Parafrasi, Analisi e Commento di: "La vita solitaria" di Giacomo Leopardi


Immagine Giacomo Leopardi
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte

Scheda dell'Opera


Autore: Giacomo Leopardi
Titolo dell'Opera: Canti
Prima edizione dell'opera: La prima edizione è l'edizione Piatti uscita nel 1831, ma l'edizione definitiva e completa è quella del 1835
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Idillio in endecasillabi sciolti, senza utilizzo di uno schema rimico



Introduzione


"La vita solitaria" è una poesia composta da Giacomo Leopardi nel 1821, durante il periodo della sua permanenza a Recanati. Quest'opera fa parte dei "Grandi Idilli" e riflette in modo profondo il tema della solitudine, che per Leopardi non è solo una condizione esteriore ma soprattutto interiore.

La poesia rappresenta un momento di intensa introspezione in cui il poeta esprime il suo senso di distacco dal mondo e dagli altri, trovando conforto nella natura e nel silenzio che la vita solitaria offre. Tuttavia, questa solitudine non è priva di sofferenza: Leopardi esplora il dolore di un animo che, pur cercando rifugio nella propria interiorità, non riesce a sfuggire alla consapevolezza della propria fragilità e alla mancanza di speranza.

"La vita solitaria" è quindi una riflessione sull'esistenza, sul senso di isolamento e sulla ricerca di un significato che trascenda la condizione umana, elementi che caratterizzano profondamente il pensiero leopardiano.


Testo e Parafrasi puntuale


1. La mattutina pioggia, allor che l'ale
2. battendo esulta nella chiusa stanza
3. la gallinella, ed al balcon s'affaccia
4. l'abitator de' campi, e il Sol che nasce
5. i suoi tremuli rai fra le cadenti
6. stille saetta, alla capanna mia.
7. dolcemente picchiando, mi risveglia;
8. e sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
9. degli augelli susurro, e l'aura fresca,
10. e le ridenti piagge benedico:
11. poiché voi, cittadine infauste mura,
12. vidi e conobbi assai, là dove segue
13. odio al dolor compagno; e doloroso
14. io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
15. benché scarsa pietà pur mi dimostra
16. natura in questi lochi, un giorno oh quanto
17. verso me piú cortese! E tu pur volgi
18. dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
19. le sciagure e gli affanni, alla reina
20. felicità servi, o natura. In cielo,
21. in terra amico agl'infelici alcuno
22. e rifugio non resta altro che il ferro.

23. Talor m'assido in solitaria parte,
24. sovra un rialto, al margine d'un lago
25. di taciturne piante incoronato.
26. Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
27. la sua tranquilla imago il Sol dipinge,
28. ed erba o foglia non si crolla al vento,
29. e non onda incresparsi, e non cicala
30. strider, né batter penna augello in ramo,
31. né farfalla ronzar, né voce o moto
32. da presso né da lunge odi né vedi.
33. Tien quelle rive altissima quiete;
34. ond'io quasi me stesso e il mondo obblio
35. sedendo immoto; e già mi par che sciolte
36. giaccian le membra mie, né spirto o senso
37. piú le commova, e lor quiete antica
38. co' silenzi del loco si confonda.

39. Amore amore, assai lungi volasti
40. dal petto mio, che fu sí caldo un giorno,
41. anzi rovente. Con sua fredda mano
42. lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
43. nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
44. che mi scendesti in seno. Era quel dolce
45. e irrevocabil tempo, allor che s'apre
46. al guardo giovanil questa infelice
47. scena del mondo, e gli sorride in vista
48. di paradiso. Al garzoncello il core.
49. di vergine speranza e di desio
50. balza nel petto; e già s'accinge all'opra
51. di questa vita come a danza o gioco
52. il misero mortal. Ma non sì tosto,
53. amor, di te m'accorsi, e il viver mio
54. fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
55. non altro convenia che il pianger sempre.
56. Pur se talvolta per le piagge apriche,
57. su la tacita aurora o quando al sole
58. brillano i tetti e i poggi e le campagne,
59. scontro di vaga donzelletta il viso;
60. o qualor nella placida quiete
61. d'estiva notte, il vagabondo passo
62. di rincontro alle ville soffermando,
63. l'erma terra contemplo, e di fanciulla
64. che all'opre di sua man la notte aggiunge
65. odo sonar nelle romite stanze
66. l'arguto canto; a palpitar si move
67. questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
68. tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano
69. ogni moto soave al petto mio.

