'Opera


Autore: Pier Paolo Pasolini
Titolo dell'Opera: Le ceneri di Gramsci
Prima edizione dell'opera: 1957
Genere: Poesia lirica



Introduzione


"Il pianto della scavatrice" è una poesia di Pier Paolo Pasolini, inserita nella raccolta Le ceneri di Gramsci (1957). In questo componimento, l'autore riflette sul rapporto tra progresso e tradizione, mettendo in evidenza le contraddizioni del cambiamento urbanistico e sociale dell'Italia del dopoguerra. La scavatrice, simbolo del progresso e della modernizzazione, si contrappone alla memoria del passato, rappresentata dai quartieri popolari di Roma. Il pianto, nel titolo, evoca il dolore e la nostalgia per ciò che viene perduto con l'avanzare della modernità, tematiche centrali nell'opera pasoliniana.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Solo l'amare, solo il conoscere
2. conta, non l'aver amato,
3. non l'aver conosciuto. Dà angoscia

4. il vivere di un consumato
5. amore. L'anima non cresce più.
6. Ecco nel calore incantato

7. della notte che piena quaggiù
8. tra le curve del fiume e le sopite
9. visioni della città sparsa di luci,

10. scheggia ancora di mille vite,
11. disamore, mistero, e miseria
12. dei sensi, mi rendono nemiche

13. le forme del mondo, che fino a ieri
14. erano la mia ragione d'esistere.
15. Annoiato, stanco, rincaso, per neri

16. piazzali di mercati, tristi
17. strade intorno al porto fluviale,
18. tra le baracche e i magazzini misti

19. agli ultimi prati. Lì mortale
20. è il silenzio: ma giù, a viale Marconi,
21. alla stazione di Trastevere, appare

22. ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
23. alle loro borgate, tornano su motori
24. leggeri – in tuta o coi calzoni

25. di lavoro, ma spinti da un festivo ardore
26. i giovani, coi compagni sui sellini,
27. ridenti, sporchi. Gli ultimi avventori

28. chiacchierano in piedi con voci
29. alte nella notte, qua e là, ai tavolini
30. dei locali ancora lucenti e semivuoti.

31. Stupenda e misera città,
32. che m'hai insegnato ciò che allegri e feroci
33. gli uomini imparano bambini,

34. le piccole cose in cui la grandezza
35. della vita in pace si scopre, come
36. andare duri e pronti nella ressa

37. delle strade, rivolgersi a un altro uomo
38. senza tremare, non vergognarsi
39. di guardare il denaro contato

40. con pigre dita dal fattorino
41. che suda contro le facciate in corsa
42. in un colore eterno d'estate;

43. a difendermi, a offendere, ad avere
44. il mondo davanti agli occhi e non
45. soltanto in cuore, a capire

46. che pochi conoscono le passioni
47. in cui io sono vissuto:
48. che non mi sono fraterni, eppure sono

49. fratelli proprio nell'avere
50. passioni di uomini
51. che allegri, inconsci, interi

52. vivono di esperienze
53. ignote a me. Stupenda e misera
54. città che mi hai fatto fare

55. esperienza di quella vita
56. ignota: fino a farmi scoprire
57. ciò che, in ognuno, era il mondo.

58. Una luna morente nel silenzio,
59. che di lei vive, sbianca tra violenti
60. ardori, che miseramente sulla terra

61. muta di vita, coi bei viali, le vecchie
62. viuzze, senza dar luce abbagliano
63. e, in tutto il mondo, le riflette

64. lassù, un po' di calda nuvolaglia.
65. È la notte più bella dell'estate.
66. Trastevere, in un odore di paglia

67. di vecchie stalle, di svuotate
68. osterie, non dorme ancora.
69. Gli angoli bui, le pareti placide

70. risuonano d'incantati rumori.
71. Uomini e ragazzi se ne tornano a casa
72. – sotto festoni di luci ormai sole –

73. verso i loro vicoli, che intasano
74. buio e immondizia, con quel passo blando
75. da cui più l'anima era invasa

76. quando veramente amavo, quando
77. veramente volevo capire. E,
78. come allora, scompaiono cantando
1. Solo amare adesso, solo conoscere le cose in questo momento
2. È davvero importante, non l'aver amato in passato
3. Non l'aver conosciuto le cose com'erano una volta. Ciò che dà davvero angoscia

4-5. È continuare a vivere un amore consumato dal tempo. L'anima non trova più nutrimento.
6. Ecco nel calore surreale ("incantato")

7.di una notte che né piena qui sulle strade
8. tra le anse del fiume e l'addormentato
9. panorama della città costellata dalle luci dei palazzi,

