Friedrich Nietzsche - La nascita della cattiva coscienza


Immagine Friedrich Nietzsche
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Negli aforismi 16, 17 e 18 della seconda dissertazione della "Genealogia della morale", Nietzsche illustra l'origine della cattiva coscienza, descrivendo come l'uomo abbia iniziato a rivolgere contro se stesso il suo innato istinto di crudeltà. Questo rappresenta una rottura significativa tra due fasi storiche dell'umanità: una prima fase, in cui gli uomini agivano seguendo solo gli istinti naturali pur avendo instaurato relazioni di scambio e una seconda fase, in cui sono stati costretti a vivere all'interno delle regole della società. In questo processo, un ruolo cruciale è giocato dalla razza dominante che sottomette i più deboli, obbligandoli a conformarsi alle norme sociali. Di conseguenza, l'uomo comincia a rivolgere contro se stesso i propri impulsi crudeli e violenti, imparando in un primo momento a trarre piacere dal farsi del male, e successivamente a disprezzare i propri istinti naturali, apprezzando invece ciò che li reprime.


Lettura


16. A questo punto non posso più esimermi dal fornire alla mia particolare ipotesi sull'origine della «cattiva coscienza» una prima provvisoria formulazione: tale ipotesi non si lascia facilmente ascoltare e vuole essere lungamente meditata, vigilata e ponderata. Considero la cattiva coscienza come quella grave malattia in balìa della quale doveva cadere l'uomo sotto la pressione della più radicale tra tutte le metamorfosi che egli abbia mai vissuto – quella metamorfosi in cui si venne a trovare definitivamente incapsulato nell'incantesimo della società e della pace.

Non diversamente da quel che deve essere accaduto agli animali acquatici, allorché furono costretti a divenire animali terrestri oppure a perire, si compì la sorte di questi semianimali felicemente adattati allo stato selvaggio, alla guerra, al vagabondaggio, all'avventura – a un tratto tutti i loro istinti furono svalutati e «divelti». Dovettero ormai camminare sulle gambe e «portare se stessi», laddove fino a quel momento venivano portati dall'acqua: una spaventosa pesantezza gravava su di loro.

Si sentivano inabili alle funzioni più semplici, per questo nuovo mondo sconosciuto non avevano più le loro antiche guide, gli istinti regolativi, inconsciamente infallibili erano ridotti, questi infelici, a pensare, dedurre, calcolare, combinare cause ed effetti, alla loro «coscienza», al loro più miserevole organo, il più esposto a ogni errore!

Credo che non ci sia mai stato sulla terra un tale senso di miseria, un tale plumbeo disagio – e intanto quegli antichi istinti non avevano cessato tutt'a un tratto di porre le loro esigenze! Solo che difficilmente e di rado era possibile dar loro soddisfacimento: in sostanza, essi dovettero cercarsi nuovi e per così dire sotterranei appagamenti. Tutti gli istinti che non si scaricano all'esterno, si rivolgono all'interno – questo è quella che io chiamo interiorizzazione dell'uomo: in tal modo soltanto si sviluppa nell'uomo quella che più tardi verrà chiamata la sua «anima».

L'intero mondo interiore, originariamente sottile come fosse teso tra due epidermidi, si è stemperato e dischiuso; ha acquistato profondità, latitudine, altezza a misura che è stato impedito lo sfogo dell'uomo all'esterno.

Quei terribili bastioni con cui l'organizzazione statale si proteggeva contro gli antichi istinti della libertà – le pene appartengono soprattutto a questi bastioni – fecero sì che tutti codesti istinti dell'uomo selvaggio, libero, divagante si volgessero a ritroso, si rivolgessero contro l'uomo stesso. L'inimicizia, la crudeltà, il piacere della persecuzione, dell'aggressione, del mutamento, della distruzione – tutto quanto si volge contro i possessori di tali istinti: ecco l'origine della «cattiva coscienza».