70. O cara Luna, al cui tranquillo raggio
71. danzan le lepri nelle selve; e duolsi
72. alla mattina il cacciator, che trova
73. l'orme intricate e false, e dai covili
74. error vario lo svia; salve, o benigna
75. delle notti reina. Infesto scende
76. il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
77. a deserti edifici, in su l'acciaro
78. del pallido ladron ch'a teso orecchio
79. il fragor delle rote e de' cavalli
80. da lungi osserva o il calpestio de' piedi
81. su la tacita via; poscia improvviso
82. col suon dell'armi e con la rauca voce
83. e col funereo ceffo il core agghiaccia
84. al passegger, cui semivivo e nudo
85. lascia in breve tra' sassi. Infesto occorre
86. per le contrade cittadine il bianco
87. tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
88. va radendo le mura e la secreta
89. ombra seguendo, e resta, e si spaura
90. delle ardenti lucerne e degli aperti
91. balconi. Infesto alle malvage menti,
92. a me sempre benigno il tuo cospetto
93. sarà per queste piagge, ove non altro
94. che lieti colli e spaziosi campi
95. m'apri alla vista. Ed ancor io soleva,
96. bench'innocente io fossi, il tuo vezzoso
97. raggio accusar negli abitati lochi,
98. quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando
99. scopriva umani aspetti al guardo mio.
100. Or sempre loderollo, o ch'io ti miri
101. veleggiar tra le nubi, o che serena
102. dominatrice dell'etereo campo,
103. questa flebil riguardi umana sede.
104. Me spesso rivedrai solingo e muto
105. errar pe' boschi e per le verdi rive,
106. o seder sovra l'erbe, assai contento
107. se core e lena a sospirar m'avanza.
1. La pioggia del mattino, quando la gallinella (v.2)
2. sbatte allegramente le ali esultando nella stanza chiusa del pollaio,
3. e si affaccia dal balcone il contadino ("l'abitator dei campi", v.4)
4. e il sole che sta sorgendo fa cadere ("saetta", v.7)
5. i suoi deboli raggi tra le gocce di pioggia ("cadenti / stille")
6-7. mi sveglia con il suo dolce e regolare picchiettio sul tetto della capanna in cui mi trovo.
8. e mi alzo e saluto con gioia ("benedico", v.10) le nuvole leggere e il primo
9. canto degli uccelli, e l'aria fresca
10. e le campagne ("piagge") rigogliose:
11. poiché io, disgraziate mura di città,
12. vi ho visto a lungo e vi conosco molto bene, in quell'ambiente urbano dove l'odio si accoda
13. al dolore come fosse suo amico; e sofferente
14. io vivo e presto, ahimé ("deh") morirò! Seppur
15. nemmeno la più misera pietà la natura (v. 16)
16. mi dimostra in questi luoghi, un tempo, oh, quanto era
17. più benevola nei miei confronti! E tu, natura (v.20) distogli
18. lo sguardo dai più deboli; e tu, snobbando
19. le disgrazie e i drammi personali, della regina
20. felicità sei serva. In cielo
21. e in terra nessuno è amico di chi è infelice
22. e a costoro non resta altro rimedio che il suicidio

23. Capita a volte che io mi sieda
24. su un'altura costeggiata da un lago
25. tutto circondato di piante silenziose.
26. Qui, quando il sole di mezzogiorno ("meriggio") si distende nel cielo
27. e disegna nell'aria il suo tranquillo profilo,
28. e nessun filo d'erba e nessuna foglia è mossa dal vento,
29. e non puoi sentire né vedere ("né odi...né vedi", v.32) nessuna onda far rumore increspandosi, nessuna cicala frinendo
30. nessun uccello sbattendo le ali sui rami,
31. nessuna farfalla ronzando, nessuna voce o movimento
32. vicino o in lontananza.
33. Una profondissima quiete domina quella riva;
34. tanto che io quasi dimentico me stesso e il mondo
35. stando seduto immobile, e mi pare che le parti del mio corpo ("membra", v. 36) già senza vita ("sciolte")
36. giacciano, che nessuna sensibilità o intelletto
37. le abiti più, e la loro quiete, antica come il mondo,
38. si fonda in un tutt'uno con il silenzio del luogo.

39. Amore amore, sei volato molto lontano
40. dal mio cuore, che un tempo è stato caldissimo,
41. anzi ardente come lava. Con la sua mano gelida
42. la sfortuna lo ha stritolato, e si è trasformato in ghiaccio
43. nell'età piena della vita. Mi ricordo dei giorni
44. in cui sei sceso ad abitare nel mio petto. Era quel dolce
45. e irripetibile periodo, quando si apre il sipario
46-47. del triste spettacolo del mondo allo sguardo giovanile e sorride
48. il futuro sembrando un paradiso. Il cuore del ragazzo
49. spinto da innocente speranza e desiderio
50. batte forte in petto; e subito si esalta alla fatica
51. di questa vita come fosse una danza o un gioco
52. il povero essere umano. Ma non mi accorsi (v.53) di te così presto,
53. amore, e la mia vita
54. era già stata distrutta dalla sfortuna, e per questi occhi
55. non c'era altro conforto che il pianger sempre.
56. Anche se a volte sui campi assolati
57. dall'alba silenziosa o quando al sole
58. risplendono i tetti e le colline e le campagne,
59. incrocio lo sguardo di qualche ragazza,
60. oppure se nel calmo silenzio
61-62. delle notti d'estate, fermando il mio passeggio vagabondo davanti alle case,
63. contemplo le strade desolate ("l'erma terra"), e di una ragazza,
64. che continua di notte il lavoro di cucito del giorno,
65-66. sento risuonare il canto acuto nelle stanze isolate, ricomincia a battere
67. questo mio cuore duro come la pietra: ahi, ma immediatamente torna
68. ad un sonno di piombo ("ferreo sopor"); poiché è un fatto strano
69. ogni movimento dolce per il mio cuore.