10. in cui come schegge si muovono tantissime vite
11. con la loro rassegnazione, i loro segreti e la loro aridità
12. dei sensi, che mi rendono avverse e disprezzabili

13. i contorni che il mondo assume ai miei occhi, che solo fino a ieri
14. erano ciò che più dava gioia di vivere.
15. In preda alla noia, stanco di queste sensazioni, prendo la strada di casa, attraversi bui

16. piazzali notturni dove di giorno si trovano i mercati, desolate
17. strade che corrono intorno al porto fluviali
18. attraversando le baracche e i magazzini che si alzano

19. tra gli ultimi prati rimasti in questa parte di Roma. Laggiù è come quello della morte
20. il silenzio: ma giù, verso viale Marconi,
21. alla stazione di Trastevere, sembra che

22. la sera sia ancora lieta. Ai loro quartieri
23. ai loro quartieri popolari di palazzoni (le "borgate" romane), rincasano sui motorini
24. – vestiti con una vecchia tuta o con i calzoni

25. da operai, ma trascinati dalla voglia di festeggiare
26. i ragazzi, in coppia con i loro amici in sella,
27. sporchi ma sorridenti. Gli ultimi clienti

28. si scambiano le ultime chiacchiere in piedi a voce alta
29. nella notte che scende, sparsi in gruppetti, tra i tavolini
30. dei locali ancora illuminati e sgomberati prima della chiusura.

31. Città insieme meravigliosa e dolorosa,
32. che mi hai insegnato le cose che con il sorriso sulle labbra e con la brutalità
33. gli uomini imparano già quando sono ancora bambini,

34. quelle cose quotidiane e apparentemente senza importanza in cui la grandezza
35. della vita si dispiega senza turbamenti, come ad esempio
36. il gettarsi senza timori e con convinzioni nella ressa

37. che affolla le strade, il parlare a un'altra persona
38. senza tremare di timidezza, il non avere vergogna
39. di guardare con invidia il denaro contato

40. dal fattorino che vi scorre le dita sopra dopo una consegna
41. e che suda mentre passa tra le facciate dei palazzi in corsa sul suo motorino
42. illuminate dal sole accecante dell'estate;

43. a sapermi difendere da solo, ad offendere il prossimo anche, a vivere
44. il mondo che mi trovo davanti agli occhi e non
45. solo al mio interno, a capire

46. che sono poche le persone che conoscono le fortissime emozioni
47. in cui io sono sempre vissuto nella mia vita:
48. che non mi sono fraterni nel supporto, ma nello stesso tempo

49. sono tutti miei fratelli proprio perché
50. hanno come me le loro emozioni fortissime di esseri umani
51. che sorridenti, incoscienti e tutti d'un pezzo

52. vivono immersi in esperienze di vita
53. a me sconosciute. Insieme meravigliosa e dolorosa
54. città, che mi hai permesso

55. di vivere quelle esperienze altrui
56. che mi erano sconosciute: vissuto sino a scoprire
57. quello che, per ogni essere umano, può essere il mondo.

58. La luna che si spegne nel silenzio della notte,
59. che si nutre della sua luce, diventa pallida tra le violente
60. vampate di calore d'agosto, che malinconicamente nelle strade

61. deserta, tra i larghi e nuovi viali, e gli antichi
62. e stretti vicoli, abbagliano gli occhi senza emettere luce
63. e, su tutta la città e il paesaggio, si riflettono

64. in alto nel cielo, sulle sparse e calde nuvole estive.
65. Questa è in assoluto la notte più bella che si possa vedere in estate.
66. La gente del quartiere di Trastevere, immerso in un odore di paglia

67. delle vecchie stalle, e popolato di chiuse
68. vecchie osterie romane, non è ancora addormentata.
69. Dagli angoli oscuri delle strade, dalle mura silenziose e immobili dei palazzi

70. si sentono dalla strada rumori sommessi e magici.
71. Adulti e giovani se ne tornano a casa
72. – tra la fila di luci fioche e sparse dei lampioni –

73. imboccando i vicoletti che conducono verso la loro abitazione, ingombrati
74. dal buio e dall'immondizia, con quel passo scanzonato e tranquillo
75. che avevo anch'io nei momenti in cui il mio animo era ricolmo di quelle emozioni

76. quando davvero provavo amore, quando
77. volevo davvero capire il mondo.
78. E, come succedeva allora, scompaiono nel buio cantando.



Parafrasi discorsiva


Solo amare adesso, solo conoscere le cose in questo momento è davvero importante, non l'aver amato in passato, non l'aver conosciuto le cose com'erano una volta. Ciò che dà davvero angoscia è continuare a vivere un amore consumato dal tempo. L'anima non trova più nutrimento. Ecco nel calore surreale ("incantato") di una notte che né piena qui sulle strade tra le anse del fiume e l'addormentato panorama della città costellata dalle luci dei palazzi, in cui come schegge si muovono tantissime vite con la loro rassegnazione, i loro segreti e la loro aridità dei sensi, che mi rendono avverse e disprezzabili i contorni che il mondo assume ai miei occhi, che solo fino a ieri erano ciò che più dava gioia di vivere.

