Parafrasi, Analisi e Commento di: "Il bolide" di Giovanni Pascoli
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
Scheda dell'Opera
Autore: Giovanni Pascoli
Titolo dell'Opera: Canti di Castelvecchio
Prima edizione dell'opera: 1903 (ma la poesia fu inizialmente pubblicata nel 1903 su La Riviera ligure)
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Terzine dantesche.
Introduzione
"Il bolide" è una poesia di Giovanni Pascoli, inclusa nella raccolta Canti di Castelvecchio (1903), che esprime uno dei temi più ricorrenti nell'opera del poeta: il senso di angoscia e smarrimento di fronte agli eventi inaspettati e imprevedibili della vita. La poesia descrive il passaggio improvviso di un meteorite nel cielo notturno, un fenomeno naturale che Pascoli trasforma in simbolo del destino misterioso e delle paure umane. Con il suo linguaggio suggestivo e ricco di immagini, Pascoli riesce a evocare una profonda riflessione sull'instabilità dell'esistenza e sull'incertezza del futuro.
Testo e Parafrasi puntuale
1. Tutto annerò. Brillava, in alto in alto, 2. il cielo azzurro. In via con me non c'eri, 3. in lontananza, se non tu, Rio Salto. 4. Io non t'udiva: udivo i cantonieri 5. tuoi, le rane, gridar rauche l'arrivo 6. d'acqua, sempre acqua, a maceri e poderi. 7. Ricordavo. A' miei venti anni, mal vivo, 8. pensai tramata anche per me la morte 9. nel sangue. E, solo, a notte alta, venivo 10. per questa via, dove tra l'ombre smorte 11. era il nemico, forse. Io lento lento 12. passava, e il cuore dentro battea forte. 13. Ma colui non vedrebbe il mio spavento, 14. sebben tremassi all'improvviso svolo 15. d'una lucciola, a un sibilo di vento: 16. lento lento passavo: e il cuore a volo 17. andava avanti. E che dunque? Uno schianto; 18. e su la strada rantolerei, solo... 19. no, non solo! Lì presso è il camposanto, 20. con la sua fioca lampada di vita. 21. Accorrerebbe la mia madre in pianto. 22. Mi sfiorerebbe appena con le dita: 23. le sue lagrime, come una rugiada 24. nell'ombra, sentirei su la ferita. 25. Verranno gli altri, e me di su la strada 26. porteranno con loro esili gridi 27. a medicare nella lor contrada, 28. così soave! dove tu sorridi 29. eternamente sopra il tuo giaciglio 30. fatto di muschi e d'erbe, come i nidi! 31. Mentre pensavo, e già sentia, sul ciglio 32. del fosso, nella siepe, oltre un filare 33. di viti, dietro il grande olmo, un bisbiglio 34. truce, un lampo, uno scoppio... ecco scoppiare 35. e brillare, cadere esser caduto, 36. dall'infinito tremolìo stellare, 37. un globo d'oro, che si tuffò muto 38. nelle campagne, come in nebbie vane, 39. vano: ed illuminò nel suo minuto 40. siepi, solchi, capanne, e le fiumane 41. erranti al buio, e gruppi di foreste, 42. e bianchi ammassi di città lontane. 43. Gridai, rapito sopra me: Vedeste? 44. Ma non v'era che il cielo alto e sereno. 45. Non ombra d'uomo, non rumor di péste. 46. Cielo, e non altro: il cupo cielo, pieno 47. di grandi stelle: il cielo, in cui sommerso 48. mi parve quanto mi parea terreno. 49. E la Terra sentii nell'Universo. 50. Sentii, fremendo, ch'è del cielo anch'ella. 51. E mi vidi quaggiù piccolo e sperso 52. errare, tra le stelle, in una stella. |
1. Diventò tutto nero. Lassù in alto risplendeva 2. il cielo azzurro. Sulla strada che percorrevo, 3. in lontananza, c'eri solo tu, fiume Rio Salto. 4. Io non sentivo il tuo rumore, sentivo solo i casellanti 5. tuoi, le rane (=le rane paragonate a dei casellanti), gridavano con il loro verso sordo, l'arrivo 6. continuo dell'acqua ai bacini per la macerazione della canapa e ai poderi. 7. Ricordavo. Ai miei vent'anni, preso dalla tristezza, 8. pensai che fosse stata preparata anche per me la morte 9. nel sangue. E, a notte inoltrata, procedevo da solo 10. attraverso questa strada, in cui, tra le ombre pallide, 11. stava forse il nemico. Io molto lentamente 12. passavo e il cuore mi batteva forte nel petto. 13. Ma il nemico non avrebbe visto la mia paura, 14. anche se tremavo all'improvviso volare 15. di una lucciola, a un lieve soffio di vento; 16. passavo molto lentamente e il cuore all'impazzata. 17. batteva. E che cos'è dunque? Un colpo; 18. e mi accascerei da solo sulla strada; 19. no, non da solo! C'è lì vicino il cimitero, 20. con il suo evanescente ricordo della vita. 21. Si precipiterebbe mia madre piangendo: 22. mi sfiorerebbe soltanto con le dita: 23. le sue lacrime, come una rugiada 24. nella notte, sentirei sulla ferita. 