70. O cara Luna, sotto il tuo raggio tranquillo
71. corrono leggere le lepri nei boschi; e si dispera
72. il cacciatore al mattino, poiché egli trova
73. le loro orme indistinguibili nella direzione ("intricate") e inesatte, e dalle loro tane ("covili")
74. un girovagare ("error") indeterminato lo allontana; salve, o benigna
75. regina delle notti. Il tuo raggio (v. 76) scende dannoso ("infesto")
76. tra gli alberi e le valli o dentro
77. i palazzi deserti, sulla lama
78. del ladro sbiancato dalla paura che con le orecchie tese
79. ascolta ("osserva", v. 80, con le orecchie appunto) il rumore delle ruote delle carrozze e degli zoccoli dei cavalli
80. o il calpestio dei passanti da lontano
81. sul selciato della strada silenziosa, poi all'improvviso
82. con in il tintinnio dell'arma sfoderata e la voce roca
83. e con il ciuffo minaccioso come la morte fa rabbrividire il petto
84. del povero passante, che lascia spoglio e ansimante
85. sul terreno in un attimo. Risulta dannosa
86. nei quartieri di città la bianca
87-89. luce del tuo raggio all'amante adultero ("drudo vil"), che avanza raso al muro degli edifici e segue la sua ombra nascosta, e si ferma, e si congela di paura
90. alla vista delle lampade accese e dei balconi (v.91) con le finestre aperte.
91. È dannoso il tuo raggio alle menti maligne,
92. per me sarà sempre pacifico il tuo aspetto
93. sopra questi luoghi, dove nient'altro che
94. colline sorridenti e campi aperti
95. illumini e fai comparire davanti ai miei occhi. E ancora io avevo l'abitudine
96-97. benché fossi puro e innocente, accusare il tuo bel ("vezzoso") raggio
98-99. quando mi scopriva allo sguardo degli altri, e quando scopriva a me i profili degli altri esseri umani.
100. Ora al contrario lo loderò sempre, che io ti veda
101. far vela come una nave tra le nubi, o che, indisturbata
102. signora del mondo d'aria disteso del cielo ("etereo"),
103. sarai lì ad osservare questo misero pianeta abitato dagli esseri umani ("flebil umana sede").
104. Vedrai me spesso solitario e silenzioso
105. vagare tra i boschi e le rive verdeggianti dei laghi
106-107. o sedere sui prati, felicissimo di aver ancor un po' di forza e coraggio ("core o lena") per continuare a sopravvivere.



Parafrasi discorsiva


La pioggia del mattino, quando la gallinella (v.2) sbatte allegramente le ali esultando nella stanza chiusa del pollaio, e si affaccia dal balcone il contadino ("l'abitator dei campi", v.4) e il sole che sta sorgendo fa cadere ("saetta", v.7)i suoi deboli raggi tra le gocce di pioggia ("cadenti / stille", vv. 5-6) mi sveglia con il suo dolce e regolare picchiettio sul tetto della capanna in cui mi trovo. E mi alzo e saluto con gioia ("benedico", v.10) le nuvole leggere e il primo canto degli uccelli, e l'aria fresca e le campagne ("piagge", v.10) rigogliose: poiché io, disgraziate mura di città, vi ho visto a lungo e vi conosco molto bene, in quell'ambiente urbano dove l'odio si accoda al dolore come fosse suo amico; e sofferente io vivo e presto, ahimé ("deh", v.14) morirò! Seppur nemmeno la più misera pietà la natura (v. 16) mi dimostra in questi luoghi, un tempo, oh, quanto era più benevola nei miei confronti! E tu, natura (v.20) distogli lo sguardo dai più deboli; e tu, snobbando le disgrazie e i drammi personali, della regina felicità sei serva. In cielo e in terra nessuno è amico di chi è infelice e a costoro non resta altro rimedio che il suicidio.

Capita a volte che io mi sieda su un'altura costeggiata da un lago tutto circondato di piante silenziose. Qui, quando il sole di mezzogiorno ("meriggio", v. 26) si distende nel cielo e disegna nell'aria il suo tranquillo profilo, e nessun filo d'erba e nessuna foglia è mossa dal vento, e non puoi sentire né vedere ("né odi... né vedi", v.32) nessuna onda far rumore increspandosi, nessuna cicala frinendo, nessun uccello sbattendo le ali sui rami, nessuna farfalla ronzando, nessuna voce o movimento vicino o in lontananza. Una profondissima quiete domina quella riva; tanto che io quasi dimentico me stesso e il mondo stando seduto immobile, e mi pare che le parti del mio corpo ("membra", v. 36) già senza vita ("sciolte") giacciano, che nessuna sensibilità o intelletto le abiti più, e la loro quiete, antica come il mondo, si fondano in un tutt'uno con il silenzio del luogo.

