Denis Diderot - La morale tra natura e leggi


Immagine Denis Diderot
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Tra il 1770 e il 1780, Denis Diderot ha contribuito significativamente all'opera di grande portata dell'abate Raynal, intitolata "Storia filosofica e politica degli insediamenti e del commercio degli europei nelle due Indie", pubblicata per la prima volta nel 1770. Quest'opera esplora il colonialismo europeo analizzandone gli impatti sia positivi che negativi. I contributi di Diderot coprono vari temi, con una particolare enfasi sulla critica dello schiavismo e del colonialismo praticati da spagnoli e portoghesi in America. Inoltre, mette a confronto le società "civili" con quelle considerate "selvagge". Il brano che viene considerato si trova nel libro XIX, che conclude il decimo e ultimo volume dell'edizione del 1780, in un capitolo che discute la morale nelle società civilizzate. Qui, Diderot evidenzia che la giustizia, l'unica vera virtù, nasce dalla similitudine tra gli uomini, che condividono bisogni, piaceri e sofferenze simili e che, in assenza di distorsioni religiose, riescono a distinguere tra ciò che è utile e ciò che non lo è, sia individualmente sia collettivamente. Di conseguenza, sostiene che la giustizia si basa unicamente sull'utilità pubblica, riconoscendo solo due tipi di giudizio: quello della natura, che punisce i vizi privati come gli eccessi alimentari e alcolici, e quello delle leggi, che puniscono le azioni contrarie all'interesse comune. Diderot critica inoltre coloro che vedono la virtù in atti di benevolenza o altruismo, come la compassione, sottolineando che queste qualità, benché lodevoli, devono essere limitate dal principio della giustizia basata sull'utilità pubblica per evitare che diventino fonte di ingiustizia.


Lettura


L'uomo nasce con un germe di virtù, quantunque non nasca virtuoso. Egli giunge a questo stato sublime solo dopo che ha analizzato se stesso, che ha conosciuto i propri doveri, che ha contratto l'abitudine di compierli. La scienza che conduce a questo alto grado di perfezione si chiama morale. È la regola delle azioni e, se ci si può esprimere così, l'arte della virtù. Si devono incoraggiare, si devono elogiare tutte le fatiche intraprese per allontanare i mali che ci assediano, per aumentare la quantità dei nostri piaceri, per abbellire il sogno della nostra vita, per elevare, perfezionare la nostra specie e darle lustro. Benedetti, e benedetti siano sempre, coloro le cui veglie e il cui genio hanno procurato al genere umano qualcuno di questi vantaggi. Ma la prima corona sarà per il saggio i cui scritti toccanti e luminosi avranno avuto uno scopo più nobile, quello di renderci migliori.

La speranza di una gloria così grande ha dato luogo a un'infinità di pubblicazioni. Quanti libri inutili! Quanti libri perfino dannosi! Essi sono in gran parte opera dei preti e dei loro discepoli, i quali non vogliono capire che la religione deve considerare gli uomini solo nei loro rapporti con la divinità, e che bisogna cercare un diverso fondamento ai rapporti che gli uomini hanno tra loro.

Se c'è una morale universale, essa non può essere l'effetto di una causa particolare. È stata la stessa nei tempi passati, sarà la stessa nei secoli futuri, non può avere dunque per base le opinioni religiose che, dall'origine del mondo e da un polo all'altro, sono continuamente cambiate.

I greci hanno avuto dèi malvagi, i romani hanno avuto dèi malvagi, lo stupido adoratore del feticcio adora piuttosto un diavolo che un dio. Ogni popolo si creò degli dèi; e li creò come a lui piacque: buoni o crudeli, dissoluti o di costumi austeri. Si direbbe che ogni popolo abbia voluto deificare le proprie passioni e opinioni. Nonostante questa diversità di sistemi religiosi e di culti, tutte le nazioni hanno sentito che bisognava essere giusti.

Tutte le nazioni hanno onorato come virtù la bontà, la compassione, l'amicizia, la fedeltà, la sincerità, la riconoscenza, l'amor di patria, la tenerezza paterna, il rispetto filiale, tutti i sentimenti, insomma, che si possono considerare come altrettanti legami atti ad unire più strettamente gli uomini. L'origine di questa unanimità di giudizio, così costante e così generale, non doveva dunque essere cercata tra opinioni contraddittorie e passeggere.

