D'Holbach - La morale naturale e l'ateo virtuoso


Immagine D'Holbach
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel 1772, il barone d'Holbach pubblicò in forma anonima un'opera rivoluzionaria intitolata "Il buon senso o idee naturali opposte a idee sovrannaturali". Il libro invita apertamente all'utilizzo del buon senso, definito dall'autore come la capacità innata di discernere le verità basilari, di rifiutare le più evidenti assurdità e di riconoscere le contraddizioni più palese. L'intento primario del testo è sfidare le falsità propagate dalle religioni, promuovendo un approccio razionale che incoraggia gli individui a liberarsi dai pregiudizi e dalle credenze infondate, resistendo all'oppressione di sacerdoti e tiranni. Il libro si conclude con un'affermazione forte: la religione ha sempre oscurato la mente umana, mantenendola nell'ignoranza di sue reali relazioni, doveri e interessi. Solo allontanando queste ombre e visioni illusorie, l'umanità potrà scoprire le vere fonti di verità, ragione e morale, trovando motivazioni autentiche per perseguire la virtù. D'Holbach sostiene che per essere virtuosi non è necessario credere in Dio o in un'esistenza oltre la vita terrena. Inoltre, argomenta che per essere moralmente integri, gli atei non necessitano di una figura divina da temere, a differenza dei devoti; per loro è sufficiente il rapporto con se stessi, il desiderio di essere rispettati dagli altri e la paura di commettere atti che potrebbero causare rimorso. La "morale naturale", secondo d'Holbach, si basa sull'interesse personale di ogni individuo a promuovere la virtù come dovere sociale e sul diritto della società di punire coloro che violano le leggi che salvaguardano il benessere comune.


Lettura


Non si stancano di dirci che, senza un Dio, non può esserci «obbligo morale»; che gli uomini, compresi i re, hanno bisogno di un legislatore tanto potente da obbligarli. L'obbligo morale presuppone una legge; ma questa legge scaturisce dai rapporti eterni e necessari delle cose tra loro, rapporti che non hanno niente in comune con l'esistenza di un Dio.

Le regole di condotta degli uomini dipendono dalla loro natura, che essi sono in grado di conoscere, e non dalla natura divina, della quale non hanno la minima idea. Queste regole ci obbligano, nel senso che noi ci rendiamo stimabili o spregevoli, amabili o odiosi, degni di ricompensa o di castigo, felici o infelici, a seconda che ci conformiamo a tali regole o che ce ne allontaniamo.

La legge che obbliga l'uomo a non nuocere a se stesso è basata sulla natura di un essere sensibile che, in qualunque modo sia venuto in questo mondo, o qualunque possa essere la sua sorte in un mondo futuro, è costretto dalla sua essenza in atto a cercare il benessere e a fuggire il male, ad amare il piacere e a temere il dolore. La legge che obbliga l'uomo a non nuocere agli altri e a far loro il bene è basata sulla natura degli esseri sensibili viventi in società, i quali, per la loro essenza, sono costretti a disprezzare coloro da cui non ricevono alcun bene e a detestare coloro che si oppongono alla loro felicità.

Sia che un Dio esista, sia che non esista affatto, sia che codesto Dio abbia parlato, sia che non abbia per niente parlato, i doveri morali degli uomini saranno sempre gli stessi, finché essi avranno la natura che è loro propria, cioè finché saranno esseri sensibili. Che bisogno hanno dunque gli uomini di un Dio che non conoscono, di un legislatore invisibile, di una religione misteriosa, di terrori chimerici, per comprendere che ogni eccesso tende evidentemente a distruggerli, che per conservarsi bisogna astenersene, che per farsi amare dagli altri bisogna far loro del bene, che far loro del male è un mezzo sicuro per attirarsi la loro vendetta e il loro odio?

«Prima della Legge, nessun peccato». Non c'è nulla di più falso di questa massima. Basta che l'uomo sia quel che è, vale a dire un essere sensibile, perché sappia distinguere ciò che gli fa piacere da ciò che gli dispiace. Basta che un uomo sappia che un altro uomo è un essere sensibile come lui, perché non possa ignorare ciò che gli è utile o nocivo. Basta che l'uomo abbia bisogno di un suo simile, perché sappia che deve evitare di suscitare in lui dei sentimenti sfavorevoli. Così l'essere senziente e pensante non ha bisogno che di sentire e di pensare per capire che cosa deve fare sia per se stesso, sia per gli altri. Io sento, e un altro sente come me: ecco il fondamento di ogni morale.