Amore amore, sei volato molto lontano dal mio cuore, che un tempo è stato caldissimo, anzi ardente come lava. Con la sua mano gelida la sfortuna lo ha stritolato, e si è trasformato in ghiaccio nell'età piena della vita. Mi ricordo dei giorni in cui sei sceso ad abitare nel mio petto. Era quel dolce e irripetibile periodo, quando si apre il sipario del triste spettacolo del mondo allo sguardo giovanile e sorride il futuro sembrando un paradiso. Il cuore del ragazzo, spinto da innocente speranza e desiderio, batte forte in petto; e subito si esalta alla fatica di questa vita come fosse una danza o un gioco il povero essere umano. Ma non mi accorsi (v.53) di te così presto, amore, e la mia vita era già stata distrutta dalla sfortuna, e per questi occhi non c'era altro conforto che il pianger sempre. Anche se a volte sui campi assolati dall'alba silenziosa o quando al sole risplendono i tetti e le colline e le campagne, incrocio lo sguardo di qualche ragazza, oppure se nel calmo silenzio delle notti d'estate, fermando il mio passeggio vagabondo davanti alle case, contemplo le strade desolate ("l'erma terra", v.63), e di una ragazza, che continua di notte il lavoro di cucito del giorno, sento risuonare il canto tenue nelle sue stanze isolate, ricomincia a battere questo mio cuore duro come la pietra: ahi, ma immediatamente torna ad un sonno di piombo ("ferreo sopor"); poiché è un fatto strano ogni movimento dolce per il mio cuore.

O cara Luna, sotto il tuo raggio tranquillo corrono leggere le lepri nei boschi; e si dispera il cacciatore al mattino, poiché egli trova le loro orme indistinguibili nella direzione ("intricate", v.73) e inesatte, e dalle loro tane ("covili", v. 73) un girovagare ("error", v.74) indeterminato lo allontana; salve, o benigna regina delle notti. Il tuo raggio (v. 76) scende dannoso ("infesto") tra gli alberi e le valli o dentro i palazzi deserti, sulla lama del ladro sbiancato dalla paura che con le orecchie tese ascolta ("osserva", v. 80, con le orecchie appunto) il rumore delle ruote delle carrozze e degli zoccoli dei cavalli o il calpestio dei passanti da lontano sul selciato della strada silenziosa, poi all'improvviso con in il tintinnio dell'arma sfoderata e la voce roca e con il ciuffo minaccioso come la morte fa rabbrividire il petto del povero passante, che lascia spoglio e ansimante sul terreno in un attimo. Risulta dannosa nei quartieri di città la bianca luce del tuo raggio all'amante adultero ("drudo vil", v.88), che avanza raso al muro degli edifici e segue la sua ombra nascosta, e si ferma, e si congela di paura alla vista delle lampade accese e dei balconi (v.91) con le finestre aperte.

È dannoso il tuo raggio alle menti maligne, per me sarà sempre pacifico il tuo aspetto sopra questi luoghi, dove nient'altro che colline sorridenti e campi aperti illumini e fai comparire davanti ai miei occhi. E ancora io avevo l'abitudine, benché fossi puro e innocente, di accusare il tuo bel ("vezzoso", v.97) raggio quando mi scopriva allo sguardo degli altri, e quando scopriva a me i profili degli altri esseri umani. Ora al contrario lo loderò sempre, che io ti veda far vela come una nave tra le nubi, o che, indisturbata signora del mondo d'aria disteso del cielo ("etereo", v.102), sarai lì ad osservare questo misero pianeta abitato dagli esseri umani ("flebil umana sede", v.103).

Mi vedrai spesso solitario e silenzioso vagare tra i boschi e le rive verdeggianti dei laghi o sedere sui prati, felicissimo di aver ancor un po' di forza e coraggio ("core e lena", v. 107) per continuare a sopravvivere.


Figure Retoriche


Apostrofi: v. 25, vv. 78-81: "taciturne piante incoronato". Si conferisce l'azione di tacere, umana, all'elemento vegetale, "ch'a teso orecchio / il fragor delle rote e de' cavalli / da lungi osserva o il calpestio de' piedi / su la tacita via". Collegamento che indica l'azione di "vedere con le orecchie", ossia appunto "ascoltare".

Polisindeti: vv. 29-32, vv. 53-55, vv. 87-91: "e non cicala / strider, né batter penna augello in ramo, / né farfalla ronzar, né voce o moto / da presso né da lunge odi né vedi". Accumulo di elementi in rallentamento che descrivono il silenzio surreale del luogo, "e il viver mio / fortuna avea già rotto, / ed a questi occhi / non altro convenia che il pianger sempre". Ripetizione che da enfasi alla disperazione giovanile descritta, "drudo vil, che degli alberghi / va radendo le mura e la secreta / ombra seguendo, e resta, e si spaura / delle ardenti lucerne e degli aperti / balconi". L'insistenza sulla congiunzione "e" indica l'avanzare guardingo e spaurito, fatto di andate e stop improvvisi, dell'amante sorpreso.