25. Arriveranno anche gli altri familiari defunti e per quella strada 26. mi riporteranno con i loro lievi stridii 27. a curarmi nel loro paese 28. così dolce! Dove tu sorridi 29. per sempre nella tua tomba 30. fatta di muschio ed erbe come i nidi. 31. Mentre pensavo a questo e sentivo già sulle rive 32. del fosso, nella siepe, oltre un filare 33. di viti, dietro un grande olmo un bisbiglio 34. tremendo, un lampo, un'esplosione... eccolo scoppiare 35. e risplendere, cadere, essere caduto 36. dall'infinita volta delle stelle tremolanti 37. un meteorite luminoso, che senza far rumore cadde 38. nei campi, come in mezzo a nebbie inconsistenti; 39. inconsistente: e, nel minuto in cui apparve, illuminò 40. siepi, fenditure, capanne e le correnti 41. vaganti nel buio e i gruppi di foreste 42. e i bianchi accatastamenti delle città lontane. 43. Affascinato, gridai verso l'alto: "Avete visto?". 44. Ma c'era soltanto il cielo alto e sereno. 45. Non c'era traccia di uomo, non c'erano rumori di calpestii. 46. Solo il cielo e null'altro, il cielo scuro, pieno 47. di grandi stelle: il cielo in cui sommerso 48. mi sembrò tutto ciò che mi sembrava terreno. 49. E sentii la Terra nell'universo. 50. Mi resi conto, restandone turbato, che è anch'essa parte dell'universo. 51. E vidi me stesso quaggiù, piccolo e disperso, 52. vagare tra le stelle, stando io stesso su una stella. |
Parafrasi discorsiva
Diventò tutto nero. Lassù in alto risplendeva il cielo azzurro. Sulla strada che percorrevo, in lontananza, c'eri solo tu, fiume Rio Salto. Io non sentivo il tuo rumore, sentivo solo le rane, che, come tuoi casellanti, gridavano con il loro verso sordo, l'arrivo continuo dell'acqua ai bacini per la macerazione della canapa e ai poderi. Ricordavo. Preso dalla tristezza, pensai che a vent'anni fosse stata preparata anche per me la morte nel sangue. E, a notte inoltrata, procedevo da solo attraverso questa strada, in cui, tra le ombre pallide, stava forse il nemico. Io passavo molto lentamente e il cuore mi batteva forte nel petto. Ma il nemico non avrebbe visto la mia paura, anche se tremavo all'improvviso volare di una lucciola, a un lieve soffio di vento; passavo molto lentamente e il cuore batteva all'impazzata. E che cos'è dunque? Un colpo e mi accascerei da solo sulla strada; no, non da solo. C'è lì vicino il cimitero, con il suo evanescente ricordo della vita. Si precipiterebbe mia madre piangendo: mi sfiorerebbe soltanto con le dita: sentirei le sue lacrime sulla ferita, come una rugiada nella notte. Arriveranno anche gli altri familiari defunti e mi riporteranno per quella strada con i loro lievi stridii a curarmi nel loro paese così dolce! Dove tu sorridi per sempre nella tua tomba fatta di muschio ed erbe come i nidi. Mentre pensavo a questo e sentivo già sulle rive del fosso, nella siepe, oltre un filare di vite, dietro un grande olmo un tremendo bisbiglio, un lampo, un'esplosione... eccolo scoppiare e risplendere, cadere, essere caduto dall'infinita volta delle stelle tremolanti un meteorite luminoso, che senza far rumore cadde nei campi inconsistente, come in mezzo a nebbie inconsistenti; e, nel minuto in cui apparve, illuminò siepi, fenditure, capanne e le correnti vaganti nel buio e i gruppi di foreste e i bianchi accatastamenti delle città lontane. Affascinato, gridai verso l'alto: "Avete visto?". Ma c'era soltanto il cielo alto e sereno. Non c'era traccia di uomo, non c'erano rumori di calpestii. Solo il cielo e null'altro, il cielo scuro, pieno di grandi stelle: il cielo in cui mi sembrò sommerso tutto ciò che mi sembrava terreno. E sentii la Terra nell'universo, mi resi conto, restandone turbato, che è anch'essa parte dell'universo. E vidi me stesso quaggiù, piccolo e disperso, vagare tra le stelle, stando io stesso su una stella.
Figure Retoriche
Enjambements: vv. 4-5, vv. 5-6, vv. 14-15, vv. 27-28, vv. 31-32, vv. 32-33, vv. 33-34, vv. 40-41, vv. 46-47: "cantonieri/ tuoi", "l'arrivo/ d'acqua", "svolo/ d'una lucciola", "contrada/ così soave", "ciglio/ del fosso", "filare/ di viti", "bisbiglio/ truce", "fiumane/ erranti", "pieno/ di grandi stelle".