Se, come sembra, i ministri della religione l'hanno pensata diversamente, è che, coi loro sistemi, diventavano padroni di regolare tutte le azioni degli uomini, disponevano di tutte le fortune, di tutte le volontà, si assicuravano, in nome del cielo, il governo arbitrario della terra. Il loro dominio era così assoluto che erano giunti a stabilire una morale barbara, che metteva gli unici piaceri capaci di rendere sopportabile la vita sul piano dei più grandi misfatti; una morale abietta, che imponeva l'obbligo di sentirsi a proprio agio nell'umiliazione e nell'obbrobrio; una morale stravagante, che minacciava con gli stessi supplizi sia le debolezze dell'amore sia le azioni più atroci; una morale superstiziosa, che ingiungeva di sgozzare senza pietà quanti si allontanavano dalle opinioni dominanti; una morale puerile, che fondava i doveri più essenziali su favole ugualmente disgustose e ridicole; una morale interessata, che delle virtù ammetteva solo quelle che erano utili al clero e considerava criminale solo ciò che era dannoso per loro.

Se i preti avessero solamente incoraggiato gli uomini ad osservare la morale naturale con la speranza o col timore delle ricompense e delle pene future, essi sarebbero stati benemeriti delle società, ma, volendo sostenere con la violenza dogmi utili che erano stati introdotti col solo dolce strumento della persuasione, essi hanno rimosso la benda che nascondeva le profondità della loro ambizione. La maschera è caduta.

Sono ormai trascorsi più di duemila anni da quando Socrate, stendendo un velo sopra le nostre teste, ha affermato che niente di quello che accade al di là del velo ci interessa, e che le azioni degli uomini non sono buone perché piacciono agli dèi, ma che piacciono agli dèi perché sono buone: principio che separa la morale dalla religione.

In effetti, dinanzi al tribunale della filosofia e della ragione, la morale è una scienza, il cui fine è la conservazione ed il bene comune dell'umanità. È a questo duplice scopo che le sue regole devono rapportarsi.

Il loro principio fisico, costante ed eterno, si trova nell'uomo stesso, nella somiglianza d'organizzazione tra gli uomini: somiglianza d'organizzazione che comporta anche quella dei bisogni, dei piaceri, delle pene, della forza, della debolezza; fonte della necessità della società, o di una lotta comune contro i pericoli comuni e che nascono dal seno della stessa natura, la quale minaccia l'uomo da cento parti diverse. Ecco l'origine dei legami particolari e delle virtù domestiche; ecco l'origine dei legami generali e delle virtù pubbliche; ecco la fonte della nozione di un'utilità personale e generale; ecco la fonte di tutti i patti individuali e di tutte le leggi.

Non esiste, propriamente parlando, che una virtù, la giustizia, e non esiste che un dovere, quello di rendere felici se stessi. Il virtuoso è colui che possiede le nozioni più esatte della giustizia e della felicità, e che ad esse conforma la sua condotta nella maniera più rigorosa. Vi sono due tribunali, quello della natura e quello delle leggi. L'uno giudica i delitti dell'uomo contro i propri simili, l'altro i delitti dell'uomo contro se stesso. La legge punisce i crimini, la natura punisce i vizi. La legge mostra la forca all'assassino, la natura mostra l'idropisia o la tisi all'intemperante.

Molti scrittori hanno cercato i primi princìpi della morale nei sentimenti d'amicizia, di tenerezza, di compassione, d'onore, di generosità, perché li trovavano scolpiti nel cuore umano. Ma non vi trovavano anche l'odio, la gelosia, la vendetta, l'orgoglio, la sete di dominio? Perché dunque hanno fondato la morale sui primi sentimenti piuttosto che sui secondi? Perché hanno capito che gli uni tornavano a vantaggio dell'intera società e che gli altri le sarebbero funesti. Questi filosofi hanno sentito la necessità della morale, hanno intravisto ciò che essa doveva essere, ma non ne hanno colto il primo principio, il principio fondamentale.

