Parafrasi, Analisi e Commento di: "Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira" di Guido Cavalcanti


Immagine Guido Cavalcanti
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte

Scheda dell'Opera


Autore: Guido Cavalcanti
Titolo dell'Opera: Rime
Data: Seconda metà del XIII sec.
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Sonetto con quartine a rime incrociate (ABBA) e terzine a rime rovesciate (CDE EDC). Parole in rima: mira, sospira, gira, ira (vv. 1, 4, 5, 8), are, parlare, contare, pare (vv. 2, 3, 6, 7), piagenza, conoscenza (vv. 9, 14), vertute, salute (vv. 10, 13), mostra, nostra (vv. 11-12).



Introduzione


Cavalcanti, esponente del Dolce Stil Novo, esalta la bellezza e la virtù della donna, ritratta come una creatura divina che incanta chiunque la veda. La poesia esplora temi cari allo Stil Novo, come l'amore idealizzato e la trascendenza spirituale, elevando la figura femminile a simbolo di perfezione e purezza. La lirica si distingue per la sua eleganza stilistica e la profondità emotiva, riflettendo la sensibilità e l'ingegno del poeta fiorentino.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira,
2. che fa tremar di chiaritate l'âre
3. e mena seco Amor, sì che parlare
4. null'omo pote, ma ciascun sospira?

5. O Deo, che sembra quando li occhi gira,
6. dical'Amor, ch'i' nol savria contare:
7. cotanto d'umiltà donna mi pare,
8. ch'ogn'altra ver' di lei i' la chiam'ira.

9. Non si poria contar la sua piagenza,
10. ch'a le' s'inchin'ogni gentil vertute,
11. e la beltate per sua dea la mostra.

12. Non fu sì alta già la mente nostra
13. e non si pose 'n noi tanta salute,
14. che propiamente n'aviàn canoscenza.
1. Chi è questa donna che avanza in modo tale che ogni uomo la guarda con ammirazione
2. e che fa tremare l'aria con la sua luminosità
3. e conduce con sé l'amore (fa innamorare inevitabilmente tutti coloro che la contemplano), tanto che parlare
4. nessun uomo può, ma tutti sospirano?

5. O Dio, che cosa sembra questa donna quando gira gli occhi,
6. lo dica Amore, perché io non riuscirei a raccontarlo:
7. mi sembra una donna a tal punto incline all'umiltà,
8. che ogni altra rispetto a lei la considero sdegnosa.

9. Non si potrebbe descrivere la sua bellezza,
10. che è tale che di fronte a lei si inchina ogni nobile virtù
11. e la bellezza la indica come sua dea.

12. Le nostre capacità mentali non furono mai così elevate
13. e in noi non fu mai posta tanta grazia divina
14. da riuscire ad averne adeguatamente conoscenza.



Parafrasi discorsiva


Chi è questa donna che avanza in modo tale che ogni uomo la guarda con ammirazione e che fa tremare l'aria con la sua luminosità e conduce con sé l'amore (fa innamorare inevitabilmente tutti coloro che la contemplano), tanto che nessun uomo è in grado di parlare, ma tutti sospirano?

O Dio, lo dica Amore che cosa sembra questa donna quando gira gli occhi, perché io non riuscirei a raccontarlo: mi sembra una donna a tal punto incline all'umiltà, che ogni altra rispetto a lei la considero sdegnosa.

Non si potrebbe descrivere la sua bellezza, che è tale che di fronte a lei si inchina ogni nobile virtù e la bellezza la indica come sua dea.

Le nostre capacità mentali non furono mai così elevate e in noi non fu mai posta tanta grazia divina da riuscire ad averne adeguatamente conoscenza.


Figure Retoriche


Allitterazioni: v. 7: della nasale "m" o "n" nelle quartine: ven, om, mira, tremar, mena, amor, null'omo, ma, ciascun, sembra, quando, Amor, nol, cotanto, umiltà, dona, mi, chiam. Della "r": mira, tremar, are, Amor, parlare, sospira, sembra, gira, Amor, savria, contare, pare, altra, ver, ira; della "t": cotanto d'umiltà.
Cavalcanti costruisce minuziosamente la musicalità del suo sonetto in linea con i precetti stilnovisti, ma, a differenza di altri poeti a lui contemporanei, inserisce anche suoni duri e aspri per evidenziare la violenza del sentimento amoroso.

Enjambements: vv. 3-4: "parlare / null'omo". La figura enfatizza il mutismo generato dal passaggio della donna.

Iperbato: vv. 5-6, vv. 3-4. v. 7: "che sembra quando li occhi gira, / dical Amor", "parlare / null'omo pote", "cotanto d'umiltà donna mi pare". Il poeta crea un'interrogativa retorica indiretta invertendo gli elementi sintattici della frase.