Anacoluti: vv. 29-32: "e non onda incresparsi, e non cicala / strider, né batter penna augello in ramo, / né farfalla ronzar".
Troviamo una serie di infiniti che reggono complementi e creano contrasto con il silenzio

Anastrofi: v. 1, v. 2, v. 3, v. 9, v. 25: "mattutina pioggia", "chiusa stanza", "al balcon s'affaccia", "degli augelli susurro", "taciturne piante incoronato".
Si tratta di esempi di inversioni frequentissime in tutta la poesia che rallentano il ritmo e lo rendono calmo e pacato nelle immagini "vaghe e indefinite" tipiche di Leopardi.

Iperbato: vv. 1-7, vv. 29-32: "La mattutina pioggia, allor che l'ale / battendo esulta nella chiusa stanza / la gallinella, ed al balcon s'affaccia / l'abitator de' campi, e il Sol che nasce / i suoi tremuli rai fra le cadenti / stille saetta, alla capanna mia / dolcemente picchiando, mi risveglia", "e non cicala / strider, né batter penna augello in ramo, / né farfalla ronzar, né voce o moto / da presso né da lunge odi né vedi".
Nei vv. 1-7 l'intero periodo introduttivo è un iperbato ricco di incisi che creano un'atmosfera di quiete. Nei vv. 29-32 tutto l'accumulo descrittivo è retto dai due verbi finali in indicativo: rallentamento che descrive la profondissima quiete del luogo.

Chiasmi: vv. 12-13: "segue / odio al dolor compagno".
In questo chiasmo si accoppiano odio e dolore con due parole che indicano l'amicizia o il legame stretto.

Ironia: vv. 16-17, vv. 20-22, vv. 66-69, vv. 106-107: "oh quanto verso di me più cortese". Utilizzo sarcastico dell'affermazione in chiave autoironica contro la natura, "In cielo, in terra amico agl'infelici alcuno e rifugio non resta altro che il ferro.", "a palpitar si move / questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna / tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano / ogni moto soave al petto mio.", "assai contento / se core e lena a sospirar m'avanza". Tutte le strofe presentano una chiusura ironica che capovolge l'atmosfera idilliaca iniziale e da quindi struttura tematica e stilistica regolare.

Ellissi: v. 17: "E tu, pur volgi". Troviamo un'omissione del soggetto dell'apostrofe (la natura) che compare solo al v.20.

Anafore: v. 17, v. 18, vv. 75-85-91: "E tu pur volgi", "E tu, sdegnando", "Infesto".
Nei v. 17 e v. 18 troviamo una ripetizione enfatica dell'apostrofe alla natura, nei vv. 75-85-91 troviamo una ripetizione che sottolinea la natura dannosa della luce lunare per coloro dal cuore corrotto.

Apostrofi: v. 17, v. 18, v. 20, v. 39, v. 53, v. 70: "E tu", "E tu ...", "natura". Il poeta chiama in causa direttamente colei che ritiene responsabile dei suoi mali, "Amore amore" e "amor", "Cara Luna". Leopardi si rivolge direttamente all'amore, ossia l'illusione delusa di cui parlerà in questa strofa.

Climax: v. 20-21, vv. 56-61: "in cielo / in terra". Discesa graduale dalle atmosfere celesti a quelle terrena per dare enfasi al concetto finale, per le piagge apriche, "su la tacita aurora o quando al sole / brillano i tetti e i poggi e le campagne, / scontro di vaga donzelletta il viso;/ o qualor nella placida quiete / d'estiva notte". Elenco graduale di passaggio dei momenti della giornata dall'alba alla notte.

Metonimia: v. 22, v. 40, v. 77, vv. 90-91: "ferro". Il ferro indica il materiale di cui è fatta una spada e cioè in chiave metaforica il suicidio, "petto". Per indicare il cuore e l'amore, figura ripetuta moltissime volte nella poesia, "acciaro". Materiale di cui è composto il coltello del ladro, "aperti / balconi". Balconi riferito propriamente alle "finestre" aperte che vi danno accesso.

Sineddoche: v. 29: "penna". Parte maggiore delle ali dell'uccello che produce rumore sbattendo.

Metafore: vv. 45-47, v. 68, vv. 100-101: "allor che s'apre / al guardo giovanil questa infelice / scena del mondo,". La vita umana viene paragonata a uno spettacolo teatrale visto da occhi le cui palpebre sono il sipario che si apre, "ferreo sopor". Si utilizza il sonno profondo del cuore per indicare l'indifferenza dei sentimenti del poeta rispetto al mondo, "ch'io ti miri / veleggiar tra le nubi,". La luna è descritta come una nave che fa rotta tra le onde del cielo, sarebbe a dire le nuvole.

Endiadi: v. 73, v. 104: "intricate e false", "solingo e muto". Figura squisitamente leopardiana che attraverso la coppia da enfasi ai concetti chiave legati alla sua visione del mondo.

Parallelismi: vv. 98-99: "quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando / scopriva umani aspetti al guardo mio.". Opposizione di prospettive che indica lo sguardo reciproco tra Leopardi e gli uomini.