L'uomo che in mancanza di nemici esterni e di resistenze, rinserrato in una opprimente angustia e normalità di costumi, faceva impazientemente a brani se stesso, si perseguitava, si rodeva, si aizzava, si svillaneggiava, quest'animale che si vuole «ammansire» e dà di cozzo alle sbarre della sua cella fino a coprirsi di piaghe, questo essere che manca di qualcosa, che si strugge nella nostalgia del deserto e che deve far di se stesso un'avventura, una camera di supplizi, una selva insicura e perigliosa – questo giullare, questo desioso e disperato prigioniero divenne l'inventore della «cattiva coscienza».

Con essa fu però introdotta la più grande e la più sinistra delle malattie, di cui fino a oggi l'umanità non è guarita, la sofferenza che l'uomo ha dell'uomo, di sé: conseguenza di una violenta separazione dal suo passato d'animale, di un salto e di una caduta, per così dire, in nuove situazioni e condizioni esistenziali, di una dichiarazione di guerra contro gli antichi istinti, sui quali fino allora riposava la sua forza, il suo piacere e la sua terribilità. Aggiungiamo subito che, d'altro canto, col fatto di un'anima animale rivolta contro se stessa, intenta a prender partito contro se stessa, si era presentato sulla terra qualcosa di tanto nuovo, profondo, inaudito, enigmatico, colmo di contraddizioni e colmo d'avvenire, che l'aspetto della terra ne fu sostanzialmente trasformato.

In realtà, ci sarebbero voluti spettatori divini per apprezzare lo spettacolo che in tal modo aveva avuto inizio e di cui non è ancora assolutamente prevedibile la fine – uno spettacolo troppo squisito, troppo meraviglioso, troppo paradossale perché potesse svolgersi assurdamente inosservato su un qualche ridicolo astro! Da allora l'uomo è annoverato tra le più inaspettate e stimolanti mosse azzeccate che gioca il «grande fanciullo» eracliteo, si chiami Zeus o caso – desta per sé un interesse, una tensione, una speranza, quasi una certezza, come se con lui qualcosa si annunziasse, qualcosa si preparasse, come se l'uomo non fosse una meta, ma soltanto una via, un episodio, un ponte, una grande promessa...

17. Tra i presupposti di questa ipotesi sull'origine della cattiva coscienza rientra in primo luogo la circostanza che quella metamorfosi non è stata né graduale, né volontaria e non si è presentata come uno sviluppo organico all'interno di nuove condizioni, bensì come una frattura, un salto, una costrizione, un'inevitabile fatalità, contro la quale non era possibile lotta e neppure ressentiment.

In secondo luogo, peraltro, il fatto che l'inserimento in una stabile forma, di una popolazione sino allora sfrenata e amorfa, allo stesso modo che aveva avuto inizio con un atto di violenza, così soltanto con manifesti atti di violenza venne condotto a termine – che, coerentemente a ciò, il più antico «Stato» apparve come una spaventevole tirannide, un meccanismo stritolatore e senza scrupoli, e proseguì questa sua opera finché una tale materia grezza di popolo e di semianimalità non soltanto venne finalmente bene impastata e resa cedevole, ma anche dotata di una forma.

Ho usato la parola «Stato»: va da sé a quale intendo, con ciò, alludere: – un qualsiasi branco d'animali da preda, una razza di conquistatori e di padroni che, guerrescamente organizzata e con la forza di organizzare, pianta senza esitazione i suoi terribili artigli su una popolazione forse enormemente superiore di numero, ma ancora informe, ancora errabonda.

In questo modo ha inizio sulla terra lo «Stato»: penso che sia liquidata quella fantasticheria che lo faceva cominciare con un «contratto». Colui che può comandare, che è naturalmente «signore», che si fa innanzi dispotico nell'opera e nell'atteggiamento – che cosa mai ha a che fare con contratti! Con tali esseri non si fanno calcoli, sopraggiungono come il destino, senza un motivo, una ragione, un riguardo, un pretesto, esistono come esiste il fulmine, troppo terribili, troppo repentini, troppo persuasivi, troppo «diversi» per essere anche soltanto odiati.