In realtà, gli stessi sentimenti che essi adottano come fondamento della morale, perché sembrano loro utili al bene comune, abbandonati a se stessi, potrebbero essere molto dannosi. Come potremmo deciderci a punire il colpevole, se ascoltassimo solo la compassione? Come potremmo difenderci dalle particolarità, se ci lasciassimo consigliare solo dall'amicizia? Come eviteremmo di favorire la pigrizia, se consultassimo soltanto la condiscendenza? Tutte queste virtù hanno un limite, al di là del quale esse degenerano in vizi; e questo limite è segnato dalle regole immutabili della giustizia nella sua essenza o, il che è lo stesso, dall'interesse comune degli uomini riuniti in società, e dallo scopo costante di questa riunione. È per se stesso che si eleva a virtù il coraggio? No, ma perché è utile alla società. Prova ne sia che lo si punisce come vizio nell'uomo che se ne serve per turbare l'ordine pubblico.

Perché la crapula è un vizio? Perché ogni cittadino è tenuto a contribuire all'utilità comune, e perché c'è bisogno, per adempiere a quest'obbligo, del libero esercizio delle proprie facoltà. Perché certe azioni sono più biasimevoli in un magistrato o in un generale che in un privato? Perché ne derivano i più grandi inconvenienti per la società.

Gli obblighi dell'uomo isolato mi sono sconosciuti. Non vedo né dove cominciano né dove finiscono. Poiché vive solo, ha il diritto di vivere soltanto per sé. Nessuno può pretendere da lui aiuti che egli non implora. Tutt'altra cosa è per chi vive nello stato sociale. Egli non è niente per se stesso. È sostenuto da ciò che lo circonda. Le sue proprietà, i suoi piaceri, le sue forze, e persino la sua esistenza, tutto egli deve al corpo politico al quale appartiene.


Guida alla lettura


1) Qual è l'oggetto della morale come scienza?
L'oggetto della morale come scienza, secondo il testo, è la conservazione e il bene comune dell'umanità. La morale, quindi, è vista come una disciplina che stabilisce le regole il cui scopo è doppio: preservare l'umanità e promuovere il suo bene comune. Queste regole si basano su principi che derivano dalla natura stessa dell'uomo, dalla somiglianza di organizzazione tra gli individui, che porta alla condivisione di bisogni, piaceri e dolori, e dalla necessità di collaborare per affrontare pericoli comuni.

2) Quali sentimenti vengono riconosciuti da sempre come disposizioni virtuose del carattere, indipendentemente dagli insegnamenti religiosi?
Dal testo, i sentimenti riconosciuti universalmente come disposizioni virtuose del carattere, indipendentemente dagli insegnamenti religiosi, includono la bontà, la compassione, l'amicizia, la fedeltà, la sincerità, la riconoscenza, l'amor di patria, la tenerezza paterna e il rispetto filiale. Questi sentimenti sono apprezzati in tutte le culture e sono considerati virtuosi perché contribuiscono a unire più strettamente gli uomini.

3) Quale contributo ha dato il Socrate platonico alla causa della morale?
Nel testo, viene citato un principio attribuito a Socrate, che svolge un ruolo significativo nella concezione della morale distinta dalla religione. Socrate, come riferito nel testo, ha proposto l'idea che "le azioni degli uomini non sono buone perché piacciono agli dèi, ma che piacciono agli dèi perché sono buone." Questa affermazione segna una separazione fondamentale tra morale e religione.

Questo principio socratico, come descritto, suggerisce che le azioni morali hanno un valore intrinseco e non sono semplicemente buone a causa di un mandato divino o del loro allineamento con le preferenze delle divinità. In altre parole, Socrate ha introdotto l'idea che l'etica e la morale dovrebbero basarsi su una fondazione razionale e universale, piuttosto che su credenze religiose particolari, che possono variare notevolmente tra culture diverse.

Il contributo del Socrate platonico, quindi, consiste nel promuovere una visione della morale come una disciplina guidata dalla ragione e dall'universalità, piuttosto che dalle convenzioni religiose. Questo ha aperto la via a un'esplorazione più laica e filosofica dell'etica, influenzando significativamente il pensiero morale successivo.

4) Quali sono i due soli tribunali che possono punire l'uomo?
Secondo il testo, i due soli tribunali che possono punire l'uomo sono il tribunale della natura e il tribunale delle leggi. La natura punisce gli uomini per i loro vizi privati, come le intemperanze nel mangiare e nel bere, mentre il tribunale delle leggi punisce chi agisce contro l'utilità comune.