Analisi e Commento


Storico-letterario

La vita solitaria è il componimento che nei Canti, la raccolta in cui è inserita quasi l'intera produzione poetica leopardiana, chiude la sezione detta dei piccoli idilli. La definizione è dovuta allo stesso autore che li definì idilli, genere proveniente dalla tradizione greca che indica piccoli componimenti dal contenuto paesaggistico e naturale, nei quali egli descriveva "sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo". Queste poesie (Alla luna, L'infinito, La sera del dì di festa e Il sogno) furono composte tra il 1819 e il 1821 e furono pubblicate per la prima volta sul "Nuovo ricoglitore" nel 1825. Compaiono poi regolarmente nelle edizioni dei Canti del 1831, del 1835 e del 1845.

La forma metrica adottata da Leopardi in questa fase giovanile della sua produzione è quella dell'endecasillabo sciolto, ossia senza l'utilizzo della rima, ed è ciò che differenzia questo gruppo di poesie dai grandi idilli o Canti pisano-recanatesi del 1828-31 in cui il poeta farà di nuovo propri i temi di gioventù rivisitandoli secondo l'evoluzione che il suo pensiero aveva preso nel tempo e scegliendo definitivamente la forma della canzone libera. La vita solitaria è la lirica che chiude i piccoli idilli ed essendo uno dei più lunghi ne riprende in mano i temi e li racchiude in un unico componimento, come dimostrano i riferimenti a temi già trattati nei precedenti. Anche riguardo la data di composizione la poesia si colloca alla fine del ciclo: fu composta da Leopardi nel 1821 tra agosto e settembre, probabilmente durante un soggiorno presso la residenza di campagna con la sua famiglia a San Leopardo, luogo che dovrebbe aver ispirato l'apertura del componimento, stando alle diverse allusioni alla "vita solitaria" che si trovano sulle pagine dello Zibaldone, il diario di pensieri e riflessioni del poeta, relative a questo periodo.

Tematico

I temi principali della poesia, come si evince ovviamente dal titolo, sono i piaceri e le sofferenze che il poeta prova nell'isolamento dal mondo, nel quale egli può nutrire quelle illusioni consolatorie fatte di immagini "vaghe e indefinite" a lui care ma che nel contempo sono contrapposte all'aridità del vero e alla sua condizione di congenita solitudine. Il componimento è suddiviso in quattro lunghe strofe irregolari che in una struttura circolare aprono e chiudono il ragionamento del poeta con l'opposizione tra l'ambiente rurale e quello urbano.

La prima strofa (vv.1-23) è aperta da un quadro bucolico in cui il poeta descrive il proprio risveglio e l'ambiente in cui si trova. Egli ascolta il picchiettìo della pioggia sul tetto della capanna in cui sta dormendo e sente il pigolare delle galline immaginando un contadino affacciarsi dal balcone della propria casa. Il risveglio in tale ambiente appunto idilliaco provoca in lui un sentimento di felicità subito smorzato dal ricordo delle mura cittadine in cui è solito vivere e soffrire (ricordiamo che Leopardi sin da giovanissimo soffriva di dolori reumatici e scoliosi). Attraverso un'apostrofe ironica "un giorno oh quanto / verso me piú cortese!" (vv.16-17), egli si rivolge alla natura, responsabile maligna dell'infelicità di deboli e sfortunati dei quali egli si considera parte. La chiusura della strofa è appunto autoironica e consiglia a chi si trova in condizioni di solitudine e infelicità simile il rimedio del suicidio. Questo tema è in realtà un riferimento al pensiero di Ugo Foscolo, per il quale il suicidio era l'unica soluzione alle disillusioni personali, sentimentali e patriottiche: è questo appunto il finale del celebre romanzo Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Nella seconda strofa (vv.23-38) Leopardi in realtà supera le idee di Foscolo proponendo la propria soluzione agli inganni della vita: egli descrive il proprio piacere nel restare seduto su un colle costeggiato da un lago, in cui l'isolamento e il silenzio sono talmente profondi da sembrare irreali e nei quali ha luogo un annullamento di sé molto simile alla catarsi finale del "naufragar m'è dolce in questo mare" che chiude il viaggio nell'immaginazione dell'Infinito, il primo dei piccoli idilli. Il regno dell'immaginazione è quindi la prima illusione consolatoria che Leopardi pone in contrapposizione alla ricerca della morte. L'apostrofe "Amor amor" (v.39) che apre la terza strofa introduce la seconda illusione (vv.39-69). Il poeta aveva trattato il tema dell'amore già ne La sera del dì di festa descrivendolo appunto come speranza sempre destinata ad essere delusa, almeno nel suo caso. Egli ricorda appunto quei momenti di gioventù in cui l'amore era sceso fortissimamente nel suo petto, richiamando appunto "la piaga aperta in mezzo al petto" de La sera del dì di festa, e di come la sciagura gli abbia negato il poter essere ricambiato. Egli evoca poi il momento presente in cui talvolta incrociando fanciulle durante le passeggiate in campagna o ascoltando il canto di una ragazza durante la notte (immagini che poi ricompaiono nei più tardivi canti pisano-recanatesi, in particolare Il sabato del villaggio e A Silvia) egli sente riattivarsi quei sentimenti, di nuovo immediatamente smorzati dalla chiusura ironica della strofa "ahi, ma ritorna / tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano / ogni moto soave al petto mio." (vv.67-69) descrivendo ormai se stesso come insensibile ai moti del cuore sempre destinati ad essere disillusi.