L'opera loro è un'istintiva plasmazione di forme, espressione di forme, sono gli artisti più spontanei, più inconsapevoli che esistano – insomma esiste qualcosa di nuovo, dove essi appaiono, una concrezione di dominio che vive, nella quale parti e funzioni sono circoscritte e messe in connessione, nella quale non trova posto alcuna cosa in cui non sia prima immesso un «senso» in vista del tutto.

Essi ignorano che cosa sia colpa, responsabilità, scrupolo, questi organizzatori nati; regna in loro quel terribile egoismo di artisti che ha uno sguardo bronzeo e nell'«opera» si sa giustificato in anticipo per tutta l'eternità, come la madre nel figlio. Non sono costoro quelli nei quali è allignata la «cattiva coscienza» – lo si comprende fin dal principio – tuttavia, senza di loro, non sarebbe cresciuta, questa brutta pianta, essa sarebbe assente se sotto il peso dei loro colpi di martello, della loro violenza di artisti non fosse stato eliminato dal mondo, o per lo meno dalla vista e, per così dire, reso latente un enorme quantum di libertà. Questo istinto della libertà reso latente a viva forza – lo abbiamo già capito – questo istinto della libertà represso, rintuzzato, incarcerato nell'intimo, che non trova infine altro oggetto su cui ancora scaricarsi e disfrenarsi se non se stesso: questo, soltanto questo è, nel suo cominciamento, la cattiva coscienza.

18. Questa segreta tirannide su se stessi, questa crudeltà di artisti, questo piacere di dare a se stessi, quasi greve, riluttante, sofferente materia, una forma, di marchiare a fuoco una volontà, una critica, una contraddizione, un disprezzo, un no, questo sinistro e orrendamente gioioso travaglio di un'anima docilmente scissa in se stessa, che si cagiona dolore per gusto di cagionare dolore, tutta questa «cattiva coscienza» attiva ha infine – già lo si indovina –, in quanto vero e proprio grembo materno di ideali e fantastici eventi, dato altresì alla luce una profusione di nuove sorprendenti bellezze e affermazioni e forse, per la prima volta, innanzitutto la bellezza [...]. Che cosa, infatti, sarebbe «bello», se prima la contraddizione non fosse divenuta cosciente a se stessa, se prima il brutto non avesse detto a se stesso: «Io sono brutto»? [...]

Per lo meno, dopo quest'accenno, sarà meno ambiguo l'enigma: fino a che punto, cioè, in concetti contraddittori come disinteresse, abnegazione, autosacrificio possa essere indicato un ideale, una bellezza; e una cosa d'ora innanzi sarà nota – non ne dubito – vale a dire di quale specie è il piacere che prova il disinteressato, il negatore di se stesso, l'immolatore di sé: questo piacere rientra nella crudeltà. – Tanto andava detto in via provvisoria sull'origine del «non egoistico» in quanto valore morale e sulla delimitazione del terreno da cui è germogliato questo valore: soltanto la cattiva coscienza, soltanto la volontà di svillaneggiare se stessi fornisce il presupposto per il valore del non egoistico.


Guida alla lettura


1) Definisci la cattiva coscienza come malattia.
Nel testo della "Genealogia della morale" di Nietzsche, la cattiva coscienza è descritta come una malattia che affligge l'uomo a causa di una trasformazione radicale nella sua esistenza. Questa trasformazione avviene quando l'uomo, originariamente guidato dagli istinti selvaggi e dalla libertà, viene costretto nella struttura della società e della pace, analogamente a come gli animali acquatici furono costretti a diventare animali terrestri.

Origine e natura della cattiva coscienza:

Nietzsche definisce la cattiva coscienza come una grave malattia che nasce quando l'uomo si trova incapsulato nella società e nelle sue regole, perdendo così il contatto con i suoi antichi istinti selvaggi. Questi istinti, che non possono più essere espressi all'esterno, vengono interiorizzati, causando un profondo disagio e un senso di miseria. La cattiva coscienza è dunque il risultato dell'interiorizzazione degli istinti repressi e della loro direzione contro se stessi.