5) In quali casi la crapula, cioè la gozzoviglia, è un vizio?
Nel testo, la crapula (o gozzoviglia) è considerata un vizio perché ogni cittadino è tenuto a contribuire all'utilità comune, il che richiede il libero esercizio delle proprie facoltà. La crapula, quindi, è vista come un vizio perché impedisce alle persone di mantenere le loro facoltà in condizioni ottimali, necessarie per adempiere ai loro obblighi nei confronti della società. Di conseguenza, qualsiasi azione che comprometta la capacità di un individuo di contribuire positivamente alla comunità è vista come dannosa e, quindi, viziante.


Guida alla Comprensione


1) Spiega per quale ragione, secondo Diderot, i libri di morale scritti da religiosi e preti non sono soltanto inutili, ma anche dannosi.
Secondo Diderot, i libri di morale scritti da religiosi e preti non sono soltanto inutili, ma anche dannosi principalmente perché non mirano a fondare la morale su principi universali e immutabili, basati sulla ragione umana e sull'utilità comune, ma piuttosto su dogmi religiosi, i quali sono spesso mutevoli, particolari a specifiche culture, e soprattutto strumentalizzati per consolidare il potere e il controllo del clero sulla società.

Diderot critica severamente i preti per aver distorto la morale naturale con sistemi che li rendevano padroni delle azioni umane, delle fortune e delle volontà, assicurandosi un governo arbitrario in nome del cielo. I preti, secondo Diderot, hanno stabilito una morale che non solo era estranea alle reali esigenze umane ma era anche barbara, abietta, stravagante, superstiziosa, puerile e interessata. Questa morale non solo imponeva un ordine ingiusto ma minacciava anche con severi castighi coloro che deviavano dalle opinioni dominanti, e valorizzava le virtù solamente quando queste erano utili al clero.

Inoltre, Diderot sostiene che la vera base della morale dovrebbe essere trovata nelle condizioni naturali e universali dell'umanità, come la somiglianza di organizzazione e di bisogni tra gli uomini, piuttosto che nelle variabili opinioni religiose. Questo approccio sarebbe più propizio per sviluppare una morale che promuove l'utilità comune e la giustizia, piuttosto che una morale che serve gli interessi del clero e mantiene in piedi il loro potere.

In sintesi, i libri di morale scritti dai preti sono visti da Diderot come dannosi perché sostengono un sistema morale che limita la libertà individuale e collettiva, servendo interessi particolari piuttosto che il bene comune, e perché distolgono dalla comprensione di una morale fondata sulla ragione e sull'utilità universale.

2) Spiega in che senso, secondo Diderot, non è sufficiente avere buoni sentimenti verso gli altri per essere giusti, cioè per rispettare l'unica vera virtù su cui si regge la società.
Secondo Diderot, avere buoni sentimenti verso gli altri non è sufficiente per essere giusti perché, benché questi sentimenti possano apparire beneficamente orientati al benessere comune, se lasciati a sé stessi senza una guida razionale e morale, possono condurre a risultati negativi o dannosi per la società. La giustizia, che è l’unica vera virtù su cui si regge la società, deve essere basata su un principio fondamentale che vada oltre i semplici sentimenti.

Nel testo, Diderot sottolinea che sentimenti come la compassione, l'amicizia, o la generosità, se non guidati e limitati dalle regole della giustizia, possono trasformarsi in vizi. Per esempio, la compassione incontrollata potrebbe impedirci di punire chi merita di essere punito, o l'amicizia potrebbe portarci a favorire ingiustamente gli amici a discapito degli altri.

La giustizia, quindi, non è fondata semplicemente sui sentimenti, ma piuttosto sull'utilità comune, cioè su ciò che effettivamente beneficia la società nel suo insieme. Questo principio di utilità comune è il criterio per determinare se un'azione o un sentimento è virtuoso o viziato. Diderot critica l'approccio che considera certi sentimenti positivi come fondamenti della morale senza esaminare i loro effetti pratici e potenzialmente negativi. Così, l’azione morale, per Diderot, deve essere guidata da una comprensione razionale dell'utilità comune, che regola e limita i sentimenti personali per garantire il bene collettivo.

3) Spiega come Diderot giunga a teorizzare un codice morale universale, affiancandolo a quello della natura e ponendo come fine ultimo la felicità.
Denis Diderot, nella sua riflessione morale esposta nei contributi alla "Storia filosofica e politica degli insediamenti e del commercio degli europei nelle due Indie", sviluppa un'interpretazione della morale che si distacca fortemente dalle basi religiose, orientandosi invece verso un codice morale universale radicato in principi di natura e di ragione.