In preda alla noia, stanco di queste sensazioni, prendo la strada di casa, attraverso bui piazzali notturni dove di giorno si trovano i mercati, desolate strade che corrono intorno al porto fluviali attraversando le baracche e i magazzini che si alzano tra gli ultimi prati rimasti in questa parte di Roma. Laggiù è come quello della morte il silenzio: ma giù, verso viale Marconi, alla stazione di Trastevere, sembra che la sera sia ancora lieta. Ai loro quartieri, ai loro quartieri popolari di palazzoni (le "borgate" romane), rincasano sui motorini – vestiti con una vecchia tuta o con i calzoni da operai, ma trascinati dalla voglia di festeggiare, i ragazzi, in coppia con i loro amici in sella, sporchi ma sorridenti.

Gli ultimi clienti si scambiano le ultime chiacchiere in piedi a voce alta nella notte che scende, sparsi in gruppetti, tra i tavolini dei locali ancora illuminati e sgomberati prima della chiusura.

Città insieme meravigliosa e dolorosa, che mi hai insegnato le cose che con il sorriso sulle labbra e con la brutalità gli uomini imparano già quando sono ancora bambini, quelle cose quotidiane e apparentemente senza importanza in cui la grandezza della vita si dispiega senza turbamenti, come ad esempio il gettarsi senza timori e con convinzioni nella ressa che affolla le strade, il parlare a un'altra persona senza tremare di timidezza, il non avere vergogna di guardare con invidia il denaro contato dal fattorino che vi scorre le dita sopra dopo una consegna e che suda mentre passa tra le facciate dei palazzi in corsa sul suo motorino illuminate dal sole accecante dell'estate; a sapermi difendere da solo, ad offendere il prossimo anche, a vivere il mondo che mi trovo davanti agli occhi e non solo al mio interno, a capire che sono poche le persone che conoscono le fortissime emozioni in cui io sono sempre vissuto nella mia vita: che non mi sono fraterni nel supporto, ma nello stesso tempo sono tutti miei fratelli proprio perché hanno come me le loro emozioni fortissime di esseri umani che sorridenti, incoscienti e tutti d'un pezzo vivono immersi in esperienze di vita a me sconosciute. Insieme meravigliosa e dolorosa città, che mi hai permesso di vivere quelle esperienze altrui che mi erano sconosciute: vissuto sino a scoprire quello che, per ogni essere umano, può essere il mondo.

La luna che si spegne nel silenzio della notte, che si nutre della sua luce, diventa pallida tra le violente vampate di calore d'agosto, che malinconicamente nelle strade deserta, tra i larghi e nuovi viali, e gli antichi e stretti vicoli, abbagliano gli occhi senza emettere luce e, su tutta la città e il paesaggio, si riflettono in alto nel cielo, sulle sparse e calde nuvole estive. Questa è in assoluto la notte più bella che si possa vedere in estate. La gente del quartiere di Trastevere, immerso in un odore di paglia delle vecchie stalle, e popolato di chiuse vecchie osterie romane, non è ancora addormentata. Dagli angoli oscuri delle strade, dalle mura silenziose e immobili dei palazzi si sentono dalla strada rumori sommessi e magici. Adulti e giovani se ne tornano a casa – tra la fila di luci fioche e sparse dei lampioni – imboccando i vicoletti che conducono verso la loro abitazione, ingombrati dal buio e dall'immondizia, con quel passo scanzonato e tranquillo che avevo anch'io nei momenti in cui il mio animo era ricolmo di quelle emozioni quando davvero provavo amore, quando volevo davvero capire il mondo. E, come succedeva allora, scompaiono nel buio cantando.


Figure Retoriche


Anadiplosi: vv. 1-3, vv. 76-77: "Solo l'amare, solo il conoscere / conta, non l'aver amato, / non l'aver conosciuto", "quando veramente amavo, quando / veramente volevo capire.". Il canto è aperto dalla ripetizione della stessa figura che enfatizza il concetto centrale, ossia il sentimento assieme di coinvolgimento e separazione del poeta dalla vita di borgata.

Anafore: vv. 31-53-54: "Stupenda e misera città". L'apostrofe è ripetuta con enfasi ed enfatizza i caratteri contraddittori e affascinanti della Roma pasoliniana.