Processo di sviluppo della cattiva coscienza:

Quando l'uomo è costretto a vivere in una società organizzata, i suoi antichi istinti di libertà, crudeltà e avventura non trovano più sfogo all'esterno e si rivolgono all'interno. Questa interiorizzazione crea un conflitto interno, in cui l'uomo inizia a perseguire se stesso, a rodersi e a svillaneggiarsi, portando alla nascita della cattiva coscienza. La società, con le sue regole e punizioni, contribuisce a reprimere questi istinti naturali, aumentando la sofferenza interna.

Effetti e manifestazioni della cattiva coscienza:

La cattiva coscienza si manifesta come una crudeltà rivolta verso se stessi. L'uomo impara a provare piacere nel farsi del male, a disprezzare i propri istinti naturali e a considerare come valore ciò che li nega. Questo auto-tormento diventa una forma di arte, in cui l'uomo marchia a fuoco una volontà di negazione e disprezzo su se stesso. La cattiva coscienza diventa così il grembo materno di nuovi ideali e valori morali, come il disinteresse, l'abnegazione e l'autosacrificio, che trovano la loro origine nella crudeltà verso se stessi.

Conclusione:

In sintesi, Nietzsche descrive la cattiva coscienza come una malattia che nasce dall'imposizione della società sugli istinti naturali dell'uomo. Questo porta a una sofferenza interna e a un'auto-crudeltà, che a sua volta genera nuovi valori morali basati sulla negazione di sé e sul disprezzo degli antichi istinti. La cattiva coscienza è quindi un prodotto della repressione sociale e della trasformazione degli istinti naturali in auto-tormento.

2) Quando entra in scena la coscienza e che ruolo svolge?
La coscienza entra in scena nel momento in cui l'uomo viene costretto a vivere all'interno della società e a rispettare le norme comuni, subendo una trasformazione radicale rispetto alla sua condizione originaria guidata dagli istinti. Nietzsche paragona questa trasformazione a quella degli animali acquatici costretti a diventare animali terrestri, che si trovano privati dei loro istinti regolativi, inconsciamente infallibili e sono costretti a utilizzare la coscienza, descritta come "il loro più miserevole organo, il più esposto a ogni errore".

Il ruolo della coscienza, quindi, è quello di prendere il posto degli istinti soppressi, obbligando l'uomo a pensare, dedurre, calcolare e combinare cause ed effetti. Questo passaggio provoca un senso di grande disagio e miseria, poiché gli antichi istinti non cessano di esigere soddisfacimento ma trovano pochi e rari sfoghi all'esterno. Di conseguenza, questi istinti si rivolgono all'interno, portando alla "interiorizzazione dell’uomo" e allo sviluppo della sua "anima".

In sintesi, la coscienza emerge come risposta alla repressione degli istinti naturali dell'uomo all'interno del contesto sociale, diventando uno strumento di adattamento e controllo, ma anche fonte di profonda sofferenza e conflitto interiore.

3) Che ruolo giocano all'origine le pene nel piegare gli istinti?
Le pene giocano un ruolo fondamentale nell'origine della cattiva coscienza, secondo Nietzsche. Esse funzionano come uno dei "terribili bastioni" con cui l'organizzazione statale proteggeva se stessa contro gli antichi istinti di libertà degli uomini. Le pene hanno costretto gli istinti selvaggi, liberi e divaganti dell'uomo a rivolgersi contro di lui, creando così la cattiva coscienza.

In altre parole, attraverso le pene, gli istinti di inimicizia, crudeltà, piacere della persecuzione e aggressione che non potevano più essere espressi all'esterno a causa delle restrizioni imposte dalla società, si sono rivolti internamente, contro l'uomo stesso. Questo processo ha portato l'uomo a perseguire se stesso e a provare piacere nel proprio dolore, sviluppando così la cattiva coscienza.

Perciò, le pene sono cruciali nel piegare e reprimere gli istinti, dirigendoli all'interno e causando l'interiorizzazione che porta alla formazione della cattiva coscienza.

4) Che ruolo gioca la razza conquistatrice nella nascita della cattiva coscienza?
Nel testo della "Genealogia della morale" di Nietzsche, la razza conquistatrice gioca un ruolo fondamentale nella nascita della cattiva coscienza. Questa razza di conquistatori e padroni, descritta come un "branco d’animali da preda," è responsabile di sottomettere e organizzare una popolazione amorfa e disordinata. Questo processo di conquista e organizzazione avviene attraverso atti di violenza e tirannia, creando uno Stato che impone una rigida struttura sociale.

