Roberto Ardigò - Dai fatti alla scienza


Immagine Roberto Ardigò
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel suo lavoro del 1870, intitolato "Psicologia come scienza positiva", Ardigò presenta in modo organico il suo approccio positivo. In questo testo, egli delinea sia la propria teoria della conoscenza, sia il processo attraverso cui il sapere diviene disciplina scientifica. Si sottolinea l'importanza cruciale dell'esperienza e del riferimento ai fatti. La scienza, grazie all'osservazione e alla sperimentazione, si impegna nella ricerca dei fenomeni, confrontandoli per individuarne similitudini e differenze. Attraverso questo confronto, vengono classificati e mediante l'astrazione si giunge alle prime nozioni generali. Ardigò enfatizza il fatto che la scienza progredisce attraverso un costante processo di generalizzazione, ma insiste sul presupposto che questo processo non potrebbe avere luogo senza una base di conoscenza sensibile del mondo. Pertanto, critica coloro, come i metafisici che credono di poter costruire la scienza su idee universali precedenti all'esperienza.


Lettura


La scienza va in cerca dei fatti. Osservando e sperimentando, li trova, li nota, li accerta. Poi li confronta, e li distribuisce secondo le somiglianze, e ne forma dei gruppi distinti, sui quali leva le prime generalità. In seguito paragona tra loro queste generalità prime, e le distribuisce in categorie, e ne astrae delle generalità superiori; e ripete il lavoro, di grado in grado, fino a trovare, se vi riesce, quell'unica, che sta in cima a tutte, e le collega in un solo sistema. Così si forma la scienza; la quale, per tal modo, viene ad essere un grande quadro sinottico, o una classificazione dei fatti.

Classificazione che giova a due scopi. Essa, in primo luogo, è un tutto proprio della mente, è un'opera d'arte della facoltà logica, è una idealità onde l'umana contemplazione si pasce con voluttà divina, come della idealità morale ed estetica. Inoltre serve a spiegare le cose particolari, e quindi a farle conoscere, nel modo più perfetto, che è a dire, scientificamente.

Che è conoscere un oggetto particolare? Lo stesso che spiegarlo. E spiegarlo? Una cosa semplicissima: associare ad esso le idee che vi hanno relazione. Il fabbro conosce un suo strumento, perché alla sua vista si risveglia in lui l'idea dell'uso a cui serve. Egli poi lo conosce solo praticamente, perché lo fa mediante l'associazione di idee particolari ed inorganiche. Il botanico conosce una data pianta, perché, esaminandola, ricorda la varietà, la specie, la famiglia, l'ordine, e via discorrendo, a cui appartiene nel sistema dei vegetali. E la sua cognizione è scientifica, perché le idee associate, che la rendono tale, sono idee astratte, disposte secondo le diverse gradazioni di generalità, ossia secondo il loro organismo logico. [...]

Non sempre le generalità, che si associano a dati fatti particolari, per ispiegarli, sono cavate, nel modo detto sopra, da quei fatti medesimi; e quindi non sempre sono a loro posteriori nel processo ideologico. Spessissimo vi si applicano delle generalità già formate prima. Per conoscere gli avanzi fossili di un animale di una specie perduta, il paleontologo ricorre alle classificazioni già preparate dalla scienza, dietro lo studio degli individui tuttora viventi. La scienza gli presta, o il genere, o la classe, in cui collocare il nuovo animale; mentre i suoi caratteri particolari lo conducono a delineare una famiglia, una specie novella [...].

L'anteriorità cronologica delle nozioni generali, adoperate nelle così dette scienze a priori, per rendere ragione dei fatti particolari, è tanta, che se ne sconosce perfino del tutto la natura. Onde il debole di quelle scienze. Il debole dei metafisici sta nel credere, che quelle nozioni universalissime, che essi chiamano le idee, precedano la esperienza di qualunque fatto, e ne siano affatto indipendenti; e quindi siano atte a rappresentare più che il mero fatto; a rappresentare cioè la stessa sostanza ed attività della cosa, onde il fatto procede, e le cagioni assolute di esso. Se il matematico non incorre nelle assurdità dei metafisici, è perché prende le sue linee e i suoi punti per quello che sono veramente, cioè come astrazioni, e niente di più. [...] Le sue conclusioni sono delle relazioni puramente mentali, quali risultano dal confronto logico dei dati astratti, su cui lavora, ed egli non dà ad esse altro valore.

Le idee di tempo e di spazio, su cui lavorano i matematici, quelle di essere, realtà, sostanza, causa e simili, onde si occupano i metafisici, non sono, come essi credono, nozioni precedenti l'esperienza dei fatti, o, come si dice, idee a priori. Esse sono il frutto della nostra prima e più costante esperienza, aiutata dallo strumento della parola, che rappresenta l'esperienza delle generazioni passate. Il crederle, non semplici somiglianze di fatti sperimentali, ma tipi universali, necessari e trascendenti, e senza dipendenza da essi, proviene unicamente dal modo inavvertito, onde si vennero disegnando nella nostra intelligenza di mano in mano che si andava formando.