Anastrofi: v. 2: "di chiaritate l'are". L'inversione enfatizza il tremolio dell'aria al passaggio della donna.

Antitesi: vv. 7-8: "umilità ... ira". Si pone in evidenza la qualità dell'umiltà angelica della donna rispetto alla crudeltà di tutte le donne dall'aspetto comune e umano.

Apostrofi: v. 5: "o Deo". La seconda quartina è rivolta dal poeta direttamente a Dio.

Personificazione: vv. 3, 6, vv. 10-11: "Amor". Il sentimento amoroso è indicato come un personaggio vero e proprio che segue la donna, "le' s'inchin'ogni gentil vertute, / e la beltate per sua dea la mostra". Qualità astratte come virtù e bellezza compiono azioni umane come l'inchino e il mostrare con il dito la donna.

Chiasmi: vv. 3-4, vv. 10-11: "parlare / null'omo pote, ma ciascun sospira". L'inversione crea contrasto tra l'assenza di parola e il sospiro, "le' s'inchin'ogni gentil vertute, / e la beltate per sua dea la mostra". La figura crea il legame tra le qualità sovrumane che appartengono alla donna.

Anafore: vv. 2, 8, 10, 14, vv. 9, 12, 13: "che /ch' /ch' / che". Il ripetere dell'elemento pone una serie di qualità man mano aggiunte dal poeta al suo discorso, "non / non / e non". La negazione ripetuta accentua l'indicibilità dell'apparizione a cui il poeta assiste.

Domanda retorica: vv. 1-4: "Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira, / che fa tremar di chiaritate l'âre / e mena seco Amor, sì che parlare / null'omo pote, ma ciascun sospira?". La prima quartina evoca la scena della poesia attraverso una domanda che il poeta si pone meravigliato al cospetto della donna che passeggia per strada.

Sinestesia: v. 2: "tremar di chiaritate l'are". Il tremore e la luminosità descrivono la pienezza della presenza della donna come una figura sovrumana e solenne, tanto forte da essere quasi spaventosa.

Metafore: v. 2: "tremar di chiaritate l'are". Al passaggio sovrannaturale della donna l'aria si mette a tremare e si illumina.

Iperbole: v. 4, v. 8: "null'omo pote". L'effetto della visione femminile impone il silenzio a chiunque la osservi, "ch'ogn'altra ver' di lei i' la chiam'ira.". L'unicità dell'apparizione è tale che la donna si distacca in umiltà da qualunque altra sulla faccia della terra.

Similitudini: v. 6, v. 9, vv. 12-14: "I'l nol savria contare ()", "Non si poria contar", "Non fu sì alta già la mente nostra / e non si pose 'n noi tanta salute, / che propiamente n'aviàn canoscenza.". Il componimento si basa sull'ammissione di impotenza del linguaggio umano e poetico dinnanzi all'aspetto divino della donna-angelo.

Antonomasia: v. 8: "i' la chiam'ira". La crudeltà delle donne è indicata attraverso il nome che ne indica la peculiarità caratteriale.

Epifrasi: vv. 12-14: "Non fu sì alta già la mente nostra / e non si pose 'n noi tanta salute, / che propiamente n'aviàn canoscenza.". Il contenuto dell'ultima terzina ribadisce il senso di inadeguatezza del poeta e dell'essere umano in generale di fronte alle manifestazioni della natura divina.


Analisi e Commento


Storico-letterario

Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira è un sonetto di Guido Cavalcanti che fa parte delle Rime, composte dal poeta fiorentino nella seconda metà del XIII secolo. Le Rime divennero un vero e proprio libro solo nel 1813, quando fu raccolta in una sola opera l'intera produzione poetica dell'autore, di cui si contano 52 componimenti tra sonetti, ballate, canzoni, mottetti e frammenti.

Guido Cavalcanti è uno dei massimi esponenti della corrente letteraria del Dolce Stil Novo, definita in tal modo da Dante Alighieri, di cui fu maestro e amico ma anche avversario politico, in un celebre verso del Purgatorio (canto XXIV). Il tema fondamentale di questo tipo di poesia, che rivoluzionò i canoni della letteratura italiana, è la contemplazione in lode della donna amata, considerata pari a una creatura discesa dal cielo e di conseguenza un tramite per accedere al regno di Dio. La peculiarità dello Stilnovismo, il cui fondatore è indicato da Dante e Cavalcanti nel poeta bolognese Guido Guinizzelli, consiste nell'espressione di questi concetti complessi, di natura filosofica e teologica, uno stile "dolce", ossia elegante, armonioso, equilibrato e privo di asperità.