Antitesi: vv. 19-22, v. 27, vv. 33-34, v. 43, vv. 44-45: "Lì mortale / è il silenzio: ma giù, a viale Marconi, / alla stazione di Trastevere, appare /ancora dolce la sera.". Il "ma" contrappone la vitalità di Trastevere al silenzio del porto fluviale nella notte, "ridenti, sporchi". I ragazzi di vita pasoliniani sono sporchi e poveri ma allegri e assetati di gioia, "le piccole cose in cui la grandezza / della vita in pace si scopre". L'espressione della vita più vera si esprime nelle cose più minuscole e quotidiane, "a difendermi, a offendere". Pasolini esprime il senso di difesa di se stesso e aggressione del prossimo imparato nell'incrocio di vite della capitale, "il mondo davanti agli occhi / e non soltanto in cuore". Il fascino esercitato da Roma sul poeta sta nella varietà dei mondi cittadini e non nell'interiorità che essi suscitano.

Apostrofi: vv. 31-53-54: "Stupenda e misera città". Parte del primo canto è indirizzato accoratamente a Roma stessa.

Asindeti: vv. 16-17: "piazzali di mercati, tristi / strade intorno al porto fluviale". I luoghi verso i quali è indirizzata la passeggiata del poeta scorrono davanti ai suoi occhi in un panorama.

Climax: v. 11, v. 15, v. 51: "disamore, mistero, e miseria", "annoiato, stanco", "allegri, inconsci, interi". Le figure descrivono inanellando una serie di aggettivi in un crescendo enfatico sia il carattere dei quartieri e dei ragazzi, sia le sensazioni interiori del poeta che li intravede passeggiando.

Enjambements: vv. 1-3-4-6-7-8-11-12-13-15-26-18-19-21-23-24-25-27-28-29-32-34-35-36-37-38-39-40-41-43-44-45-46-49-50-51-52-53-54-55-56-59-60-61-62-63-66-67-71-73-74-75-76.

Epifrasi: v. 5, v. 65, vv. 77-78: "L'anima non cresce più". La figura conclude la riflessione iniziale sull'amore e la conoscenza, "È la notte più bella dell'estate.". Dopo la descrizione notturna, la frase sentenziosa conclude commentando le atmosfere evocate, "E, / come allora, scompaiono cantando". La chiosa conclusiva del canto ricongiunge il passato di borgata vissuto da Pasolini con la nottata in corso, con la vita dei ragazzi che si rinnova come allora nonostante il tempo passato.

Figura etimologica: vv. 48-49: "non mi sono fraterni, eppure sono / fratelli". Pasolini gioca sul termine di fratellanza per indicare l'indifferenza dei ragazzi alla sua figura che però si accompagna alla sua attrazione e il suo comune sentire delle loro sensazioni.

Iperbato: vv. 6-19: "Ecco nel calore incantato/ [...] e baracche e i magazzini misti /agli ultimi prati". La passeggiata che si snoda tra vicoli, capannoni, prati aperti e palazzoni è evocata in un ritmo sintattico ricco di incisi che simulano lo sguardo del poeta che si sposta sul panorama e lo descrive.

Metafore: v. 10, vv. 19-20, vv. 41-42, vv. 59-60, v. 72: "scheggia ancora di mille vite". La frenesia di Roma vede le persone schizzare come schegge nell'inseguire le proprie vite che si intrecciano, "mortale / è il silenzio". Tra i capannoni e i container del porto non c'è anima viva durante la notte, "suda contro le facciate in corsa / in un colore eterno d'estate". Il caldo estivo è evocato dal sudore del fattorino che vede scorrere davanti a sé le facciate dei palazzi illuminate dal sole cocente, "violenti / ardori". Sono le vampate di calore notturne, date da smog e vento, che invisibili si posano su strade e palazzi, "festoni di luci ormai sole". I pochi lampioni che illuminano la strada buia sono paragonati a festoni che indicano la via da percorrere.

Ossimori: vv. 31-53-54, v. 32: "Stupenda e misera città", "allegri e feroci". Entrambe le figure sottolineano insieme la miseria e la vitalità degli ambienti sottoproletari delle borgate romane.

Poliptoti: vv. 1-3: "Solo l'amare, solo il conoscere / conta, non l'aver amato, / non l'aver conosciuto". La figura pone da subito nel componimento il senso di distacco temporale tra il primo arrivo a Roma di Pasolini e il tempo attuale del componimento, a diversi anni di distanza.

Parallelismi: vv. 1-3, vv. 76-77: "Solo l'amare, solo il conoscere / conta, non l'aver amato, / non l'aver conosciuto", "quando veramente amavo, quando / veramente volevo capire.". Figura collocata in apertura e chiusura del componimento che mette in relazione la conoscenza, intesa come curiosità, con l'amore per gli oggetti che si vogliono conoscere.

