Parafrasi, Analisi e Commento di: "Il passero solitario" di Giacomo Leopardi


Immagine Giacomo Leopardi
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte

Scheda dell'Opera


Autore: Giacomo Leopardi
Titolo dell'Opera: Canti
Prima edizione dell'opera: La prima edizione è l'edizione Piatti uscita nel 1831, ma l'edizione definitiva e completa è quella del 1835
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Strofe libere di endecasillabi e settenari, con rime libere ("giorno-dintorno"; "core-migliore-fiore-amore"; "giri-miri"; "spassi-trapassi"; "somiglia-famiglia"; "lontano-strano"; "primavera-sera"; "squilla-villa"; "gioco-loco"; "aprica-dica"; "vaghezza-vecchiezza"; "stesso-spesso")



Introduzione


"Il passero solitario" è una delle poesie più celebri di Giacomo Leopardi, scritta nel 1829 e pubblicata per la prima volta nei "Canti" nel 1835. Questa lirica riflette profondamente i temi cari al poeta, come la solitudine, la malinconia e il contrasto tra la giovinezza e la vecchiaia. Leopardi prende spunto dall'immagine di un passero che, solitario, osserva il mondo dall'alto di una torre, simbolo della condizione esistenziale del poeta stesso: distaccato dalla società e immerso in una riflessione continua sulla vita e sulle sue delusioni. La poesia è un dialogo tra il poeta e l'uccello, in cui l'immagine del passero diventa metafora della scelta di vita di Leopardi, segnando un distacco dal mondo e dalla sua frenesia, ma anche un profondo senso di esclusione e isolamento. Il linguaggio utilizzato è semplice e musicale, arricchito da figure retoriche che esaltano la bellezza malinconica del paesaggio e dei sentimenti espressi.


Testo e Parafrasi puntuale


1. D'in su la vetta della torre antica,
2. Passero solitario, alla campagna
3. Cantando vai finché non more il giorno;
4. Ed erra l'armonia per questa valle.
5. Primavera dintorno
6. Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
7. Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
8. Odi greggi belar, muggire armenti;
9. Gli altri augelli contenti, a gara insieme
10. Per lo libero ciel fan mille giri,
11. Pur festeggiando il lor tempo migliore:
12. Tu pensoso in disparte il tutto miri;
13. Non compagni, non voli,
14. Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
15. Canti, e così trapassi
16. Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

17. Oimè, quanto somiglia
18. Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
19. Della novella età dolce famiglia,
20. E te german di giovinezza, amore,
21. Sospiro acerbo de' provetti giorni,
22. Non curo, io non so come; anzi da loro
23. Quasi fuggo lontano;
24. Quasi romito, e strano
25. Al mio loco natio,
26. Passo del viver mio la primavera.
27. Questo giorno ch'omai cede alla sera,
28. Festeggiar si costuma al nostro borgo.
29. Odi per lo sereno un suon di squilla,
30. Odi spesso un tonar di ferree canne,
31. Che rimbomba lontan di villa in villa.
32. Tutta vestita a festa
33. La gioventù del loco
34. Lascia le case, e per le vie si spande;
35. E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
36. Io solitario in questa
37. Rimota parte alla campagna uscendo,
38. Ogni diletto e gioco
39. Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
40. Steso nell'aria aprica
41. Mi fere il Sol che tra lontani monti,
42. Dopo il giorno sereno,
43. Cadendo si dilegua, e par che dica
44. Che la beata gioventù vien meno.

45. Tu, solingo augellin, venuto a sera
46. Del viver che daranno a te le stelle,
47. Certo del tuo costume
48. Non ti dorrai; che di natura è frutto
49. Ogni vostra vaghezza.
50. A me, se di vecchiezza
51. La detestata soglia
52. Evitar non impetro,
53. Quando muti questi occhi all'altrui core,
54. E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
55. Del dì presente più noioso e tetro,
56. Che parrà di tal voglia?
57. Che di quest'anni miei? che di me stesso?
58. Ahi pentirommi, e spesso,
59. Ma sconsolato, volgerommi indietro.
1. Dall'alto della cima di un'antica torre,
2-3. passerotto solitario, continui a cantare rivolto verso la campagna finché non termina la giornata;
4. e si diffonde il suono del tuo canto ("erra l'armonia") attraverso questa vallata.
5-6. I colori della primavera intorno risplendono nell'aria e nei campi rigogliosi,
7. a tal punto che ad ammirarli il cuore si commuove.
8. Senti greggi di pecore belare, mandrie di buoi ("armenti") muggire;
9-10. gli altri uccelli felici, come stessero gareggiando, volteggiano ("fan mille giri") tutti insieme nel cielo sgombro dalle nuvole ("libero"),
11. festeggiando anch'essi ("pur") il periodo migliore della loro vita:
12. tu, invece, osservi pensieroso e in disparte questa scena;
13. non li accompagni, non voli con loro,
14. Non ti importa di essere allegro, eviti i divertimenti;
15. canti e in questo modo attraversi e concludi ("trapassi")
16. l'epoca migliore dell'anno e della tua vita.