In questo sonetto emergono le caratteristiche concettuali proprie della poesia di Cavalcanti in relazione a quella degli altri stilnovisti. L'apparizione della donna-angelo produce non un effetto di estasi ma uno sconvolgimento doloroso dalla forza inarrestabile che rende impotente l'essere umano che la contempla. Cavalcanti vive perciò l'esperienza trascendente dell'apparizione come un amore crudele che lo costringe alla schiavitù verso la donna-amata. Questi elementi danno l'idea della personalità del poeta, discendente della fazione ghibellina e poi legato ai guelfi neri, spesso accusato di ateismo, empietà e eterodossia religiosa. La bellicosità dei principi ideologici di Cavalcanti fu ciò che lo condusse all'esilio dalla città di Firenze – firmato dall'amico Dante, all'epoca priore – e relegò il tempo dei suoi ultimi anni a Sarzana, da dove compose numerosi componimenti dedicati alla lontananza della città natale, fra cui la celebre Perch'i' no' spero di tornar giammai.

Tematico

La donna descritta in Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira è un'entità sovrannaturale di natura divina, le cui qualità di bellezza e virtù non possono essere eguagliate da quelle di ogni altra donna. Il sottotema che percorre tutto il componimento è la sensazione di inadeguatezza che il poeta attribuisce al proprio intelletto e in generale a quello di tutti gli uomini riguardo alla contemplazione e la descrizione delle cose celesti. L'apparizione della donna-angelo, a differenza di quella della Beatrice dantesca ad esempio, non è qualcosa che appaga il cuore, ma qualcosa che lo sconvolge e lo spaventa, capace di far "tremar di chiaritate l'are", come afferma la sinestesia al v. 3. Il sentimento amoroso provato non è di conseguenza "dolce", ma violento, doloroso e crudele, nonostante la natura umile e modesta della donna.

Sin dall'interrogativa retorica che occupa la prima quartina si pone l'accento sulla totale afasia (incapacità di linguaggio) dell'amante, costretto al mutismo dal passeggio della donna e condannato al sospiro e al tremore dinnanzi al suo cospetto. Per tutto il componimento si insiste, attraverso iperboli e reticenze ("parlare / null'omo pote", vv. 3-4; "dical'Amor, ch'io nol savria contare", v. 6; "non si poria contar la sua piagenza", v. 9) sulla negazione della parola – e nel contempo della qualità propria della poesia –: poiché essa è figlia dell'intelletto umano, non è capace di descrivere ciò è divino, come viene espresso poi esplicitamente nell'epifrasi dell'ultima terzina, in cui l'incapacità dell'ingegno umano viene ribadita attraverso l'anafora di "non" "non fu sì alta già la mente nostra / e non si pose ‘n noi tante salute", vv. 12-13).

L'amore che Cavalcanti ci racconta è, come per tutti gli altri stilnovisti, un'esperienza che eleva l'animo verso il divino, lo nobilita rendendolo "gentile" e lo indirizza verso la via della salvezza, ma è un sentimento costituito anche di una forma di impotenza, mutismo e pietrificazione straziante, perché mette di fronte l'uomo alla consapevolezza della pochezza del suo intelletto e alla sconfitta cui sono condannati tutti i tentativi da esso concepibili per la descrizione e la comprensione di ciò che sta al di sopra di lui. Si tratta appunto di una sorta di schiavitù, che richiama il concetto di servitium amoris di origine provenzale, per il quale l'amante è tenuto a prostrarsi servilmente dinnanzi alla grandezza quasi sovrannaturale della bellezza della donna amata.

Stilistico

Dal punto di vista della forma metrica, Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira è un sonetto con quartine a rime incrociate (ABBA) e terzine a rime rovesciate (CDE EDC). Le parole in rima sono: mira, sospira, gira, ira (vv. 1, 4, 5, 8); are, parlare, contare, pare (vv. 2, 3, 6, 7); piagenza, conoscenza (vv. 9, 14); vertute, salute (vv. 10, 13); mostra, nostra (vv. 11-12).

Come prescrivono i precetti dello stilnovismo, l'obiettivo estetico dichiarato di suoni e ritmo è la "dolcezza", ossia l'armoniosità melodica che esprima la grazia divina posseduta dalla donna-angelo. Di conseguenza, non sono presenti né rime rare o difficili né suoni aspri, ma Cavalcanti inserisce delle allitterazioni consonantiche (della nasale "m" o "n" nelle quartine: ven, om, mira, tremar, mena, amor, null'omo, ma, ciascun, sembra, quando, Amor, nol, cotanto, umiltà, dona, mi, chiam; della "r": mira, tremar, are, Amor, parlare, sospira, sembra, gira, Amor, savria, contare, pare, altra, ver, ira; della "t" (v. 7): cotanto d'umiltà) che enfatizzano il tremore e l'afasia, richiamando così il concetto di paura e mutismo suscitato dall'apparizione femminile.