Si afferma che il dogma di un'altra vita è della più grande importanza per la quiete sociale; ci s'immagina che, senza di esso, gli uomini non avrebbero quaggiù alcun motivo per agir bene. Ma che bisogno c'è di terrori e di fole per far sentire ad ogni uomo ragionevole come si deve comportare sulla terra?

Ciascuno di noi non vede forse che ha il maggior interesse a meritare l'approvazione, la stima, la benevolenza degli esseri che lo circondano, e di astenersi da tutto ciò che può attirargli il biasimo, il disprezzo e lo sdegno della società? Per quanto sia breve la durata di un banchetto, di una conversazione, di una visita, ciascuno non vuole rappresentarvi una parte dignitosa, gradevole a se stesso e agli altri? Se la vita non è che un passaggio, cerchiamo di renderlo agevole; non potrà essere agevole se ci disinteresseremo di quelli che compiono con noi lo stesso cammino.

La religione, tristemente immersa nelle sue cupe fantasticherie, ci raffigura l'uomo come un pellegrino errante sulla terra e nient'altro: essa ne trae la conseguenza che, per viaggiare più sicuramente, l'uomo deve isolarsi, rinunciare alle dolcezze che incontra, privarsi dei piaceri che potrebbero consolarlo delle fatiche e della noia del viaggio. Una filosofia stoica e cupa ci dà, talvolta, dei consigli non meno insensati di quelli della religione.

Ma una filosofia più ragionevole ci invita a spargere fiori sul cammino della vita, ad allontanarne la malinconia e il timor panico, a unirci in comunanza d'interessi coi nostri compagni di viaggio, a distrarci, con la serenità e con piaceri onesti, dalle afflizioni e dalle traversie a cui ci troviamo esposti così spesso; ci fa sentire che, per viaggiare con diletto, dobbiamo astenerci da ciò che potrebbe diventare nocivo a noi stessi e fuggire con grande impegno ciò che potrebbe renderci odiosi ai nostri compagni.

Ci chiedono quali ragioni può avere un ateo per agire bene. Può avere la ragione di piacere a se stesso, di piacere ai suoi simili, di vivere felice e tranquillo, di farsi amare e stimare dagli uomini, la cui esistenza e le cui propensioni sono molto più sicure e più note di quelle di un Essere inconoscibile. «Colui che non teme gli dèi, può temere alcuna altra cosa?». – Può temere gli uomini; può temere il disprezzo, il disonore, le punizioni e la condanna delle leggi; infine, può temere se stesso; può temere i rimorsi che provano tutti coloro che sono consapevoli di essere incorsi meritatamente nell'odio dei loro simili.

La coscienza è la testimonianza interiore, che noi diamo a noi stessi, di aver agito in modo da meritare la stima o il biasimo degli esseri coi quali viviamo. Tale coscienza è basata sulla conoscenza evidente che abbiamo degli uomini e dei sentimenti che le nostre azioni devono produrre in essi.

La coscienza del devoto consiste, invece, nel persuadersi che ha fatto cosa grata o non grata al suo Dio, del quale egli non ha alcuna idea, e i cui intendimenti oscuri o dubbi gli vengono spiegati soltanto da uomini sospetti, che ignorano al pari di lui l'essenza della Divinità, e che sono in grande disaccordo tra loro su ciò che può piacerle o spiacerle. In una parola, la coscienza del credente è diretta da uomini che hanno essi stessi una coscienza erronea, e nei quali l'interesse personale soffoca la lucidità dell'intelletto.

Un ateo può avere una coscienza morale? Quali sono i suoi motivi per astenersi dai vizi nascosti e dai misfatti segreti che gli altri uomini ignorano, e sui quali le leggi non hanno alcun potere? L'ateo può, in seguito ad un'esperienza costante, aver acquisito la certezza che non c'è vizio alcuno che, per la natura delle cose, non si punisca da sé.