La pressione esercitata da questi dominatori spinge gli individui a rivolgere i loro istinti aggressivi e crudeli contro se stessi. Gli antichi istinti della libertà, della crudeltà e della distruzione che non possono più essere espressi all'esterno a causa delle rigide norme sociali, si interiorizzano. Questo porta allo sviluppo della cattiva coscienza, una forma di crudeltà rivolta verso se stessi. Nietzsche paragona questo processo a una malattia, una "segreta tirannide su se stessi," che nasce dal represso istinto di libertà.

In sintesi, la razza conquistatrice crea le condizioni sociali che costringono gli individui a interiorizzare i propri istinti aggressivi, dando origine alla cattiva coscienza. Senza la violenza e la pressione di questi dominatori, questa "brutta pianta" della cattiva coscienza non sarebbe cresciuta.

5) Descrivi gli effetti della scissione della coscienza in due componenti, una attiva e una passiva, caratterizzandole brevemente.
Nel testo di Nietzsche, la scissione della coscienza in due componenti, una attiva e una passiva, produce effetti distinti e rilevanti:

Coscienza Passiva:

Condizione di oppressione: Gli individui si trovano rinchiusi nella "gabbia della società", perdendo la libertà originaria. Devono adattarsi a un nuovo mondo di norme e restrizioni che impone un'auto-sorveglianza continua.
Rivolgimento degli istinti: Gli istinti crudeli e violenti, che non trovano più sfogo all'esterno, vengono rivolti verso l'interno, causando sofferenza e sviluppo della "cattiva coscienza".
Sviluppo dell'interiorità: L'uomo, non potendo più agire liberamente, inizia a sviluppare un mondo interiore più complesso e profondo, dove gli istinti repressi trovano nuovi modi di espressione.

Coscienza Attiva:

Auto-crudeltà: La coscienza attiva si manifesta attraverso una "tirannide su se stessi", dove l'individuo prova piacere nel causare dolore a se stesso, marchiando la propria volontà con una critica incessante e un rifiuto delle proprie inclinazioni.
Creatività e trasformazione: Questa auto-crudeltà diventa il "grembo materno" di nuovi ideali e bellezze. La contraddizione e il dolore generano una coscienza più profonda e consapevole, capace di apprezzare il bello proprio attraverso la consapevolezza del brutto e della sofferenza.
Nascita di valori morali: La cattiva coscienza attiva dà origine a valori morali come il disinteresse, l'abnegazione e l'autosacrificio. Questi valori sono intrinsecamente legati al piacere della crudeltà rivolta verso se stessi.

In sintesi, la scissione della coscienza in componenti attive e passive porta a un'esperienza umana più complessa e contraddittoria, dove la repressione degli istinti naturali favorisce lo sviluppo di una profondità interiore e di nuovi valori morali, pur attraverso il dolore e la sofferenza auto-inflitta.

6) Evidenzia il collegamento tra il giudizio di bruttezza su se stessi ed egoismo.
Nel testo di Nietzsche, il collegamento tra il giudizio di bruttezza su se stessi e l'egoismo è descritto in modo complesso e profondo. Nietzsche spiega che la "cattiva coscienza" nasce quando gli istinti naturali e selvaggi dell'uomo sono repressi a causa dell'imposizione della società e delle sue norme. Questo porta l'uomo a rivolgere contro se stesso la propria crudeltà e aggressività, generando un senso di colpa e di disprezzo verso i propri istinti naturali.

Nell'aforisma 18, Nietzsche parla di come la "cattiva coscienza" abbia dato origine a nuovi ideali e concetti di bellezza, che emergono solo dopo che il brutto è diventato consapevole di se stesso. In questo processo, il piacere del disinteressato, del negatore di se stesso e dell'immolatore di sé viene ricollegato alla crudeltà:

"Che cosa, infatti, sarebbe «bello», se prima la contraddizione non fosse divenuta cosciente a se stessa, se prima il brutto non avesse detto a se stesso: «Io sono brutto»? [...]"