A livello sintattico, il componimento consiste in una ripetizione di proposizioni consecutive, efficaci nell'espressione della tensione che colpisce il poeta di fronte all'esperienza amorosa dal carattere mistico. Le due interrogative retoriche che occupano le quartine (la seconda quartina è aperta da un'interrogativa retorica indiretta in iperbato (vv. 5-6)) accentuano il tema del dubbio e della negazione attraverso i quali i poeti evidenzia la sottomissione della natura umana dinnanzi a ciò che essa non può essere capace di comprendere.

L'atmosfera sovrannaturale è resa inoltre sul piano lessicale attraverso l'abbondanza di sostantivi astratti (il latinismo "chiaritate", "umiltà", "ira", il provenzalismo "piagenza", e poi "virtute", "beltate", "salute", "conoscenza") e metafore particolarmente forti ("fa tremar di chiaritate l'âre" (v.3)) nel rendere emozioni come la paura e lo sgomento.


Confronti


Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira pone le stesse dinamiche di Io voglio del ver la mia donna laudare di Guido Guinizzelli, il maestro degli stilnovisti, e di Tanto gentile e tanto onesta pare dell'amico e allievo Dante. I tre sonetti descrivono infatti il passaggio della donna-angelo per una strada cittadina dove gli uomini che la vedono sono sorpresi dalla sua apparizione. Si tratta in tutti e tre i casi di una visione sovrannaturale sottolineata dal verbo "pare", il cui significato è da interpretare con il significato "apparire", che la rende "cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare", come affermato da Dante.

Il rapporto tra i tre sonetti è di discendenza letteraria, poiché Cavalcanti si ispira al maestro Guinizzelli riprendendo ben quattro parole in rima (are, pare, vertute, salute), mentre è Dante a ispirarsi a Cavalcanti nell'inserire il tema del "sospiro" come unica risposta possibile al passaggio di Beatrice. In Cavalcanti mancano invece i paragoni con elementi della natura che caratterizzavano il sonetto di Guinizzelli: ci si sposta su un piano filosofico, totalmente astratto e metafisico: la donna diventa ora personificazione di due virtù astratte, la "beltate" e l'"umiltà". Dante, che contesta al maestro-amico l'ateismo, elimina invece totalmente l'atmosfera di angoscia e descrive una figura angelica fonte di estrema estasi e beatitudine.

Nonostante la discendenza letteraria e la comunanza di temi vediamo però che i tre stilnovisti hanno reazioni molto diverse di fronte all'apparizione femminile. La donna-angelo di Guinizzelli è una manifestazione del divino che assume tratti quasi carnali (non a caso Dante ne colloca l'autore tra i lussuriosi del Purgatorio nella Commedia), capace con la propria bellezza di dimostrare anche a chi non crede l'esistenza del Dio cristiano. Beatrice, la celeberrima donna amata da Dante, è invece una creatura celeste che conduce con la sua presenza alla trascendenza verso il divino e permette persino la visione di Dio, come accade nel Paradiso. Come abbiamo visto, la donna-angelo di Cavalcanti è invece un essere che suscita impotenza e terrore attraverso la sua estrema purezza e innocenza: non compie assolutamente nulla di crudele verso l'amante ed è anzi a tal punto umile e onesta che questi non è capace di proferire parola di fronte alla sua presenza. Da questo elemento apparentemente paradossale nasce il servitium amoris e la sottomissione dolorosa alla donna, che viene espressa poi esplicitamente dal poeta in altri suoi celebri componimenti. In Voi che per gl'occhi mi passaste il cuore, ad esempio, l'amore ci è descritto come tormento e ferita mortale:

11. un dardo mi gittò dentro dal fianco.
12. Sì giunse ritto 'l colpo al primo tratto,
13. che l'anima tremando si riscosse
14. veggendo morto 'l cor nel lato manco.

([l'Amore] mi scagliò un dardo contro il fianco. E il colpo giunse così preciso al bersaglio, che la mia anima tremò smaniando di terrore vedendo al suo fianco il cuore colpito a morte.)


Domande e Risposte


Di quale raccolta fa parte Chi è questa che vè, ch'ogn'om la mira?
La poesia fa parte delle Rime, in cui nel 1812 fu raccolta tutta la produzione di Cavalcanti, risalente al XIII secolo.

Qual è il tema principale del componimento?
Il tema principale del componimento è il sentimento di impotenza dell'uomo all'apparizione della donna amata.

Qual è la forma metrica della lirica?
Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira è un sonetto a rima incrociata (ABBA ABBA CDE EDC).

A quale corrente letteraria apparteneva Cavalcanti?
Cavalcanti è uno dei massimi esponenti del Dolce Stil Novo.

Da chi fu coniato il termine Dolce Stil Novo?
La definizione fu data da Dante nel Purgatorio (canto XXIV).

Di quale grande poeta fu maestro Guido Cavalcanti?
Guido Cavalcanti fu grande amico e maestro di Dante Alighieri.

Fonti: libri scolastici superiori

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