Personificazione: vv. 8-9, v. 25, vv. 58-59, vv. 60-61: "sopite / visioni", "festivo ardore", "Una luna morente nel silenzio,/ che di lei vive", "terra / muta di vita". Il paesaggio e gli ambienti cittadini sono descritti come esseri viventi e polimorfi, composti dalla moltitudine delle persone che li popolano.

Sinestesia: v. 5, vv. 69-70: "L'anima non cresce più.". Il mondo interiore è associato alla crescita materiale del corpo, "Gli angoli bui, le pareti placide / risuonano d'incantati rumori.". I rumori risuonano dalle case custodite da mura, vicoli e angoli che scorrono davanti agli occhi del poeta.

Sineddoche: v. 9, v. 23, v. 41: "città sparsa di luci". Le luci sono ovviamente quelle delle finestre dei palazzoni, "motori". Gli scooter su cui i ragazzi viaggiano a due in sella, "pigre dita". Sono le mani del fattorino che contano i soldi ricevuti per la consegna appena effettuata.


Analisi e Commento


Storico-letterario

Il pianto della scavatrice è un poemetto in sei canti di Pier Paolo Pasolini comparso per la prima volta nel 1957 sulla rivista politico-letteraria di ascendenza marxista Il contemporaneo. L'anno successivo il poeta, romanziere e regista lo incluse poi in quella che è una delle sue maggiori raccolte poetiche, Le ceneri di Gramsci (1958).

Il libro contiene 11 poemetti composti e pubblicati da Pasolini tra il 1951 e il 1957, negli anni successivi al suo trasferimento a Roma dopo la giovinezza trascorsa tra Bologna, città in cui nacque e compì la sua formazione, e Casarsa, il paesino friulano dove trascorse l'infanzia e gli anni del Dopoguerra, che fu costretto a lasciare dopo il processo per atti osceni in luogo pubblico e l'espulsione dall'insegnamento e dal PCI che furono la conseguenza delle accuse che gli furono rivolte. Nella raccolta Pasolini riflette sul passaggio dalla provincia alla metropoli filtrando attraverso la propria persona e la propria sensibilità artistica il mutamento in atto con l'imminente boom economico in Italia. L'antica civiltà scompare e viene sostituita da falsi miti di progresso e industrializzazione, che tuttavia non abbracciano l'intera popolazione. A farsi espressione della vitalità umana antica restano ormai soltanto gli emarginati, ossia le classi proletarie e sottoproletarie delle borgate romane, che trovano in sé l'energia vitale pur annaspando nella miseria tra campi abbandonati e palazzoni popolari decadenti. Il tono adottato, a tratti intimistico e codificato nella forma dantesca della terza rima o comunque tradizionale dell'endecasillabo (utilizzati però in forma fortemente sperimentale) richiama quello della saggistica e della prosa. Con Le ceneri di Gramsci, infatti, distaccandosi dai precedenti modelli novecenteschi, Pasolini vuole dare vita a una innovativa forma di poesia civile.

Il pianto della scavatrice è una delle poesie-simbolo della sperimentazione pasoliniana e dell'ideologia dell'autore. Nel componimento egli ripercorre una passeggiata notturna nell'esplorazione dei quartieri romani e negli ambienti proletari e sottoproletari, a cui egli stesso appartenne nei primi anni romani e che non cessò mai di affascinarlo e coinvolgerlo, tanto che una di queste avventure notturne gli costò poi la vita nel 1975, quando fu assassinato a Ostia. Qui il poeta pone una riflessione sul contemporaneo coinvolgimento e distacco dagli ambienti sottoproletari e dai suoi "ragazzi di vita", che osserva tornare a casa nella notte. La passeggiata si prolunga sino all'alba, quando avviene l'incontro con l'oggetto che dà il titolo al poemetto. La nuova giornata è inaugurata dal grido di ferraglia emesso da una scavatrice in un cantiere, che viene letto come il lamento di un'intera civiltà giunta al capolinea, che sta perdendo i propri connotati vitali per trasformarsi in una sorta di artificiale e cementificata riproduzione di sé volta al profitto. A far da sfondo al pianto, l'unico "straccio rosso di speranza" è affidato all'infinita schiera di operai, emarginati ed esclusi, in cui si annida l'ultima forma di resistenza della vita alla meccanicizzazione della società.

