Parafrasi, Analisi e Commento di: "Vedeste, al mio parere, onne valore" di Guido Cavalcanti


Immagine Guido Cavalcanti
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento

Scheda dell'Opera


Autore: Guido Cavalcanti
Titolo dell'Opera: Rime
Data: ca. 1290-93
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Sonetto di endecasillabi disposti secondo lo schema rimico ABBA ABBA CDC DCD



Introduzione


"Vedeste, al mio parere, onne valore" è un sonetto composto da Guido Cavalcanti verso la fine del XIII secolo. Questo componimento è stato poi incluso nelle Rime del poeta toscano, ma la raccolta è stata pubblicata in un volume unico solo nel XIX secolo. Nell'analisi del testo che segue, oltre a sviluppare la parafrasi e a identificare le figure retoriche, vengono esaminati le tematiche, i significati, lo stile e la lingua di questa poesia. In questo sonetto, Cavalcanti risponde al componimento "A ciascun'alma presa e gentil core" del suo amico Dante Alighieri.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Vedeste, al mio parere, onne valore
2. e tutto gioco e quanto bene om sente,
3. se foste in prova del segnor valente
4. che segnoreggia il mondo de l'onore,

5. poi vive in parte dove noia more,
6. e tien ragion nel cassar de la mente;
7. sì va soave per sonno a la gente,
8. che 'l cor ne porta senza far dolore.

9. Di voi lo core ne portò, veggendo
10. che vostra donna alla morte cadea:
11. nodriala dello cor, di ciò temendo.

12. Quando v'apparve che se 'n gìa dolendo,
13. fu 'l dolce sonno ch'allor si compiea,
14. ché 'l su' contraro lo venìa vincendo.
1. Vi è stato concesso di vedere, a mio avviso, ogni cosa di valore
2. E ogni tipo di gioia e il maggior piacere che un uomo possa provare,
3. Se è apparso davanti ai vostri occhi Amore, ("segnor valente")
4. Che governa il mondo della gentilezza.

5. Poiché egli dimora solo dove la noia è assente,
6. E governa nella fortezza della mente ("nel cassar", una fortezza)
7. Così egli con dolcezza visita nel sonno coloro
8. A cui il cuore è portato via senza che provino dolore.

9. A voi portò via il cuore, vedendo
10. Che la vostra amata si avvicinava alla morte:
11. La nutrì col vostro cuore, temendo che accadesse.

12. E quando vi apparse poi in lacrime che se ne andava,
13. Fu perché il dolce sonno era quasi giunto al termine,
14. E la veglia ("il su'contrario") stava per sopraffarlo.



Parafrasi discorsiva


Vi è stato concesso di vedere, a mio avviso, ogni cosa di valore e ogni tipo di gioia e il maggior piacere che un uomo possa provare, se è apparso davanti ai vostri occhi Amore, ("segnor valente"), che governa il mondo della gentilezza.

Poiché egli dimora solo dove la noia è assente, e governa nella fortezza della mente ("nel cassar", una fortezza); così egli con dolcezza visita nel sonno coloro a cui il cuore è portato via senza che provino dolore.

A voi portò via il cuore, vedendo che la vostra amata si avvicinava alla morte: la nutrì col vostro cuore, temendo che accadesse.

E quando vi apparse poi in lacrime che se ne andava, fu perché il dolce sonno era quasi giunto al termine, e la veglia ("il su'contrario") stava per sopraffarlo.


Figure Retoriche


Apostrofi: v. 1: "vedeste".

Climax: vv. 1-2: "onne valore e tutto gioco e quanto om ben sente".

Perifrasi: vv. 3-4: "se foste in prova del segnor valente / che segnoreggia el mondo de l'onore".

Personificazione: vv. 3-4: "segnor valente / che segnoreggia il mondo de l'onore".

Chiasmi: v. 5: "vive in parte dove noia more".

Metafore: v. 6: "cassar de la mente".

Allitterazioni: vv. 3-4, vv. 13-14: della "r": "se foste in prova del segnor valente / che segnoreggia el mondo de l'onore", della "l" e della "v": "fu 'l dolce sonno ch'allor si compiea, / ché 'l su' contraro lo venìa vincendo."

Enjambements: v. 3.


Analisi e Commento


Vedeste, al mio parere, onne valore è un sonetto contenuto nelle Rime di Guido Cavalcanti, raccolta pubblicata in edizione completa solo nel corso del XIX secolo in cui è contenuta l'intera produzione poetica del grande stilnovista del Duecento e amico di Dante. Proprio all'amicizia tra Cavalcanti e Dante è legata la genesi di questo sonetto, concepito dal poeta in risposta al quesito posto dall'amico nel primo componimento della Vita nova, A ciascun alma presa e gentil core.

Stando a quanto dice Dante in un commento contenuto nella stessa opera, fu la risposta di Guido a far nascere l'amicizia tra i due. Oltre al contesto letterario, la testimonianza di Dante è importante per la datazione del sonetto di Cavalcanti che, se scritto intorno al periodo della morte di Beatrice o comunque all'epoca della composizione della Vita nova, come si accenna nel componimento, deve risalire agli anni tra il 1290 e il 1293.

In A ciascun alma presa e gentil core Dante poneva un quesito a quelli che egli riteneva i cuori gentili, i suoi colleghi poeti e stilnovisti, riguardo un sogno in cui vedeva il dio Amore che teneva tra le braccia Beatrice addormentata e la nutriva allattandola con il cuore del poeta. Sul finire del sogno, tuttavia, il dio scompariva lentamente piangendo. All'enigma di Dante, Cavalcanti risponde con un sonetto speculare (che ripete persino le stesse rime), in cui prova, da amico, a fornire un'interpretazione rassicurante al sogno.

In primo luogo, Cavalcanti afferma, deve essere motivo di fortissima gioia per Dante l'esser visitato da Amore in sogno. Secondo il poeta, infatti, il dio dimora solo nei cuori sostenuti dall'intelletto ed estranei alla noia. Conoscendo il sentimento puro che Dante portava a Beatrice, Amore era venuto a strappargli il cuore dal petto, sapendo che non gli avrebbe recato dolore, allo scopo di usarlo per nutrire l'amata, ormai prossima alla morte. Il pianto di Amore al momento della dipartita, prosegue Cavalcanti con fare bonario, era dovuto semplicemente alla consapevolezza di dover lasciare Dante perché le ore del sonno stavano per finire.

In Vedeste, al mio parere, onne valore troviamo un Cavalcanti che mette per un attimo da parte le proprie concezioni sull'amore per dar conforto all'amico, lo stesso con il quale avrà modo negli anni successivi di punzecchiarsi proprio a proposito delle opposte opinioni che i due nutrono sull'argomento. Cavalcanti, al contrario di Dante, vive l'amore come un sentimento sconvolgente e doloroso e non può di certo annoverarsi tra "la gente / che ‘l cor ne porta senza far dolore" (vv. 7-8, "coloro a cui è portato via il cuore senza che provino dolore"). In un momento di sconforto dell'amico preoccupato dalle immagini viste in sogno, il poeta accantona il proprio orgoglio e riconosce a Dante una maggiore serenità d'animo nel rapporto intimo con il sentimento amoroso.

Fonti: libri scolastici superiori

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