17. Ahimè, quanto è simile
18-22. il tuo modo di vivere il mio! Non mi interessano affatto, non so come né perché ("non curo, io non so come", v.22), il divertimento e il piacere, dolci compagni ("dolce famiglia", v.19) della giovane età, né mi preoccupo di te, amore, fratello ("germano") della giovinezza, sentimento non ancora del tutto sbocciato ("sospiro acerbo") dei giorni della prima età ("provetti giorni");
23. anzi quasi scappo lontano da loro;
24. quasi solitario ed estraneo ("romito e strano")
25. al luogo in cui io sono nato,
26. passo la giovinezza ("la primavera"), l'epoca più bella della mia vita.

27-28. Si è soliti festeggiare al nostro paese questo giorno che ormai lascia il posto alla sera.
29. Senti attraverso il cielo sereno un suono di campana,
30. Senti un ripetersi colpi di fucile ("ferree canne") a salve come fossero tuoni,
31. che rimbomba lontano di paese in paese.
32-33. La gioventù del luogo, tutta vestita a festa,
34. lascia le case e si sparge per le strade a passeggio;
35. e guarda gli altri e si lascia guardare, e si rallegra nel cuore.
36-37. Io solitario, esco diretto verso questa parte della campagna lontana e deserta ("remota),
38-39. E continuo a rinviare ("indugio") ad un altro momento ogni piacere e ogni gioco: e intanto il mio sguardo

40. che si estende verso l'orizzonte nell'aria soleggiata ("aprica")
41-44. è abbagliato ("mi fere") dal sole, che sparisce tramontando lentamente dietro i lontani monti e sembra volermi dire che la giovinezza felice se ne sta andando.

45. Tu, uccellino solitario, quando sarai giunto alla fine ("a sera")
46. della vita che il destino ti darà,
47-49. certamente non rimpiangerai il modo (" tuo costume") in cui tu hai vissuto; perché è frutto di una disposizione naturale ogni tuo desiderio ("vostra vaghezza", di voi uccelli).
50-52. A me, invece, se non riuscirò ("non impetro", v. 52) a evitare l'odioso momento in cui giungerà ("detestata soglia", v. 51) la vecchiaia,
53. quando questi occhi resteranno insensibili ("muti") ai sentimenti altrui
54-55. e per loro il mondo sarà vuoto, e il giorno futuro sembrerà più noioso e cupo di quello presente,
56. Che cosa sembrerà di questo capriccio ("voglia")?
57. Cosa penserò di questi miei anni? Come giudicherò di me stesso?
58. Ahimè, me ne pentirò amaramente e spesso
59. mi volgerò indietro a ricordare, ma senza possibilità di consolazione.



Parafrasi discorsiva


Dall'alto della cima di un'antica torre, passerotto solitario, continui a cantare rivolto verso la campagna finchè non termina la giornata; e si diffonde il suono del tuo canto ("erra l'armonia", v.4) attraverso questa vallata. I colori della primavera intorno risplendono nell'aria e nei campi rigogliosi, a tal punto che ad ammirarli il cuore si commuove. Senti greggi di pecore belare, mandrie di buoi ("armenti", v.8) muggire; gli altri uccelli felici, come stessero gareggiando, volteggiano ("fan mille giri", v.10) tutti insieme nel cielo sgombro dalle nuvole ("libero", v.10), festeggiando anch'essi ("pur", v.11) il periodo migliore della loro vita: tu, invece, osservi pensieroso e in disparte questa scena; non li accompagni, non voli con loro, non ti importa di essere allegro, eviti i divertimenti; canti e in questo modo attraversi e concludi ("trapassi", v.15) l'epoca migliore dell'anno e della tua vita.