Tematico

Con l'apertura sentenziosa in parallelismo della prima terzina e dei due versi immediatamente successivi in epifrasi (1-3 "Solo l'amare, solo il conoscere / conta, non l'aver amato, / non l'aver conosciuto. Dà angoscia / il vivere di un consumato amore. L'anima non cresce più.") Pasolini esprime immediatamente il proprio distacco dagli ambienti che sta per percorrere nella sua passeggiata: distacco sociale dato dal fatto che il poeta ha ormai da qualche anno lasciato la borgata dove viveva nei suoi primi anni romani, distacco anagrafico conseguenza dell'età più matura dei ragazzi che vedrà corrergli davanti e distacco emotivo figlio delle proprie origini provinciali che lo hanno portato solo da qualche tempo a imparare a relazionarsi con la vitalità metropolitana. Questi i temi principali del primo canto del poemetto, concentrati tra i vv. 31 e 57, quando il poeta si rivolge a "mamma" Roma stessa con l'apostrofe ossimorica "Stupenda e misera città", dopo averne descritto nei versi appena precedenti le profonde contraddizioni attraversando nella passeggiata il vociare dei locali di Trastevere e gli spazi morti del silenzioso e cupo porto fluviale appena più in là; pur sentendosi separato da quei ragazzi che rincasano scherzando, egli ne è tremendamente affascinato e li sente vicini a sé (si noti la figura etimologica dei vv. 48-49 "non mi sono fraterni, eppure sono / fratelli"). La prima parte della passeggiata si conclude appunto su di loro con una composizione ad anello (ringkomposition): riprendendo il parallelismo dei primi versi ("quando veramente amavo, quando / veramente volevo capire" vv. 76-77) il poeta torna a riflettere sui primi incontri che egli ebbe con questi ragazzi constatando nell'epifrasi finale che negli anni non è cambiato nulla per loro. Essi continuano la loro esperienza misera e scanzonata e scompaiono "cantando" nel buio.

Nel secondo e terzo canto, posti tra loro in contrapposizione tematica, viene enunciato il nucleo emotivo e per così dire personale della poesia pasoliniana. Nel secondo il poeta torna infatti con la mente ai giorni trascorsi nella borgata dominata dalle mura crude del carcere di Rebibbia, dove si affollavano quegli esseri umani in canottiere sbrindellate e calzoni stracciati "non ancora proletari", perché inferiori per condizione persino alle classi meno agiate. Descrivendo i ricordi del quartiere Pasolini constata però la forza e la vitalità della popolazione, ancora esclusa da quel progresso inanimato che invece sta avvolgendo il resto della civiltà, e riflette come anche su di sé il vivere da quelle parti avesse avuto un effetto rivitalizzante e quasi erotico: torna infatti il tema dell'amore legato alla sete di conoscenza già enunciato nel primo canto. Nel terzo canto invece il poeta pone a confronto Rebibbia con gli ambienti ricchi e liberty del Gianicolo, che sta percorrendo mentre rincasa. Pur essendo uscito dalla miseria, enuncia il poeta, egli continua a sentirsi estraneo alla condizione borghese che ha assunto e la fascinazione del sottoproletariato continua ad attrarlo verso il basso della società. La riflessione è indotta dalla visione della scavatrice che dà il titolo al poemetto, in questo momento nuda e abbandonata in un cantiere, che diviene simbolo di uno spazio verde (legato perciò alla natura e alla vita) che sta per essere trasformato in piazzale o palazzo e monumento alla nuova civiltà del progresso.

Il quarto e quinto canto pongono una forte connessione tra i successivi ambienti toccati dal vagabondaggio notturno di Pasolini e la sofferenza interiore generata paradossalmente dalla pace generata dal panorama che il poeta si trova davanti. Siamo ormai sul far del mattino e i passi portano Pasolini verso il Campidoglio, dove si trovano sia spazi verdi ancora non completamente contaminati dall'urbanizzazione selvaggia della città sia una serie di monumenti storici, chiese diroccate rinascimentali o antiche rovine imperiali. Su tutto troneggia l'aria che proviene dall'Appennino, le cui cime sono visibili al di sopra della città più in basso e al di là dei palazzi. La pace e i riverberi sensoriali del mondo antico e naturale ridestano nel poeta i ricordi dolorosi dei suoi giorni friulani. Il quinto canto è appunto incentrato sulla riflessione intima del poeta sulle proprie sensazioni, che si fanno però collettive come se la sua sensibilità fosse il filtro dell'intera umanità. Come uomo del suo tempo, Pasolini vive l'angoscia del trapasso dalla vita naturale, con i suoi istinti primordiali, alle necessità dell'industrializzazione e l'urbanizzazione estrema. La direzione non può essere capovolta e quando le vecchie sensazioni, che davano pur gioia, riescono a tornare fuori, esse diventano dolorose a seguito della consapevolezza di averle ormai perdute per sempre.