Ad ogni modo, sia che si parta dal fatto particolare, per indurne la nozione o la legge generale, sia che, ottenutala prima per tale via, si parta da essa, o per chiarire nuovi fatti, associandovela per la ragione della analogia e applicandovela come una ipotesi, o per creare nuovi dati, servendosene come di proposizione maggiore di un sillogismo, resta sempre, che nella scienza non si ha che il fatto e la nozione o legge; vale a dire, il fatto considerato ora in concreto ed ora in astratto; e che quindi essa non può risalire oltre i fenomeni, e non può far altro che rilevarne la coesistenza, la successione e le somiglianze; e che del tutto vana era la credenza degli antichi, che potesse condurre a conoscere le cose fino nella essenza e nelle cause loro.

La nostra conclusione a molti parerà desolante. Parerà, che, a questo modo, la scienza debba riuscire alla negazione di se stessa. E si rimpiangeranno i tempi felici, in cui l'uomo, pure illudendosi, poteva sentire la compiacenza, quasi divina, di credersi in possesso dei segreti più nascosti della natura, e di rifare, con una vera creazione della sua mente, il mondo, per la cognizione delle cause medesime [...]. Rimpianto irragionevole; come di chi, ridestandosi improvvisamente, sentisse rincrescimento di un bel sogno svanito.

Le palpebre, chiuse pel sonno, si aprono al chiaro del giorno ed alla verità delle esistenze concrete, se un raggio di sole le offende e le irrita. Nello stesso modo la luce della scienza moderna punge e molesta lo spirito addormentato nelle piacevoli fantasie delle passate età; e lo sforza a risvegliarsi. Le false immagini del sogno si dileguano, e sottentrano quelle della veglia. Ma di quanto maggiore bellezza e valore!

La scienza in passato si occupava specialmente delle sostanze, e si compiaceva di descriverne, con ingenua baldanza, la natura e la proprietà. Era quello un sogno: ciò che essa credeva la sostanza non era che una formazione al tutto chimerica di una poetica fantasia. Che era la sostanza di Aristotele? Un accoppiamento meramente mentale di due entità astratte, la materia e la forma.

E per Platone? Egli ha invertito l'ordine dei concetti. Per lui le vere sostanze sono le idee; ciò che tocchiamo colle mani e vediamo cogli occhi non è la sostanza nel giusto senso, ma solo un non so quale riflesso della vera, ossia della idea.

E per gli atomisti? Una riunione di atomi, ossia di corpi estremamente piccoli. Cioè hanno creduto che un corpo, una montagna per esempio, fosse bello e spiegato, se, invece di pensarlo grande come lo vediamo, fossimo riusciti, facendo uno sforzo di immaginazione, a ridurlo a dimensioni di una estrema piccolezza, come a dire parecchi milioni di volte minore della punta di un ago.

E per gli altri? L'abbiamo detto sopra: ora l'astrazione matematica del numero, ora quella dell'essere metafisico; uno ed immutabile, secondo gli eleatici, vario e sempre diverso da se stesso, secondo Eraclito.

La scienza nuova ci ha fatto aprire gli occhi alla realtà: ed ora ci accorgiamo, essere ciò che si conosce il solo fenomeno; ma un fenomeno vero ed effettivo, e non immaginario; un fenomeno di cui siamo veramente in possesso, e che costituisce un dato di cognizione solido, e non dipendente dalla nostra volontà; che non può, come nella scienza passata, o ritenerlo o ripudiarlo a piacimento, secondo che si accordi o meno con un sistema prestabilito. E la realtà di questo semplice fenomeno, in apparenza inconsistente e vuota, è in effetti piena di una inesauribile ricchezza e fecondità; e nulla valgono, al suo paragone, le astrazioni aride ed impotenti degli antichi. [...]

Tale è il linguaggio dei cultori della moderna scienza positiva. Essi non fanno come i metafisici, che sostengono di sapere ciò che non sanno, e non si potrà mai sapere: e tuttavia a quante cose verissime è pure arrivata la loro induzione, che non si sarebbero mai nemmeno sognate, se si fosse data retta a quei sapienti delle cause e delle essenze! Ciò che fa credere ai molti, che il ridurre la scienza al mero fatto la distrugga, è il pregiudizio volgare, rinforzato dai placiti apparentemente scientifici dei metafisici, per cui in ogni singola cosa si pone un'essenza e delle fenomenalità, che l'accompagnano.


Guida alla lettura


1) Come si origina, secondo Ardigò, un sistema di conoscenze scientifiche?
Secondo Ardigò, un sistema di conoscenze scientifiche si origina attraverso un processo che coinvolge l'osservazione e la sperimentazione dei fatti, la classificazione e l'astrazione delle somiglianze, e la formazione di generalità sempre più elevate. Questo processo si basa sull'esperienza sensibile del mondo e sulla ricerca continua di analogie e differenze tra i fenomeni. La scienza, quindi, si sviluppa da un continuo passaggio a un grado sempre maggiore di generalizzazione ma questa generalizzazione non potrebbe avere inizio se non ci fosse la conoscenza sensibile del mondo come base.