Un'altra apostrofe, questa volta alla luna, apre la parte finale del componimento con l'ultima illusione della vita solitaria che Leopardi vuole descrivere. Il dialogo con il corpo celeste, già presente appunto nel piccolo idillio Alla luna associato alla memoria con funzione consolatoria, tratta del tema della fortuna. Il raggio della luna, simbolo della natura, è infatti positivo per alcuni e negativo per altri. Come la lepre sfrutta la luce lunare per correre spensierata tra i boschi, il cacciatore al mattino non sarà più in grado, per lo stesso motivo, di seguirne le tracce. Leopardi ritorna sullo stesso ragionamento nei due quadri negativi di vita urbana che si oppongono al quadro idilliaco in cui si trova. Il raggio lunare scende sul coltello di un delinquente che si nasconde dalla luce per tendere un agguato a un innocente passante e poi sull'ombra di un amante che alla stessa maniera cerca di oscurare la propria presenza tra le vie della città per non essere scoperto. A questi due personaggi, "malvage menti" secondo Leopardi, il poeta contrappone la propria innocenza e venerazione per l'astro, pentendosi di averlo rimproverato delle proprie sfortune. La chiusura della strofa e del componimento è però di nuovo ironica rispetto a quanto è stato appena esposto: "assai contento / se core e lena a sospirar m'avanza." vuole esprimere il disinganno di Leopardi, la cui unica gioia resta quella di continuare a sopravvivere, deluso anche dall'ultima illusione dell'immagine di una luna benigna.

Stilistico

La vita solitaria è un idillio in endecasillabi sciolti diviso in quattro strofe di lunghezza irregolare. Le costanti strutturali del componimento possono essere rintracciate a livello di contenuto nell'utilizzo delle figure retoriche che aprono e chiudono le differenti strofe e nel ritorno di alcuni temi che conferiscono al testo una circolarità precisa. L'inizio della prima e la chiusura dell'ultima strofa introducono la contrapposizione tra la vita rurale e la vita urbana che Leopardi associa rispettivamente alla dolcezza delle illusioni e l'aridità del vero. La contrapposizione tra questi due elementi è presente anche all'interno delle singole strofe, sempre aperte dall'evocazione di immagini idilliache (prima e seconda) o apostrofi (a amore e luna) che richiamano il mondo di ideali e immaginazione destinato a essere frustrato dalle chiose ironiche ed autoironiche che chiudono le strofe riportando il poeta alla tristezza della realtà.

Il ritmo della poesia è estremamente lento, costantemente interrotto da enjambement (se ne contano 64 su 107 versi) e inversioni sintattiche come l'iperbato e l'anastrofe o l'utilizzo frequente di endiadi e polisindeti. La sensazione che Leopardi vuole trasmettere è appunto quella del silenzio, della quiete e dell'attardarsi nel piacere delle illusioni, che però sono spezzate da accelerazioni repentine e ironiche, spesso introdotte da interiezioni come "deh", "ahi" ecc. Il carattere "vago e indefinito" delle immagini leopardiane, tipiche di tutta la sua produzione, è riscontrabile ad esempio nell'utilizzo per contrasto dell'allitterazione della consonante "r" nel quadro "ed erba o foglia non si crolla al vento, / e non onda incresparsi, e non cicala / strider, né batter penna augello in ramo, / né farfalla ronzar, né voce o moto / da presso né da lunge odi né vedi." (vv. 28-32). Qui il poeta sta descrivendo un silenzio assolutamente astratto e surreale, il cui carattere illusorio è sottolineato dal ripetersi della –r- che riproduce i rumori (il ronzare degli insetti ad esempio) di cui un ambiente naturale come quello in cui egli si trova sarebbe ovviamente popolato. Con questa figura egli evidenzia quindi implicitamente che quel silenzio in cui sprofonda è un prodotto dell'immaginazione e non della realtà.


Confronti


La vita solitaria, chiudendo i piccoli idilli, riprende in mano i temi delle poesie che nei Canti la precedono direttamente, ma anticipa in alcuni luoghi e riferimenti le problematiche della produzione futura di Leopardi. Il "rialto" (v.24), il colle sul lago dove il poeta si lascia sprofondare nel silenzio surreale del lago, richiama il "colle" dal quale il poeta osserva la luna in Alla luna e poi soprattutto il celebre "ermo colle" del primo verso dell'Infinito. Il lago della Vita solitaria inoltre è tenuto da "altissima quiete" (v.33), prodotta dall'immaginazione dell'autore proprio come i "sovrumani / silenzi e profondissima quiete" dei vv.5-6 dell'Infinito, nei quali Leopardi immagina di essere immerso. Il richiamo al fondere il proprio essere ("le membra", v.36) con il silenzio ricorda allo stesso modo la conclusione dell'Infinito con l'essere inghiottito dal mare dell'immaginazione. Anche il tema dell'amore era già stato trattato dal poeta ne La sera del dì di festa, in cui la donna amata ha aperto una "piaga in mezzo al petto" di Leopardi. In La vita solitaria, scritta qualche anno dopo, l'autore ricorda di come il suo petto "fu sì caldo un giorno, / anzi rovente" (vv.40-41) e poi la sciagura (la propria malattia e malinconia) lo abbiano ghiacciato. Con la sciagura Leopardi potrebbe alludere anche alla morte della protagonista di A Silvia:

7. Sonavan le quiete
8. Stanze, e le vie dintorno,
9. Al tuo perpetuo canto,
10. Allor che all'opre femminili intenta
11. Sedevi, assai contenta
12. Di quel vago avvenir che in mente avevi.

