Karl Raimund Popper - La teoria oggettivistica della verità


Immagine Karl Raimund Popper
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel libro "Congetture e confutazioni", pubblicato nel 1963, Karl Popper affronta temi fondamentali riguardanti la natura della scienza e del metodo scientifico. Popper sottolinea l'importanza della congettura nella pratica scientifica e difende il metodo della falsificazione come strumento cruciale per la verifica delle teorie. Secondo lui, questo approccio non riguarda solo la scienza, ma si estende a tutte le esperienze umane, trovando un'aderenza nelle procedure evolutive degli organismi viventi.

Tuttavia, Popper critica le possibili interpretazioni finzionaliste della sua teoria, riaffermando la verità come un principio regolativo oggettivo, in accordo con il pensiero kantiano. Negli anni successivi, Popper approfondirà ulteriormente questo argomento, come evidenziato nel saggio "Verità, razionalità e la crescita della conoscenza scientifica", pubblicato nel 1960. Questo testo contiene passaggi significativi che enfatizzano il suo punto di vista sulla verità e il suo ruolo nel progresso della conoscenza scientifica.


Lettura


Grazie al lavoro di Tarski, l'idea di verità oggettiva o assoluta – cioè di verità come corrispondenza con i fatti – pare oggi essere accettata con fiducia da chiunque la comprenda. Le difficoltà a comprenderla sembrano avere due fonti: primo, la combinazione tra un'idea intuitiva estremamente semplice e un certo grado di complessità nell'esecuzione del programma tecnico a cui l'idea dà origine; secondo, il dogma diffuso ma fallace per il quale una teoria soddisfacente della verità debba fornire un criterio di credenza vera, di credenza ben fondata, o razionale. E, in effetti, questo dogma è sotteso alle tre rivali della teoria corrispondentista della verità – la teoria coerentista, che fraintende la verità con la consistenza, quella evidenzialista, che fraintende «vero» con «conosciuto come vero», e quella pragmatista o strumentalista, che fraintende la verità con l'utilità. Esse sono tutte teorie della verità soggettive (o «epistemiche»), in contrapposizione con la teoria oggettiva (o «metalogica») di Tarski. Sono soggettive nel senso che tutte partono dalla fondamentale posizione soggettivista che può concepire la conoscenza solamente come un tipo speciale di stato mentale, o come una disposizione, o come un tipo speciale di credenza, caratterizzato, per esempio, dalla sua storia o dalla sua relazione con altre credenze. [...]

Si può mostrare che tutte le teorie soggettive della verità [...] tentano di definire la verità in funzione delle fonti o dell'origine delle nostre credenze, o in funzione delle nostre operazioni di verificazione, o di qualche insieme di regole di accettazione, o semplicemente in funzione della qualità delle nostre convinzioni soggettive. Tutte queste teorie affermano, con maggiore o minor enfasi, che la verità è ciò che noi crediamo o accettiamo in modo giustificato, in accordo a certe regole o criteri legati alle origini o alle fonti della conoscenza, all'affidabilità, o alla stabilità, o all'effetto, o alla forza della convinzione, o all'impossibilità di pensare in altro modo.

La teoria oggettiva della verità dà origine ad un'attitudine molto differente. Ciò lo si può vedere nel fatto che essa ci permette di fare asserzioni come la seguente: una teoria può essere vera anche se nessuno la crede, e anche se non abbiamo alcuna ragione per accettarla, o per credere che sia vera; e un'altra teoria può essere falsa anche se abbiamo ragioni relativamente buone per accettarla. È evidente che queste affermazioni sembrerebbero contraddittorie dal punto di vista di qualunque teoria soggettiva o epistemica della verità. Al contrario, in una teoria oggettiva esse non sono solo coerenti, ma sono anche ovviamente vere.
Un'asserzione simile, che la teoria oggettiva della corrispondenza renderebbe estremamente naturale, è questa: anche se ci imbattiamo in una teoria vera, in generale potremo solo congetturare che sia vera, e può ben darsi che sia impossibile per noi sapere che è vera. [...]

Pertanto, un grande vantaggio della teoria della verità oggettiva o assoluta è che essa ci permette di dire [...] che noi cerchiamo la verità, però possiamo non sapere quando l'abbiamo trovata; che non abbiamo alcun criterio di verità, ma ciononostante siamo guidati dall'idea di verità come principio regolativo (come potrebbero dire Kant o Peirce) e che, pur non essendoci criteri generali sulla base dei quali possiamo riconoscere la verità – se si eccettuano, forse, le verità tautologiche – ci sono criteri di progresso verso la verità (come spiegherò subito).