Ahimè, quanto è simile al tuo modo di vivere il mio! Non mi interessano affatto, non so come né perché ("non curo, io non so come", v.22), il divertimento e il piacere, dolci compagni ("dolce famiglia", v.19) della giovane età, né mi preoccupo di te, amore, fratello ("germano", v.20) della giovinezza, sentimento non ancora del tutto sbocciato dei giorni della prima età (" sospiro acerbo dei provetti giorni", v.21); anzi quasi scappo lontano da loro; quasi solitario ed estraneo ("romito e strano", v.23) al luogo in cui io sono nato, passo la giovinezza ("la primavera", v.26), l'epoca più bella della mia vita.

Si è soliti festeggiare al nostro paese questo giorno che ormai lascia il posto alla sera. Senti attraverso il cielo sereno un suono di campana, senti un ripetersi colpi di fucile ("ferree canne") a salve come fossero tuoni, che rimbomba lontano di paese in paese. La gioventù del luogo, tutta vestita a festa, lascia le case e si sparge per le strade a passeggio; e guarda gli altri e si lascia guardare, e si rallegra nel cuore. Io solitario, esco diretto verso questa parte della campagna lontana e deserta ("remota, v.37), e continuo a rinviare ("indugio", 39) ad un altro momento ogni piacere e ogni gioco: e intanto il mio sguardo che si estende verso l'orizzonte nell'aria soleggiata ("aprica", v.40) è abbagliato ("mi fere", v.41) dal sole, che sparisce tramontando lentamente dietro i lontani monti e sembra volermi dire che la giovinezza felice se ne sta andando.

Tu, uccellino solitario, quando sarai giunto alla fine ("a sera", v.45) della vita che il destino ti darà, certamente non rimpiangerai il modo (" tuo costume", v.47) in cui tu hai vissuto; perché è frutto di una disposizione naturale ogni tuo desiderio ("vostra vaghezza", v.49 di voi uccelli). A me, invece, se non riuscirò ("non impetro", v. 52) a evitare l'odioso momento in cui giungerà ("detestata soglia", v. 51) la vecchiaia, quando questi occhi resteranno insensibili ("muti", v.53) ai sentimenti altrui e per loro il mondo sarà vuoto, e il giorno futuro sembrerà più noioso e cupo di quello presente, Che cosa sembrerà di questo capriccio ("voglia", v.56)? Cosa penserò di questi miei anni? Come giudicherò di me stesso? Ahimè, me ne pentirò amaramente e spesso tornerò a volgermi indietro a ricordare, ma senza possibilità di consolazione.


Figure Retoriche


Allitterazioni: vv. 2-3, v. 45, vv. 9-10, v. 31, v. 45, v. 8, v. 24, v. 35, v. 30, v. 8, v. 20, vv. 12-15, v. 29, vv. 49-50, vv. 58-59: della "c": "campagna / cantando", "certo, costume". Della "l": "della / alla / valle, li, esulta", "augelli / lo libero ciel, mille", "lontan di villa in villa", "solingo augellin". Della "r": "belar, muggire, armenti", "romito e strano", "mira, mirata, cor", "tonar, ferree". Della "g": "greggi, muggire", "german di giovinezza". Della "s": "pensoso in disparte / schivi gli spassi / e così trapassi", "sereno, suon, squilla". Della "v": "vostra vaghezza / vecchiezza". Della "m": "pentirommi / ma volgerommi". Della "a" ricorrente in tutta la poesia: "campagna / cantando vai... erra l'armonia questa valle....mira ed è mirata e in cor s'allegra....rimota parte alla campagna...aria aprica...parrà di tal voglia".
Nella poesia leopardiana le allitterazioni e in generale tutti gli effetti di suono hanno la funzione di creare un ritmo musicale che sostituisce l'utilizzo di uno schema di rime precisamente definito.

Anafore: vv. 56-57, vv. 23-24, vv. 29-30: "che parria di tal voglia?" / "che di questi anni miei?" "che di me stesso?", "quasi fuggo lontano / quasi romito e strano", "odi per lo sereno.../ odi spesso un tonar".
La ripetizione dell'incipit nelle interrogative retoriche e nelle descrizioni dei suoni enfatizzano il pathos delle esclamazioni del poeta.

Onomatopea: v. 31: "rimbomba".
Il termine riproduce il ripetersi del rumore del suono dei colpi di fucile sparati in aria per segnalare l'arrivo della festa.