2) A che cosa serve la classificazione dei fatti?
La classificazione dei fatti serve a due scopi, come indicato nel testo. In primo luogo, è un'opera propria della mente umana, un'opera d'arte della facoltà logica, che permette alla mente di contemplare con piacere divino l'idealità morale ed estetica. In secondo luogo, la classificazione dei fatti serve a spiegare le cose particolari e quindi a farle conoscere scientificamente nel modo più completo possibile.

3) Che cosa significa conoscere un oggetto?
Conoscere un oggetto significa associare ad esso le idee che vi hanno relazione. Ad esempio, il fabbro conosce un suo strumento perché alla sua vista si risveglia in lui l'idea dell'uso a cui serve. Questo tipo di conoscenza è pratico e si basa sull'associazione di idee particolari ed inorganiche.

4) In che cosa consiste la debolezza dei metafisici?
La debolezza dei metafisici consiste nel credere che le nozioni universalissime, chiamate idee, precedano l'esperienza di qualsiasi fatto e ne siano indipendenti, attribuendo loro la capacità di rappresentare non solo il fatto stesso ma anche la sua sostanza e le sue cause assolute. Tuttavia, il testo evidenzia che queste nozioni non sono altro che il frutto della nostra prima e più costante esperienza, supportata dall'uso della parola che rappresenta l'esperienza delle generazioni passate.


Guida alla Comprensione


1) Spiega, riflettendo sugli esempi che Ardigò utilizza, cosa vuol dire che conoscere un oggetto significa spiegarlo.
Secondo Ardigò, conoscere un oggetto significa associare ad esso le idee che vi hanno relazione. Ad esempio, il fabbro conosce un suo strumento perché associa ad esso l'idea dell'uso a cui serve. Questo tipo di conoscenza è praticamente basata sull'associazione di idee particolari ed inorganiche. Analogamente, il botanico conosce una pianta esaminandola e ricordando la varietà, la specie, la famiglia, l'ordine e così via, a cui appartiene nel sistema dei vegetali. Questa cognizione è scientifica perché le idee associate sono idee astratte, disposte secondo le diverse gradazioni di generalità, ossia secondo il loro organismo logico. Pertanto, spiegare un oggetto significa associare ad esso le idee pertinenti, che possono essere idee astratte e generali, disposte secondo un ordine logico, che consentono di comprendere l'oggetto in modo scientifico.

2) La scienza può sia fondarsi sull'indagine dei fatti, sia procedere a partire da altre generalizzazioni. Chiarisci che cosa intende Ardigò con quest'idea.
Ardigò afferma che la scienza può fondarsi sull'indagine dei fatti, osservando e sperimentando per trovare, notare e accertare i fenomeni, confrontandoli e distribuendoli secondo somiglianze e formando così delle generalità. Tuttavia, sottolinea anche che spesso vengono applicate generalità già formate prima, come nel caso del paleontologo che utilizza le classificazioni preparate dalla scienza per classificare nuovi ritrovamenti. Quindi, Ardigò sostiene che la scienza può procedere sia partendo dall'indagine dei fatti particolari sia utilizzando generalizzazioni già esistenti.

3) Che cosa sono spazio e tempo, essere, sostanza e realtà per Ardigò?
Per Ardigò, spazio e tempo, essere, sostanza e realtà non sono considerati come concetti a priori o idee universali indipendenti dall'esperienza dei fatti. Egli sostiene che queste nozioni non sono precedenti all'esperienza ma sono frutto della nostra esperienza concreta, aiutata dall'uso del linguaggio che rappresenta l'esperienza delle generazioni passate. Ardigò respinge l'idea che queste nozioni siano tipi universali, necessari e trascendenti, indipendenti dalla nostra esperienza, e attribuisce il loro sviluppo al modo in cui si sono formate nella nostra intelligenza mano a mano che siamo cresciuti ed esperiti nel mondo.

4) Come si pone Ardigò nei confronti di quelle scienze che ritengono di potersi fondare su nozioni universali che precedono l'esperienza?
Ardigò critica quelle scienze, come i metafisici, che ritengono di potersi fondare su nozioni universali che precedono l'esperienza. Egli sostiene che queste nozioni universali non possono essere la base della scienza, poiché ritiene che il procedimento di generalizzazione nella scienza non potrebbe avere inizio se alla sua base non ci fosse la conoscenza sensibile del mondo. Ardigò sottolinea l'importanza dell'esperienza e del riferimento ai fatti come fondamento per la costruzione della scienza, criticando coloro che credono di poter edificare la scienza su idee universali che precedono l'esperienza.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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