Vuole conservarsi in salute? Eviterà tutti gli eccessi che potrebbero danneggiarla; non vorrà trascinare una vita languente che lo renderebbe di peso a se stesso e agli altri. Quanto ai misfatti segreti, se ne asterrà per timore di essere costretto ad arrossirne dinanzi ai suoi propri occhi, al cui sguardo non può sottrarsi. Se è dotato di ragione, conoscerà il pregio della stima che un uomo onesto deve avere per se stesso. Saprà, d'altronde, che circostanze impreviste potrebbero svelare agli altri una condotta che egli si sentirebbe desideroso di nascondere. L'altro mondo non fornisce alcun motivo di agir bene a chi non ne trova quaggiù.


Guida alla lettura


1) Quali vincoli ci legano in modo naturale agli altri uomini?
Il testo di d'Holbach sostiene che i vincoli che ci legano in modo naturale agli altri uomini sono fondamentalmente radicati nella nostra natura di esseri sensibili e sociali. Questi vincoli emergono da due aspetti principali:

Rapporti tra esseri sensibili: d'Holbach afferma che le leggi della morale e dell'obbligo morale scaturiscono dai "rapporti eterni e necessari delle cose tra loro", indipendentemente dall'esistenza di un Dio. Ciò significa che la nostra natura di esseri sensibili ci porta a riconoscere ciò che è dannoso o benefico per noi stessi e per gli altri. Siamo naturalmente inclinati a non nuocere agli altri e a far loro del bene, poiché ciò rafforza il nostro benessere collettivo e personale.
Consapevolezza reciproca e bisogno di stima: Come esseri sociali, abbiamo un innato bisogno di essere stimati e amati dagli altri. Questo ci spinge a comportarci in maniera che sia benefica non solo per noi stessi ma anche per coloro che ci circondano. Il testo sottolinea che anche senza la paura di un Dio o di punizioni ultraterrene, gli uomini possono comportarsi virtuosamente motivati dal desiderio di piacere a se stessi e agli altri, di vivere in armonia e di evitare i rimorsi che derivano dal sapere di aver agito male.

In sintesi, i vincoli naturali che ci legano agli altri uomini derivano dalla nostra intrinseca capacità di sentire e pensare, dalla nostra natura sensibile che ci porta a riconoscere e reagire ai sentimenti degli altri, e dal nostro bisogno di costruire e mantenere relazioni sociali positive basate sulla stima reciproca e sull'interdipendenza sociale.

2) Quali sono i moventi fondamentali dell'uomo?
Secondo il testo di d'Holbach, i moventi fondamentali dell'uomo non derivano dalla paura di un Dio o dall'adesione a dogmi religiosi, ma piuttosto dalla natura intrinseca e dalle esigenze sociali dell'essere umano. Ecco alcuni moventi fondamentali descritti nel testo:

Conservazione personale: L'uomo è spinto da un bisogno intrinseco di cercare il benessere e di fuggire il male, di amare il piacere e di temere il dolore.
Sociabilità: La convivenza sociale impone all'uomo di comportarsi in modi che gli permettano di essere amato, stimato e rispettato dagli altri. La sua condotta dovrebbe mirare a non nuocere agli altri e a procurare loro del bene.
Autostima e coscienza personale: Un uomo desidera essere stimato sia da sé stesso che dagli altri. Questo desiderio lo porta a comportarsi moralmente, anche in assenza di osservazione esterna o di ricompense ultraterrene.
Timore delle conseguenze sociali e personali: Anche in assenza di un credo religioso, un uomo può temere il disprezzo sociale, le sanzioni legali e i rimorsi personali che possono derivare da comportamenti considerati immorali o dannosi.

In sintesi, d'Holbach argomenta che i moventi fondamentali dell'uomo sono radicati nella sua natura sensibile e nelle sue interazioni sociali, piuttosto che in credenze sovrannaturali o dogmi religiosi.

3) Perché l'affermazione di Paolo di Tarso, «prima della Legge, nessun peccato», è falsa, secondo d'Holbach?
Secondo d'Holbach, l'affermazione di Paolo di Tarso "prima della Legge, nessun peccato" è falsa perché sostiene che gli esseri umani, in virtù della loro natura sensibile, possono distinguere ciò che è piacevole da ciò che è spiacevole senza bisogno di una legge divina o esterna. D'Holbach argomenta che basta che un uomo sia consapevole di essere un essere sensibile per sapere ciò che gli fa bene o male e che, similmente, conoscendo gli altri come esseri sensibili come lui, non può ignorare ciò che può essere utile o nocivo anche per loro.