La situazione della verità in senso oggettivo, come corrispondenza ai fatti, e il suo ruolo di principio regolativo, possono essere paragonati a quello della cima di un monte solitamente avvolta da nubi. Non solo può darsi che lo scalatore incontri difficoltà nel raggiungere la cima, ma può anche darsi che non sappia quando l'ha raggiunta, perché può non essere capace di distinguere, fra le nubi, la cima principale da qualche cima più bassa. Questo tuttavia non tocca l'esistenza oggettiva della cima, e, se lo scalatore dice: «Dubito di aver raggiunto la cima vera e propria», allora riconosce, per implicazione, l'esistenza obiettiva della cima. La stessa idea di errore e di dubbio (nel suo senso diretto e normale) implica l'idea di una verità oggettiva che può darsi non riusciamo a raggiungere.

Benché per lo scalatore possa essere addirittura impossibile accertarsi di aver raggiunto la cima, spesso sarà facile, per lui, rendersi conto di non averla raggiunta (o di non averla ancora raggiunta); per esempio, quando è respinto da una parete che lo sovrasta. Analogamente, ci saranno casi in cui siamo ben sicuri di non aver raggiunto la verità. Così, mentre la consistenza, o non contraddittorietà, non costituisce un criterio di verità, semplicemente perché anche i sistemi di cui si può dimostrare la non contraddittorietà possono essere falsi di fatto, così, con un po' di fortuna, possiamo scoprire contraddizioni e usarle per stabilire la falsità di qualcuna delle nostre teorie.


Guida alla lettura


1) Che cosa afferma la teoria corrispondentista della verità sostenuta da Popper?
La teoria corrispondentista della verità, sostenuta da Popper come esposta nel testo fornito, afferma che la verità consiste nella corrispondenza di una teoria con i fatti oggettivi. Secondo questa teoria, una proposizione è vera se e solo se corrisponde effettivamente alla realtà esterna, indipendentemente dalle credenze o dalle opinioni soggettive. Popper contrasta questa concezione con altre teorie della verità che considera soggettiviste o epistemiche, come la teoria coerentista, l'evidenzialista e la pragmatica, che interpretano la verità in base alla coerenza interna, alla conoscenza o all'utilità.

Popper sostiene che la teoria corrispondentista fornisce un criterio obiettivo e meta-logico della verità, basato sulla sua conformità con i fatti, e non sulle nostre credenze o procedimenti di verifica.

2) Che cosa affermano, invece, le tre principali alternative alla teoria corrispondentista, e quale principio, secondo Popper «diffuso ma fallace», esse implicano?
Le tre principali alternative alla teoria corrispondentista della verità, come descritte nel testo, sono:

Teoria coerentista: questa teoria fraintende la verità come consistenza interna delle credenze. Implica il principio diffuso ma fallace che la verità sia correlata alla consistenza logica delle credenze.
Teoria evidenzialista: questa teoria fraintende "vero" con "conosciuto come vero". Sostiene che la verità dipenda dalle prove o dalle evidenze disponibili per supportare una credenza.
Teoria pragmatica o strumentalista: questa teoria fraintende la verità come utilità. Crede che la verità dipenda dall'utilità pratica o dall'efficacia delle credenze nella pratica.

Secondo Popper, il principio diffuso ma fallace che queste teorie implicano è che una teoria soddisfacente della verità debba fornire un criterio di credenza vera, di credenza ben fondata, o razionale. Questo principio è critico perché limita la comprensione della verità ad approcci soggettivi o epistemici, mentre Popper sostiene per una teoria oggettiva della verità, basata sulla corrispondenza con i fatti.

3) Perché queste teorie sono dette anche «soggettive»?
Le teorie sono dette "soggettive" perché concepiscono la verità come dipendente dalle fonti delle nostre credenze, dalle nostre operazioni di verifica o dalle nostre convinzioni personali. Esse considerano la verità come legata al modo in cui percepiamo o conosciamo il mondo, piuttosto che come una corrispondenza oggettiva con i fatti esterni. Questo concetto è contrastato dalla teoria oggettiva della verità di Tarski, che sostiene che la verità è una proprietà delle proposizioni che dipende esclusivamente dalla loro corrispondenza con la realtà, indipendentemente dalle nostre percezioni o convinzioni soggettive.

4) Perché invece la teoria corrispondentista è detta anche «oggettiva»?
La teoria corrispondentista della verità è definita "oggettiva" perché sostiene che la verità di una proposizione dipende dalla sua corrispondenza con i fatti, indipendentemente dalle credenze o dalle opinioni soggettive. Popper spiega che questa teoria contrasta con le teorie "soggettive" o "epistemiche", come il coerentismo, l'evidenzialismo e il pragmatismo, che definiscono la verità in termini di coerenza interna, evidenza o utilità per chi le sostiene.