Il sesto e ultimo canto vede interrotta la riflessione del poeta da un rumore che si prolunga ormai da un po' e che diventa man mano un grido di dolore lacerante. A piangere, in realtà, è la scavatrice vista in precedenza dal poeta, messa in moto da un gruppetto di operai consumati e sbrindellati giunti sul lavoro. La riflessione condotta da Pasolini nei canti precedenti è stata infatti solo parzialmente interrotta, il pianto della scavatrice, ci viene spiegato dal poeta, diventa simbolo di "Ciò che era / area erbosa, aperto spiazzo, e si fa / cortile, bianco come cera, / chiuso in un decoro ch'è rancore;/ ciò che era quasi una vecchia fiera / di freschi intonachi sghembi al sole, / e si fa nuovo isolato, brulicante / in un ordine ch'è spento dolore." Il nuovo mondo geometrico disegnato dalla civiltà del progresso intrappola e uccide la vivacità dell'irregolarità e della storia fatta dagli esseri umani. A raccogliere il pianto della scavatrice restano però i residui disfatti di quel mondo antico, ancora stretti al "loro rosso straccio di speranza" (per analogia l'ideologia marxista) che potrebbe portarli all'unione e al riscatto.

Stilistico

Nel Pianto della scavatrice e nella maggior parte dei poemetti de Le ceneri di Gramsci Pasolini rivisita profondamente la terza rima dantesca per adattarla allo stile prosastico-saggistico della sua nuova poesia civile. Il componimento è perciò diviso in terzine di endecasillabi in rima incatenata (ABA BCB CDC ...); tuttavia, i versi sono spessissimo collegati tra loro attraverso assonanze e consonanze, se non addirittura isolati in versi liberi. Alla stessa maniera, il ritmo in endecasillabi è tutt'altro che regolare, inframezzato di settenari, ottonari o versi ipermetri, talvolta persino isolati rispetto alle terzine. Conseguenza di questa scelta, che avvicina la poesia alla prosa enunciata e argomentata verbalmente, è la funzione di spezzatura esercitata dai numerosissimi enjambement (nel solo primo canto se ne contano 53 sui 78 versi totali): sostituendosi alla punteggiatura stessa, essi conferiscono ritmo e pause che ricordano la forma del parlato ed evidenziano sia le sensazioni interiori del poeta negli attimi segnati dal pathos sia i passaggi logici focali della riflessione storico-antropologica condotta.

A livello sintattico troviamo perciò un periodare estremamente complesso, ricco di incisi, spiegazioni tipiche della prosa. Ad esempio, la descrizione della prima parte della passeggiata tra Trastevere e il porto fluviale è racchiusa in un lungo iperbato (vv. 6-30 "Ecco nel calore incantato/ [...] e i locali ancora semivuoti"), di fatto una sezione vera e propria del canto, in cui sono raggruppati una serie di periodi complessi che formano quello che in prosa sarebbe stato un paragrafo. La punteggiatura non coincide tuttavia con il finale di verso o strofa quasi in nessun caso, a far da collante tra una strofa e l'altra sono appunto gli enjambement che inseriscono pause nel discorso costruendo una musicalità di tipo poetico e legando il ragionamento in forma regolare.

Il ritmo saggistico o quasi giornalistico non deve però, secondo Pasolini, soffocare l'emotività propria della poesia – e d'altronde il tema principale del Pianto della scavatrice è la denuncia della strage della vitalità emotiva da parte della fredda civiltà del progresso. Il ragionamento logico è quindi sapientemente alternato da una serie di figure di ripetizione (anadiplosi: 1-3 "Solo l'amare, solo il conoscere / conta, non l'aver amato, / non l'aver conosciuto"; vv. 76-77 "quando veramente amavo, quando / veramente volevo capire.", anafora: v.31-53-54 "Stupenda e misera città", apostrofe: v.31-53-54 "Stupenda e misera città", asindeto: vv. 16-17 "piazzali di mercati, tristi / strade intorno al porto fluviale"; poliptoto: 1-3 "Solo l'amare, solo il conoscere / conta, non l'aver amato, / non l'aver conosciuto", polisindeto: vv. 36-47 "andare duri e pronti nella ressa / [...] / in cui io sono vissuto:", parallelismo: 1-3 "Solo l'amare, solo il conoscere / conta, non l'aver amato, / non l'aver conosciuto"; vv. 76-77 "quando veramente amavo, quando / veramente volevo capire.") che esprimono il pathos interiore del poeta che si fa filtro della sensibilità umana di una civiltà intera di fronte alle contraddizioni (espresse dalle numerose antitesi, vv. 19-22 "Lì mortale / è il silenzio: ma giù, a viale Marconi, / alla stazione di Trastevere, appare /ancora dolce la sera.": v. 27 "ridenti, sporchi"; vv. 33-34 "le piccole cose in cui la grandezza / della vita in pace si scopre": v. 43 "a difendermi, a offendere", e ossimori v.31-53-54 "Stupenda e misera città"; v. 32 "allegri e feroci") mostrate dalla città di Roma.