Inoltre, la conoscenza che un individuo ha dei bisogni altrui e la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni nei confronti degli altri sono sufficienti per guidare il suo comportamento morale. D'Holbach sostiene che queste ragioni basate sulla natura e sull'interazione umana sono abbastanza forti per spiegare e giustificare i doveri morali, indipendentemente dall'esistenza di una legge divina che definisce il peccato. In questo modo, il senso di responsabilità e il comportamento etico esistono indipendentemente dalla legislazione di un Dio o dalla concezione religiosa di peccato.

4) Che cosa significa che ciascun uomo, se usa la ragione, è in grado di capire che è suo interesse agire bene nei confronti degli altri?
Nel testo di d'Holbach, l'affermazione che ciascun uomo, se usa la ragione, è in grado di capire che è suo interesse agire bene nei confronti degli altri, si fonda sull'idea che gli esseri umani, come esseri sensibili e razionali, possiedono una comprensione innata delle conseguenze delle loro azioni sia su se stessi che sugli altri. D'Holbach sostiene che non è necessario credere in un Dio o in una vita ultraterrena per riconoscere l'importanza del comportamento morale.

La morale, secondo d'Holbach, si basa sui rapporti eterni e necessari delle cose, indipendentemente dall'esistenza di un Dio. Questi rapporti derivano dalla natura umana stessa e dalla sua capacità di ragionamento. In altre parole, gli uomini, essendo esseri sensibili, naturalmente tendono a cercare il piacere e ad evitare il dolore. Da ciò segue che, per vivere in società, gli uomini devono agire in modi che promuovano il benessere altrui, poiché ciò contribuisce al proprio benessere individuale e collettivo.

Il ragionamento porta a comprendere che agire male nei confronti degli altri porta a conseguenze negative come vendetta, odio e disprezzo, che disturbano la propria vita e quella sociale. Al contrario, comportarsi bene genera approvazione, stima e benevolenza da parte degli altri, migliorando la qualità della vita individuale e sociale.

Dunque, l'interesse personale, illuminato dalla ragione e dalla conoscenza della natura umana, guida gli individui a comportamenti virtuosi, non perché temono un dio o punizioni ultraterrene, ma perché riconoscono il valore intrinseco e i benefici pratici del comportamento morale nella vita quotidiana.

5) Elenca le diverse ragioni che l'ateo ha per essere virtuoso, facendo riferimento a se stesso e agli altri.
Secondo il testo di d'Holbach, l'ateo ha diverse ragioni per comportarsi virtuosamente, sia in relazione a se stesso sia rispetto agli altri. Ecco le ragioni elencate:

Riguardo a se stesso:

Piacere personale: L'ateo può agire bene per trovare piacere in se stesso e vivere felice e tranquillo.
Stima di sé: Se è dotato di ragione, l'ateo conoscerà il valore della stima che un uomo onesto deve avere per se stesso, e ciò lo guiderà a comportarsi bene.
Salute: Per conservare la propria salute, eviterà eccessi che potrebbero danneggiarla, astenendosi da comportamenti che potrebbero rendere la sua vita più difficile e pesante sia per lui stesso sia per gli altri.
Rimorsi: L'ateo si asterrà dai misfatti segreti per il timore di essere costretto ad arrossire di vergogna dinanzi ai propri occhi, poiché non può sottrarsi al giudizio di sé stesso.

Riguardo agli altri:

Stima e approvazione sociale: L'ateo ha interesse a meritare l'approvazione, la stima e la benevolenza degli esseri che lo circondano. Ciò lo motiva a comportarsi bene per evitare il biasimo, il disprezzo e lo sdegno della società.
Relazioni sociali: Evita di suscitare sentimenti sfavorevoli negli altri, poiché ha bisogno degli altri e sa che deve astenersi da azioni che possano farlo apparire sfavorevole agli occhi altrui.
Possibilità di essere scoperto: Anche se commettesse azioni nascoste, l'ateo potrebbe temere che circostanze impreviste rivelino una condotta che vorrebbe mantenere segreta.
Queste motivazioni per la virtù non richiedono la credenza in un Dio o in una vita ultraterrena, ma si basano sulla natura umana, sulla ragione e sui rapporti sociali. L'ateo, quindi, può essere guidato da un insieme di norme morali intrinsecamente legate alla sua esistenza terrena e alle sue interazioni con gli altri.