Questo passaggio evidenzia che il giudizio di bruttezza su se stessi è una manifestazione della cattiva coscienza, in cui l'uomo rivolge contro se stesso la crudeltà che non può più esprimere all'esterno. Questo auto-disprezzo e la volontà di "svillaneggiare se stessi" formano il presupposto per il valore del "non egoistico":

"soltanto la cattiva coscienza, soltanto la volontà di svillaneggiare se stessi fornisce il presupposto per il valore del non egoistico."

Quindi, il collegamento tra il giudizio di bruttezza su se stessi e l'egoismo sta nel fatto che l'auto-disprezzo e l'autopunizione derivano dalla repressione degli istinti egoistici naturali. La cattiva coscienza porta l'uomo a trovare piacere nel negare e sacrificare se stesso, trasformando l'egoismo represso in una forma di crudeltà verso sé stesso, che poi si manifesta come disinteresse e abnegazione.

In sintesi, Nietzsche descrive come la cattiva coscienza e il giudizio di bruttezza su se stessi emergano dall'interiorizzazione degli istinti egoistici e aggressivi, che vengono repressi e rivolti contro l'individuo stesso, creando una dinamica in cui l'egoismo latente si manifesta attraverso l'autosacrificio e il disprezzo di sé.


Guida alla Comprensione


1) Nietzsche parla di una metamorfosi dell'uomo simile a quella degli animali acquatici. Spiega il significato dell'analogia.
Nietzsche utilizza l'analogia della metamorfosi degli animali acquatici per descrivere il passaggio dell'uomo da uno stato primordiale, dominato dagli istinti, a una nuova condizione sociale e culturale. Così come gli animali acquatici devono adattarsi alla vita terrestre o perire, così l'uomo è costretto a trasformarsi per sopravvivere nel contesto della società. Questa trasformazione comporta una perdita dei vecchi istinti e una necessità di adattarsi a nuove condizioni, portando con sé un senso di pesantezza e una mancanza di orientamento. In questo nuovo contesto, gli istinti, anziché essere scaricati all'esterno, si rivolgono contro l'individuo stesso, dando origine alla "cattiva coscienza".

2) Ricostruisci la sequenza temporale attraverso la quale gli uomini da animali liberi diventano animali malati della più sinistra di tutte le malattie, la cattiva coscienza.
Nel testo, Nietzsche spiega che la transizione degli uomini da animali liberi a esseri afflitti dalla "cattiva coscienza" avviene in modo graduale e violento. Inizia con una metamorfosi radicale, in cui gli uomini vengono incapsulati nell'incantesimo della società e della pace, simile alla transizione degli animali acquatici diventati terrestri. Questa nuova condizione porta a una perdita dei vecchi istinti e alla necessità di adattarsi a nuove norme sociali. Tuttavia, gli antichi istinti non scompaiono completamente ma si rivolgono all'interno, causando una sorta di "interiorizzazione" dell'uomo. Questo processo è accompagnato da una crescente sensazione di miseria e disagio, poiché gli uomini si sentono inadatti alle nuove condizioni e si trovano privati dei vecchi modi di soddisfare i loro istinti.

Successivamente, Nietzsche descrive come la costruzione dello Stato avvenga attraverso atti di violenza e dominio da parte di coloro che possono comandare, anziché attraverso un contratto volontario. Questo processo di organizzazione sociale comporta una tirannia sulla popolazione libera e amorfa che viene plasmata e controllata con violenza. È questa oppressione da parte dei dominatori che porta gli uomini a volgersi contro se stessi, manifestando comportamenti come l'auto-persecuzione e l'auto-rovina.

Infine, Nietzsche collega la nascita della "cattiva coscienza" alla presenza di questa tirannia segreta su se stessi, dove gli uomini si auto-criticano e si auto-puniscono per il gusto di farlo. Questo processo di auto-flagellazione mentale porta alla formazione di nuovi ideali e valori, nonché a una nuova coscienza della bellezza attraverso la consapevolezza della propria bruttezza. In definitiva, la "cattiva coscienza" nasce da una serie di trasformazioni sociali e psicologiche che portano gli uomini a rivolgere la loro aggressività e il loro senso di oppressione contro se stessi.