(A Silvia, vv. 7-12: risuonavano le stanze silenziose, e le strade circostanti, / al tuo canto continuo, / quando dedita all'attività femminile della tessitura, / sedevi, felicissima / di quel futuro indeterminato di cui fantasticavi.)

L'immagine è la stessa che Leopardi rievoca nei vv. 66-69 della Vita solitaria, in cui passeggiando di notte ascolta il canto di una fanciulla che lavora (e presumibilmente cuce). A Silvia fa parte appunto dei grandi idilli del 1828-30 e la ragazza a cui Leopardi si riferisce è Teresa Fattorini, figlia del cocchiere della propria famiglia, stroncata da tubercolosi nel pieno della giovinezza. La sciagura a cui Leopardi si riferisce è quindi quella della propria condizione ma anche quella della morte che colpisce la ragazza. Altro collegamento con la produzione più tardiva è la "donzelletta" del v.59, che l'autore talvolta incontra passeggiando tra i campi. Essa non può che far pensare alla celeberrima "donzelletta che vien dalla campagna" del primo verso del Sabato del villaggio, un altro dei grandi idilli che Leopardi compone a circa dieci anni di distanza dalla Vita solitaria.

Anche l'apostrofe alla luna dell'ultima strofa non è una novità per Leopardi. Egli l'aveva utilizzata appunto in Alla luna ("o graziosa Luna", v.1; "mia diletta Luna", v.10) e in quel componimento considerava il corpo celeste come simbolo di una natura benigna o comunque crudele solo con se stesso. Anche il dialogo con la luna ritorna nei grandi idilli con Canto notturno di un pastore errante dall'Asia, in cui il pastore protagonista si interroga appunto sulla natura individuale o universale della disperazione. La luna a cui egli si rivolge resta indifferente al suo lamento e la lirica si chiude con la conclusione che l'infelicità sia nel destino di tutti gli esseri umani. La vita solitaria, ultimo dei piccoli idilli e appena precedente al periodo in cui con le Operette morali Leopardi arriva alla concezione di una natura matrigna e malvagia, si colloca a metà tra la posizione giovanile e quella matura del poeta. Nei vv. 100-103 "Or sempre loderollo, o ch'io ti miri / veleggiar tra le nubi, o che serena / dominatrice dell'etereo campo, / questa flebil riguardi umana sede" egli dice appunto di considerare positivo per sé il raggio lunare ma aggiunge subito dopo l'immagine della luna che osserva silenziosa gli uomini, che ricorda l'indifferenza della luna e della natura alle miserie umane di cui egli parla nel Canto notturno.

Infine, La vita solitaria contiene com'è stato evidenziato una discussione delle idee di Ugo Foscolo. Nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, il protagonista del romanzo sceglie il suicidio quando tutte le sue illusioni amorose, personali e patriottiche sono fallite. Leopardi invece, dopo aver prospettato questa soluzione a conclusione della prima strofa (v.24), elenca una serie di illusioni capaci di scaldare il cuore umano che, pur essendo sempre destinate ad essere deluse, consentono all'individuo una consolazione. Sempre nell'ambito della letteratura contemporanea a La vita solitaria è interessante notare la somiglianza della descrizione del brigante ai vv. 82-84 ("col suon dell'armi e con la rauca voce / e col funereo ceffo il core agghiaccia / al passegger") con quella dei bravi che fermano lo spaurito Don Abbondio nell'incipit del Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni, pubblicato nello stesso anno della Vita solitaria, che verrà poi trasformato dallo scrittore lombardo nei Promessi sposi.


Domande e Risposte


A quale sezione dei Canti appartiene La vita solitaria?
La vita solitaria appartiene ai piccoli idilli, scritti a Recanati tra il 1819 e il 1821.

Quale funzione ha la poesia nella raccolta?
La poesia chiude i piccoli idilli, ne riassume il contenuto e apre ai temi delle sezioni successive.

Qual è il tema principale del componimento?
Il tema principale sono le illusioni piacevoli e la tristezza della solitudine.

Qual è la forma metrica della poesia?
La vita solitaria è un lungo idillio in endecasillabi sciolti, senza utilizzo di uno schema rimico.

Dov'è la capanna a cui si fa riferimento nell'incipit della poesia?
La capanna si trova probabilmente a San Leopardo, nella residenza in campagna della famiglia dell'autore.

In quale altra poesia troviamo una "donzelletta"?
"La donzelletta vien dalla campagna" è il primo famosissimo verso de Il sabato del villaggio.

Fonti: libri scolastici superiori

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