Guida alla Comprensione


1) Facendo anche riferimento alla prima nota del testo, spiega in che senso l'obbligo morale scaturisce da calcoli necessari, che derivano a loro volta dalla natura dell'essere umano e dai suoi rapporti con gli altri.
D'Holbach nel suo testo "Il buon senso" illustra una visione dell'etica che si basa su principi naturali e razionali, indipendentemente dalla presenza o dall'assenza di un dio o di una legge divina. L'obbligo morale, secondo d'Holbach, emerge dai "rapporti eterni e necessari delle cose tra loro", che sono intrinseci alla natura stessa dell'essere umano e dei suoi rapporti sociali.

Innanzitutto, d'Holbach sostiene che le leggi morali non derivano dall'esistenza di un Dio o da una qualche autorità soprannaturale, ma piuttosto dalla natura intrinseca degli esseri umani come entità razionali e sensibili. Questi rapporti necessari tra gli individui scaturiscono dalle condizioni fondamentali dell'esistenza umana: ogni individuo, essendo dotato di sensibilità, è naturalmente portato a cercare il piacere e ad evitare il dolore. Questa disposizione basilare conduce all'elaborazione di regole di comportamento che promuovono il benessere personale e collettivo.

In secondo luogo, l'obbligo di non nuocere ad altri e di fare il bene deriva dalla natura sociale dell'essere umano. Gli individui vivono in comunità e, per la loro stessa natura, tendono a favorire coloro che li beneficiano e a disprezzare coloro che ostacolano la loro felicità. Questo principio di reciprocità è un calcolo necessario: per vivere armoniosamente in società e per promuovere la propria felicità, gli individui devono comportarsi in modi che siano accettati e apprezzati dagli altri.

Infine, la coscienza di ciascun individuo, che è la testimonianza interiore dell'agire in modo che meriti stima o biasimo, si basa su una conoscenza evidente di come le proprie azioni influenzino gli altri. Anche qui, i calcoli necessari derivano dalla natura degli esseri umani come entità sociali, che valutano le conseguenze delle proprie azioni sulla base del benessere o del malessere che queste portano.

In conclusione, d'Holbach articola una concezione dell'etica che è radicata nella razionalità e nella sensibilità umana, indipendentemente da qualsiasi riferimento a un ordine divino o soprannaturale. L'obbligo morale, pertanto, scaturisce da una valutazione razionale dei bisogni e dei desideri intrinseci dell'essere umano e dei suoi rapporti con gli altri.

2) In questo brano troviamo una dichiarazione di indipendenza della morale dal pensiero di Dio e delle punizioni nell'aldilà. Spiega perché d'Holbach considera non solo possibile, ma di maggior valore questo tipo di atteggiamento morale.
D'Holbach, nel suo testo "Il buon senso", sostiene fortemente l'idea che la morale sia indipendente dall'esistenza di un Dio o dalle credenze religiose riguardo una vita ultraterrena. Ecco alcuni punti chiave del suo ragionamento:

Origine naturale della legge morale: d'Holbach argomenta che l'obbligo morale non deriva dall'autorità di un Dio, ma dai rapporti "eterni e necessari delle cose tra loro", ossia da leggi naturali scaturite dalla natura umana stessa e dalle relazioni reciproche tra gli esseri umani. Per lui, le regole di condotta sono basate sull'essere sensibili che le persone sono, capaci di piacere e dolore, e sulla vita in società, dove gli individui interagiscono con altri esseri simili.
Autonomia e indipendenza morale: Il pensiero di d'Holbach enfatizza la capacità degli individui di determinare moralmente le proprie azioni attraverso la ragione e l'esperienza, senza la necessità di un legislatore divino o di terrori ultraterreni. Egli afferma che gli uomini possono discernere ciò che è bene o male basandosi sulla propria sensibilità e sui propri pensieri.
Fondamento della morale nella stima e nel rispetto reciproco: La morale, per d'Holbach, si fonda sulla reciproca necessità di stima e rispetto, piuttosto che sul timore di una punizione divina. Questo approccio rende la morale più autentica e radicata nell'essere umano, piuttosto che imporre comportamenti buoni solo per evitare punizioni.
Critica alla morale religiosa: d'Holbach critica la visione religiosa della morale come qualcosa guidato da un'autorità divina, la quale spesso è interpretata in modi contraddittori e dubbi da intermediari umani (sacerdoti o altri capi religiosi), i quali possono avere interessi personali che distorcono la vera essenza del bene e del male.
Valorizzazione della coscienza personale: L'ateismo non impedisce la moralità, ma, secondo d'Holbach, permette un'espressione più genuina di essa. L'ateo agisce bene non per paura di un dio, ma per una coscienza morale interna basata sul desiderio di autostima e sul rispetto degli altri, evitando azioni che porterebbero a rimorsi personali o alla condanna sociale.

In sintesi, d'Holbach considera la moralità scollegata dalla religione come più autentica e radicata nella natura umana e nelle sue interazioni sociali. Questa visione promuove un senso di responsabilità individuale e rispetto reciproco, valori che egli ritiene più solidi e duraturi di quelli imposti dalla paura di punizioni ultraterrene.

3) D'Holbach accomuna la religione e la filosofia stoica in una visione triste della vita. A che cosa ci spingono invece il buon senso e la ragionevolezza?
D'Holbach, nel testo fornito, critica sia la religione sia la filosofia stoica perché, secondo lui, entrambe presentano una visione della vita eccessivamente triste e limitante. Contrariamente, il buon senso e la ragionevolezza ci spingono a vivere la vita in modo più gioioso e soddisfacente. D'Holbach sostiene che una filosofia basata sul buon senso e la ragionevolezza ci invita a "spargere fiori sul cammino della vita," a diminuire la malinconia e il timore panico, a unirci in comunanza d'interessi con i nostri compagni di viaggio, e a godere di distrazioni serene e di piaceri onesti. In sostanza, il buon senso e la ragionevolezza promuovono un approccio alla vita che valorizza il benessere, l'armonia sociale e il piacere personale, piuttosto che il sacrificio, l'isolamento e la rinuncia ai piaceri, come invece suggeriscono la religione e la filosofia stoica.

4) Spiega in che modo si comportano l'ateo e il devoto, quando si confrontano con la propria coscienza.
Nel testo, il comportamento dell'ateo e del devoto nei confronti della propria coscienza è descritto in modi marcatamente diversi:

Comportamento del devoto: La coscienza del devoto è presentata come influenzata e indirizzata da concezioni esterne, basate sulle interpretazioni che altri fanno della volontà di un Dio, la cui essenza e le cui intenzioni rimangono oscure e dubbie. Il devoto si basa sul giudizio di figure religiose che, essendo umane, possono essere guidate da interessi personali e avere una comprensione erronea o parziale della divinità. Pertanto, la coscienza del devoto è descritta come meno autonoma e più dipendente dalle convinzioni e dagli insegnamenti impartiti da altri, che potrebbero non essere né chiari né corretti.
Comportamento dell'ateo: L'ateo, al contrario, viene descritto come una persona che si basa sulla propria esperienza e ragionamento personale per formare la propria coscienza. L'ateo ha una coscienza morale autodeterminata, radicata nella comprensione diretta e personale delle conseguenze delle proprie azioni, sia per sé stesso che per gli altri. Si astiene dai vizi e dai misfatti non per timore di un castigo divino, perché comprende razionalmente gli effetti negativi che tali comportamenti possono avere sulla propria vita e sul benessere altrui. L'ateo agisce bene per motivi intrinseci: il desiderio di mantenere l'autostima, il timore dei rimorsi e la possibilità che i propri misfatti possano essere rivelati.

In sintesi, la principale differenza tra il comportamento dell'ateo e quello del devoto risiede nel fondamento della loro coscienza: mentre il devoto si affida a interpretazioni esterne potenzialmente fallaci, l'ateo si basa su una valutazione personale e razionale delle proprie azioni e delle loro conseguenze immediate.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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