Confronti


Il tema delle borgate sottoproletarie romane è probabilmente quello pasoliniano per eccellenza e Il pianto della scavatrice non fa che esprimere in poesia l'ideologia complessa vissuta in prima persona dall'autore e trattata nelle sue sfaccettature più profonde attraverso le più svariate forme artistiche. Risalgono a questo periodo i romanzi maggiori di Pasolini sul tema, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959): dal titolo del primo romanzo prendono il nome per antonomasia tutti o quasi tutti i protagonisti pasoliniani. Essi sono infatti figli delle borgate e abitanti del degrado, che trascorrono la loro adolescenza tra furti, risse, prostituzione, vagabondaggi notturni e miseria, cercando di spuntarla per sopravvivere in una società che li emargina e li esclude. Lungi dal presentarli come criminali, tuttavia, Pasolini li associa a una forma di vitalità scanzonata, allegra, erotica ed aggressiva, derivata dalla vicinanza alla natura pre-industriale dell'ambiente in cui vivono. Riproposti poi anche nella prima produzione cinematografica dell'autore, con Accattone (1961) e Mamma Roma (1962), sono gli eroi di cui Pasolini si innamora – letteralmente, come ci dice d'altronde senza peli sulla lingua in Il pianto della scavatrice – e che continua fisicamente a frequentare sino al tragico epilogo del mattino del 2 novembre 1975, quando il cadavere del poeta fu ritrovato massacrato all'idroscalo di Ostia, a seguito di una colluttazione con Pino Pelosi, diciassettenne "ragazzo di vita" adescato dal poeta nei dintorni della stazione Termini.

Le idee pasoliniane sul progresso e il tramonto della civiltà della vita e della natura devono molto alle atmosfere leopardiane di alcuni componimenti come Il sabato del villaggio, La sera del dì di festa o Il passero solitario. In tutti e tre gli Idilli del poeta di Recanati viene posto di volta in volta il problema della "strage delle illusioni", concetto enunciato nel libro dal medesimo titolo e poi nello Zibaldone e Le operette morali. Leopardi commentava un altro periodo di profonde trasformazioni, quello tra la Rivoluzione Francese e la prima industrializzazione, in cui constatava un appassimento del vecchio mondo per una deriva progressista del XIX secolo "superbo e sciocco" (La ginestra). I giovani recanatesi che il poeta nei tre idilli osserva con amarezza festeggiare e amoreggiare sono il simbolo di quell'età naturale destinata ad essere stritolata dai dolori della civiltà, della vita e della crudeltà della Natura stessa che li illude. Leopardi, com'è noto, vive con distacco dai suoi coetanei, non riuscendo a gioire proprio a conseguenza della consapevolezza dell'"arido Vero". Il tema della passeggiata nei luoghi lontani dall'allegria è comune a Il pianto della scavatrice e lo stesso Pasolini avverte il distacco che lo separa dai "ragazzi di vita" allegri e sporchi. Eppure, a differenza di Leopardi, non rinuncia al fascino che essi esercitano su di lui e continua ad essere irresistibilmente attirato dalla vivacità della loro naturalezza antica. Il poeta è perciò simbolo del concetto stesso espresso dal componimento, in lui convivono sia questo spirito di vitalità erotico, violento e naturale sia l'ordine mortifero della società borghese e urbanizzata: da qui il conflitto lacerante, simbolicamente racchiuso nel grido della scavatrice, che viene associato attraverso la propria interiorità all'intero trapasso vissuto dall'Italia tra il Dopoguerra e il Boom economico.


Domande e Risposte


Di quale raccolta fa parte Il pianto della scavatrice?
Il pianto della scavatrice fa parte della raccolta Le ceneri di Gramsci (1958).

Qual è il tema principale del componimento?
Il tema principale del componimento è il compianto del tramonto della società naturale sotto il mito del progresso durante il Boom economico.

Qual è la forma metrica del Pianto della scavatrice?
Il pianto della scavatrice è un poemetto in endecasillabi in terzine dantesche in rima incatenata, con forte tendenze all'irregolarità e allo sperimentalismo.

In quale città vive Pasolini negli anni in cui scrive Le ceneri di Gramsci?
La raccolta riunisce 11 poemetti scritti nei primi anni romani del poeta, tra il '51 e il '57.

Dove si trova la scavatrice che dà il titolo al poemetto?
La scavatrice è intravista dal poeta in un cantiere sul Gianicolo.

In quale borgata visse Pasolini nei primi anni dopo il trasferimento?
Pasolini trascorse i primi anni romani nella borgata del carcere di Rebibbia.

Fonti: libri scolastici superiori

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