Diderot inizia il suo discorso con l'osservazione che l'origine della giustizia, la sola e vera virtù, deriva dalla somiglianza organica e dalle esigenze condivise degli esseri umani. Questa somiglianza porta a bisogni, piaceri e dolori comuni, i quali a loro volta danno origine a una comprensione universale di ciò che è utile o dannoso sia per l'individuo che per la società. In questo senso, la giustizia è intesa come massimizzazione dell'utilità pubblica.

Per Diderot, il codice morale deve essere staccato dalle opinioni religiose, che sono varie e mutevoli, e ancorato invece a qualcosa di più costante e universale: le condizioni fisiche e psicologiche intrinseche all'essere umano. Questo pensiero si riflette nella sua critica verso i sistemi morali che i preti hanno stabilito per consolidare il proprio potere, spesso allontanandosi dalle vere necessità umane e dalla giustizia naturale.

La morale, quindi, è vista da Diderot come una scienza il cui scopo è la conservazione e il bene comune dell'umanità. Le regole morali, secondo Diderot, dovrebbero essere direttamente collegate alla promozione della felicità e del benessere comuni, piuttosto che al servizio di particolari dottrine religiose o interessi di classe.

In definitiva, Diderot propone un codice morale universale che è sia affiancato che guidato dal "tribunale della natura". Questo sistema naturale punisce i vizi privati mentre il sistema legale (tribunale delle leggi) si occupa dei crimini contro l'utilità comune. Tale approccio enfatizza un principio di utilità sociale come criterio ultimo di giudizio morale, dove la felicità collettiva e la giustizia vengono viste come intrinsecamente connesse.

Quindi, secondo Diderot, per vivere moralmente in una società, gli individui dovrebbero agire non solo per il proprio benessere personale, ma in modi che siano consistentemente benefici per la società nel suo complesso. Questo si traduce in un codice di condotta che favorisce virtù pubbliche come la giustizia, essenziali per la felicità e la prosperità collettive.

4) Che cosa significa che un uomo che viva isolato non può avere alcun obbligo morale? Svolgi una riflessione personale, a partire da questa tesi del filosofo sull'origine sociale della morale.
La tesi proposta nel testo che un uomo isolato non ha obblighi morali si basa sull'idea che la morale emerga essenzialmente dalle interazioni sociali e dalle necessità della vita comunitaria. Diderot, nel contesto del testo, sostiene che la moralità è strettamente legata all'esistenza di una società organizzata e alle relazioni che si sviluppano tra i suoi membri.

Il pensiero di Diderot evidenzia che le norme morali nascono dalla necessità di regolare i comportamenti in modo che siano benefici per il collettivo. Questo significa che la moralità si sviluppa per favorire la convivenza pacifica, garantire il benessere comune e permettere agli individui di vivere insieme senza danneggiarsi a vicenda. La giustizia, la principale virtù menzionata nel testo, è vista come un meccanismo per bilanciare gli interessi personali con quelli della comunità, garantendo che le azioni individuali non danneggino il bene collettivo.

Quando Diderot parla di un uomo che vive isolato, suggerisce che, in assenza di altre persone con cui interagire, non esisterebbero norme esterne o aspettative sociali da rispettare. In questo contesto, l'individuo isolato non avrebbe obblighi morali in quanto le sue azioni non influenzerebbero direttamente gli altri. La sua esistenza sarebbe guidata principalmente da considerazioni di autopraticità e sopravvivenza piuttosto che da un codice di comportamento sociale.

Tuttavia, questa visione solleva questioni interessanti: è davvero possibile che un individuo completamente isolato sia privo di qualsiasi forma di morale? O esiste un senso innato di giusto e sbagliato che trascende l'esperienza sociale? Filosofi come Immanuel Kant hanno sostenuto l'esistenza di imperativi morali universali che sono validi a prescindere dal contesto sociale, suggerendo che la moralità ha anche radici profonde nella razionalità umana o in principi universali, non solo nella società.

In sintesi, il pensiero di Diderot sull'origine sociale della morale enfatizza il ruolo delle interazioni umane nel formare i concetti di giusto e sbagliato. La sua idea che un uomo isolato non abbia obblighi morali pone l'accento sull'importanza delle relazioni sociali nella definizione delle responsabilità morali. Questo solleva questioni filosofiche significative riguardo la natura e le origini della moralità stessa.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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