Nel testo, Popper argomenta che la teoria corrispondentista permette di affermare che una teoria può essere vera anche se nessuno la crede o se non abbiamo ragioni per accettarla, il che sarebbe incoerente secondo le teorie soggettive della verità. Questa capacità di affermare la verità indipendentemente dalle credenze o dalle ragioni per accettarla è ciò che rende la teoria corrispondentista "oggettiva".

5) Chiarisci le espressioni «criterio di verità», «criterio di falsità» e «criterio di approssimazione», facendo riferimento alla metafora dello scalatore.
Nel contesto del testo di Popper, le espressioni «criterio di verità», «criterio di falsità» e «criterio di approssimazione» possono essere chiarite facendo riferimento alla metafora dello scalatore:

Criterio di verità: Secondo Popper, nella teoria della verità oggettiva, non esiste un criterio generale definitivo per riconoscere la verità di una teoria, tranne forse per le verità tautologiche. Questo è analogo alla situazione dello scalatore che cerca di raggiungere la cima del monte avvolta dalle nubi. Il criterio di verità si riflette nel principio regolativo che guida la ricerca della verità, senza però poter stabilire con certezza di averla raggiunta.
Criterio di falsità: Lo scalatore, incontrando una parete che lo impedisce di procedere verso la cima, può concludere con relativa sicurezza di non aver ancora raggiunto la vetta. Analogamente, nella ricerca della verità, le contraddizioni scoperte possono fungere da criterio di falsità per una teoria. Questo significa che una teoria che è soggetta a contraddizioni può essere considerata falsa, almeno in parte.
Criterio di approssimazione: Poiché è difficile per lo scalatore distinguere la vera cima dalle altre cime più basse avvolte dalle nubi, egli può al massimo fare congetture circa il raggiungimento della vetta principale. Questa incertezza corrisponde al concetto di approssimazione nella ricerca della verità. Nonostante l'incapacità di raggiungere una conoscenza certa della verità, è possibile fare progressi verso di essa. Scoprire contraddizioni o errori può indicare che siamo vicini alla verità o che abbiamo almeno migliorato la nostra comprensione.

In sintesi, la metafora dello scalatore aiuta a comprendere che, anche se non esistono criteri definitivi per la verità assoluta, esistono modi per identificare falsità e fare progressi verso una comprensione più profonda della verità, pur senza poter sempre accertare di averla effettivamente raggiunta.


Guida alla Comprensione


1) Nella seconda Prefazione all'edizione italiana di Congetture e confutazioni, scritta nel 1985 per la casa editrice il Mulino di Bologna, Popper afferma che «la certezza non è un obiettivo degno di essere perseguito dalla scienza». Enuclea nel brano gli argomenti a sostegno di questa affermazione.
Nella seconda parte del testo, Karl Popper sottolinea che la ricerca della certezza non è un obiettivo adeguato per la scienza. Egli argomenta che la teoria oggettiva della verità permette di affermare che una teoria può essere vera anche se nessuno la crede o se non abbiamo ragioni per accettarla, e viceversa una teoria può essere falsa anche se abbiamo buone ragioni per accettarla. Questo contrasta con le teorie soggettive della verità che cercano di definire la verità in base alle nostre credenze o a criteri di verifica soggettivi.

Popper suggerisce che, nella ricerca della verità oggettiva come corrispondenza ai fatti, non possiamo sempre essere certi di aver raggiunto la verità stessa. L'idea è paragonata alla scalata di una montagna avvolta dalle nubi: anche se possiamo non essere sicuri di aver raggiunto la cima (la verità), l'esistenza obiettiva della cima non è messa in discussione. Questo concetto implica che la scienza dovrebbe puntare alla verità come principio regolativo, senza necessariamente raggiungere la certezza assoluta.

Quindi, Popper rifiuta l'obiettivo della certezza perché questa non è sempre raggiungibile nella pratica scientifica, essendo la verità oggettiva una guida di progresso continuo verso la conoscenza senza un criterio generale di riconoscimento della verità, tranne forse per le verità tautologiche.