Polisindeti: vv. 40-42: "e le fiumane/ erranti al buio, e gruppi di foreste,/ e bianchi ammassi di città lontane".
Asindeti: vv. 31-34: "sul ciglio /del fosso, nella siepe, oltre un filare / di viti, dietro un grande olmo, un bisbiglio / truce, un lampo, uno scoppio...".
Apostrofi: v. 3: "Rio Salto".
Anafore: vv. 11, 16, vv. 49-50: "lento", "sentii".
Epanalessi: v. 4, vv. 46-47: "udiva-udivo", "Cielo- il cupo cielo; cielo".
Parallelismo: v. 45: "Non ombra d'uomo, non rumor di péste".
Iterazioni: v. 1, vv. 11, 16: "in alto in alto", "lento lento".
Metafore: vv. 4-5, v. 20, v. 36, v. 37: "i cantonieri / tuoi", "lampada di vita", "infinito tremolio stellare", "globo d'oro".
Similitudini: vv. 25-26, vv. 37-38: "le sue lacrime come una rugiada/ nell'ombra", "nelle campagne/ come in nebbie vane".
Climax: vv. 33-34, vv. 34-35: "un bisbiglio/ truce, un lampo, uno scoppio", "scoppiare/ e brillare, cadere, esser caduto".
Ossimori: v. 28, vv. 33-34: "esili gridi", "bisbiglio/ truce".
Poliptoti: vv. 37-38, v. 48, v. 52: "vane / vano", "parve-parea", "tra le stelle in una stella".
Reticenza: v. 18, v. 34: "solo...", "uno scoppio...".
Epanortosi: vv. 18-19: "solo.../ no, non solo!".
Parole onomatopeiche: v. 15, v. 33: "sibilo", "bisbiglio".
Analisi e Commento
I Canti di Castelvecchio si propongono di continuare il programma poetico iniziato con la precedente raccolta Myricae: alle immagini quotidiane della vita di campagna, si alternano continuamente i temi della tragedia famigliare e delle ossessioni segrete del poeta, come l'eros e la morte.
Più in particolare, la poesia Il bolide fa parte della parte finale della sezione Ritorno a San Mauro, in cui dominano spunti familiari, ricordi giovanili e studenteschi ed emerge sovente la tematica cosmica.
I due temi tipici della poetica pascoliana che ricorrono nel Bolide sono: il lutto, legato alla condizione di orfano del poeta, e lo sgomento, provato poiché ci si trova in un universo privo di guide, abbandonato a se stesso: dunque, il tema familiare si intreccia inscindibilmente con quello cosmico e il passaggio da una tematica all'altra è segnato dall'improvvisa apparizione del corpo celeste. L'uomo e la Terra, abbandonata ogni prospettiva geocentrica o antropocentrica, si vengono a trovare in una posizione del tutto marginale e si sentono infinitamente piccoli e inutili di fronte all'immensità dell'universo.
Nella parte iniziale, il poeta, ventenne, ritorna nei luoghi in cui è stato ucciso il padre, la sua amata San Mauro di Romagna, e immagina la propria morte, il cui dolore sarà alleviato dalla presenza dei "cari defunti". La fantasia benefica e consolatoria di annullamento vede nella morte una cura benefica contro i dolori della vita e l'unico modo possibile per recuperare gli affetti familiari perduti: è un aldilà illusorio egoisticamente costruito basandosi sui propri dolori e sulle proprie speranze. Un segnale chiaro dell'introduzione del tema dei lutti familiari è la rima "camposanto-pianto" ai vv. 19-21, presente in altri componimenti a ciò dedicati; il pianto assume una funzione purificatoria. L'avverbio "eternamente" al v. 29 esplicita la natura dell'oggetto sognato e irraggiungibile dall'uomo: l'eternità.
In seguito, la tranquillità viene improvvisamente turbata dal rumore di quello che potrebbe sembrare il rumore di uno sparo, invece è un "bolide", ossia una meteora che cade sulla Terra e la illumina, apre uno squarcio sulla realtà, testimoniando la grandissima fragilità dell'uomo, inevitabilmente destinato a precipitare e ad annullarsi nel Tutto cosmico: notiamo una sorta di estasi mistica e di meravigliata ammirazione del poeta davanti all'infinitezza del mondo.
Come afferma a buon diritto il critico Nava, nello scrivere questa lirica, certamente Pascoli, da studioso di Dante, tenne presente il passo della Commedia in cui Dante vede dall'alto la Terra e la definisce "l'aiuola che ci fa tanto feroci" (Par. XXII, 151), ma "diversamente da lui non si sente collocato in un osservatorio privilegiato, bensì si vede piccolo e sperso su un corpo celeste".
Fonti: libri scolastici superiori