3) Commenta la descrizione di Nietzsche degli uomini come animali in gabbia.
Nietzsche descrive gli uomini come animali in gabbia per illustrare la transizione dalla libertà degli istinti all'oppressione della società. Egli suggerisce che gli uomini, una volta liberi di seguire i propri istinti, sono stati improvvisamente confinati in una "gabbia sociale" imposta dalla dominante razza dominatrice. Questa nuova condizione ha comportato una lacerazione interiore, dove gli istinti naturali sono stati repressi e rivolti contro se stessi, generando la "cattiva coscienza". Questa immagine evoca l'idea di una perdita di libertà e vitalità, dove gli individui si sentono impotenti e soffocati, simili agli animali domestici imprigionati. La gabbia rappresenta quindi un simbolo della limitazione delle potenzialità umane e della conflittualità interna generata dalla civilizzazione.

4) In che senso la metamorfosi dell'uomo non è stata graduale ma è stata una frattura che ha il carattere di «una inevitabile fatalità»?
La metamorfosi dell'uomo, secondo Nietzsche, non è stata graduale né volontaria, piuttosto è stata una frattura improvvisa e inevitabile. Questo significa che non è avvenuta come uno sviluppo organico all'interno di nuove condizioni ma è stata una rottura drammatica con il passato. Questa frattura è stata descritta come una costrizione, un salto repentino in nuove situazioni e condizioni esistenziali. Il testo suggerisce che questa trasformazione non poteva essere evitata né combattuta ma si è manifestata come una sorta di destino inevitabile.

5) Di passaggio Nietzsche critica la teoria che pone un contratto alla base dell'origine della società: con quale argomento?
Nietzsche critica la teoria del contratto alla base dell'origine della società sostenendo che coloro che possono comandare, naturalmente "signori", non hanno nulla a che fare con i contratti. Egli argomenta che tali individui non sono soggetti a ragionamenti contrattuali ma emergono come il destino stesso, senza motivo o ragione apparente. Inoltre, descrive come essi agiscano come artisti spontanei e inconsapevoli, plasmando forme e espressioni senza considerare concetti come colpa, responsabilità o scrupolo. Questo suggerisce che la formazione della società e del potere non sia il risultato di accordi contrattuali, ma piuttosto di atti di violenza e dominio.

6) Spiega l'origine dei valori altruistici facendo riferimento alla dinamica interna tra la componente attiva e crudele della coscienza e la componente passiva convinta che il proprio istinto sia brutto.
Secondo Nietzsche, l'origine dei valori altruistici può essere compresa attraverso la dinamica interna della coscienza umana, descritta nella Genealogia della morale. La "cattiva coscienza" emerge da una frattura nella storia umana, quando gli uomini passano da una condizione in cui sono guidati solo dagli istinti alla società, dove vengono sottomessi al rispetto delle norme comuni. Questo passaggio è guidato dalla razza dominatrice che sottomette i deboli e li costringe a vivere all'interno delle norme sociali.

La componente attiva e crudele della coscienza è rappresentata dagli istinti primordiali che tendono alla dominazione e alla violenza. Tuttavia, con l'avvento della società, questi istinti vengono repressi e indirizzati verso l'interno, creando così un conflitto interiore. La componente passiva della coscienza, convinta che i propri istinti siano brutti, inizia a interiorizzare questa convinzione, sviluppando una "cattiva coscienza" che porta alla volontà di negare e svillaneggiare se stessi.

Questo conflitto interiore porta alla nascita di valori altruistici, in quanto la "cattiva coscienza" spinge l'individuo a negare i propri istinti e a cercare di compiacere gli altri. Questo processo è il risultato di una lotta interna tra la componente attiva e crudele della coscienza e la componente passiva convinta della propria bruttezza. In questo modo, l'altruismo emerge come un tentativo di compensare la violenza e la crudeltà insite nell'istinto umano, attraverso l'auto-negazione e la volontà di fare del male a se stessi.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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