2) «Cerchiamo la verità, però possiamo non sapere quando l'abbiamo trovata». Per quale motivo? E perché questa affermazione è posta da Popper in prossimità a Kant e a Peirce?
Secondo Popper, l'affermazione "cerchiamo la verità, però possiamo non sapere quando l'abbiamo trovata" è giustificata perché, nella prospettiva della teoria oggettiva della verità, non esistono criteri generali definiti per riconoscere la verità, ad eccezione forse delle verità tautologiche. Questo significa che, nonostante il nostro impegno nella ricerca della verità, non abbiamo un metodo assoluto per determinare quando abbiamo effettivamente raggiunto la verità in modo definitivo. Ciò può essere paragonato all'idea di una cima di montagna avvolta dalle nubi: anche se lo scalatore può dubitare di aver raggiunto la cima vera e propria a causa delle difficoltà o delle incertezze nel distinguere tra la cima principale e altre meno elevate, il suo dubbio implica implicitamente l'esistenza oggettiva della cima stessa.

Popper colloca questa affermazione vicino a Kant e Peirce perché entrambi hanno discusso l'idea di verità come principio regolativo. Kant, ad esempio, ha enfatizzato l'importanza del concetto di verità come regola normativa che guida il nostro pensiero e la nostra ricerca conoscitiva. Peirce, invece, ha sviluppato il concetto di verità come un ideale che guiderebbe l'indagine scientifica e filosofica, anche se potrebbe essere irraggiungibile nella sua completezza. Questo collegamento evidenzia il contesto filosofico in cui Popper situava la sua discussione sulla verità oggettiva, enfatizzando l'aspetto regolativo e idealistico della verità che trascende le limitazioni delle teorie soggettive o epistemiche della verità.

3) Le teorie soggettive della verità sono anche chiamate da Popper «teorie epistemiche». Chiarisci il significato di questa espressione.
Nel testo, Karl Popper distingue le "teorie soggettive della verità" o "teorie epistemiche" dalle teorie oggettive o assolute della verità. Le teorie epistemiche sono caratterizzate dal fatto di concepire la verità in relazione alla conoscenza umana o agli stati mentali degli individui. Popper critica queste teorie epistemiche sostenendo che esse definiscono la verità in termini di credenze giustificate, criteri di verificazione, o altre regole che dipendono dalle fonti o dalle origini delle nostre credenze.

Secondo Popper, le teorie epistemiche come il coerentismo (che identifica la verità con la consistenza interna di un insieme di credenze) o l'evidenzialismo (che identifica la verità con ciò che è conosciuto come vero) sono tutte limitate dal loro punto di vista soggettivista. Esse non accettano la verità come una proprietà oggettiva delle proposizioni che corrisponde al mondo esterno indipendentemente dalle credenze umane.

Pertanto, quando Popper utilizza il termine "teorie epistemiche" o "teorie soggettive della verità", si riferisce a teorie che pongono la verità in relazione alle credenze o agli stati mentali umani, contrapponendole alle teorie oggettive che considerano la verità come corrispondenza con i fatti indipendentemente dalle credenze umane o dai processi di conoscenza soggettivi.

4) Si è spesso parlato di «socratismo» di Popper. Ti sembra che il brano proposto confermi questa interpretazione? Motiva la risposta.
Il brano proposto sembra confermare in parte l'interpretazione del "socratismo" di Popper. Popper, nel testo, discute della natura oggettiva della verità e della sua distinzione dalle teorie soggettive della verità. Egli sostiene che la verità non è determinata dalle nostre credenze o convinzioni soggettive ma è una corrispondenza con i fatti indipendente dalla nostra conoscenza o accettazione. Questa prospettiva riflette un atteggiamento socratico nel senso che Popper sottolinea l'importanza di cercare la verità indipendentemente dalle nostre opinioni personali o dalle teorie predominanti del momento.

Popper afferma che, anche se possiamo congetturare che una teoria sia vera, possiamo non esserne sicuri e potrebbe essere impossibile confermarlo definitivamente. Questo è simile all'approccio socratico che metteva in discussione le credenze comuni e cercava la verità attraverso un costante interrogarsi e dubitare. Inoltre, Popper usa l'analogia della cima di un monte avvolta dalle nubi per illustrare che, nonostante le difficoltà nel raggiungere la verità, esiste comunque un obiettivo oggettivo da perseguire.

Tuttavia, va notato che Popper non segue esattamente l'approccio socratico nel senso che non enfatizza l'ironia socratica o il metodo di maieutica come principali strumenti per raggiungere la verità. Invece, si concentra sulla falsificazione come metodo chiave nella crescita della conoscenza scientifica. Quindi, mentre il brano supporta l'idea di Popper come un pensatore che promuove la ricerca della verità attraverso un'esplorazione rigorosa e critica, non conferma completamente l'interpretazione tradizionale del "socratismo" che include anche il metodo socratico di interrogazione e dibattito.

In conclusione, il brano mostra affinità con il "socratismo" nel senso di un'aspirazione alla verità oggettiva e alla critica delle teorie soggettive della verità ma con differenze significative nei metodi e nell'approccio filosofico.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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