Chiasmi: v. 6, v. 8: "brilla nell'aria e per li campi esulta", "odi greggi belar, muggire armenti".
Nel chiasmo del v. 6 si segnala l'effetto della luminosità della primavera nel cielo e dei colori da essa prodotti sulla distesa dei campi; nel chiasmo del v. 8 si sottolineano i rumori prodotti rispettivamente da pecore e buoi in relazione alla loro specie.

Metafore: v. 3, vv. 45-46, v. 16, v. 26, vv. 50-51, vv. 19-20: "more il giorno", "a sera / del viver". Il poeta paragona il passaggio dalla giovinezza alla vecchiaia con quello tra il giorno e la notte, "di tua vita il più bel fiore". Parallelismo classico tra il fiorire e la gioventù "del viver mio la primavera". Associazione della primavera alla prima età della vita "di vecchiezza / la detestata soglia". La soglia è il passaggio tra gioventù e maturità, metafora utilizzata anche in A Silvia ("il limitare di gioventù") "Sollazzo e riso, / Della novella età dolce famiglia, / E te german di giovinezza, amore". La metafora indica sollazzo (divertimento) e riso come genitori della giovinezza e l'amore come suo fratello per indicare la vicinanza di questi sentimenti alla tenera età come se fossero parenti.

Metonimia: v. 33: "la gioventù del loco". Con il sostantivo si intendono tutti i giovani che abitano nel paese.

Apostrofi: v. 2, v. 45, v. 20: "passero solitario", "solingo augellin". Il poeta parla rivolgendosi direttamente all'uccellino al quale si paragona, "e te, german di giovinezza, amore". Cambio di destinatario e parola rivolta all'amore.

Enjambements: vv. 1-2, vv. 5-6, vv. 9-10, vv. 15-16, vv. 17-18, vv. 36-37, vv. 38-39, vv. 39-40, vv. 48-49, vv. 50-51, vv. 51-52: "alla campagna / cantando vai". Si sottolinea il quadro rurale descritto "primavera dintorno / brilla nell'aria". Enfatizzata la luminosità della giornata primaverile, "a gara insieme / per lo libero ciel fan mille giri". Viene sottolineato il gioco collettivo degli uccelli in rapporto alla solitudine del passero "trapassi / dell'anno e di tua vita il più bel fiore", "trapassi" è un verbo che indica letteralmente lo scorrere del tempo, ma è metaforicamente utilizzato per indicare la morte, "somiglia / al tuo costume il mio". Ritmo della poesia spezzato per evidenziare la metafora che regge tutto il componimento, ossia il paragone posto da Leopardi tra il passero e se stesso; "in questa / rimota parte". Evidenziata la natura deserta e solitaria dei luoghi che il poeta sceglie per passeggiare, "ogni diletto e gioco / indugio". Si ritarda il procedere della poesia come il poeta rimanda ad altri momenti il gioco e il piacere, "il guardo / steso". Altro effetto di ritardo a sottolineare lo sguardo del poeta che si estende verso l'orizzonte, "di natura è frutto / ogni vostra vaghezza". Ci si sofferma sul concetto che vede lo stesso passero spensierato perché incapace di riflettere su ciò che fa, al contrario del poeta, "di vecchiezza / la detestata soglia". Enfatizzata la questione dell'invecchiamento, il cui giungere è tema della riflessione leopardiana, "soglia / evitar non impetro". Ancora il ritmo viene ritardato per evidenziare il desiderio del poeta di ritardare il temuto momento in cui la vecchiaia giungerà.

Poliptoti: v. 35: "E mira ed è mirata".
Verbo declinato alla forma attiva e passiva, crea l'immagine dei giovani che si guardano l'un l'altro passeggiando.

Asindeti: vv. 13-15: "il tutto miri; / Non compagni, non voli, non ti cal d'allegria, schivi gli spassi; / canti, e così trapassi".
Enumerazione veloce delle azioni solitarie che il passero compie per tutta la durata della sua vita.

Sineddoche: v. 30: "ferree canne".
Si indica la parte principale (la canna del fucile) di cui è composto l'oggetto evocato.

Similitudini: vv. 17-18: "Oimè, quanto somiglia / Al tuo costume il mio!".
Si tratta della figura retorica che regge il senso del componimento, il cui Leopardi stabilisce il termine di paragone tra il passero e se stesso.


Analisi e Commento


Storico-letterario

Il passero solitario compare nell'edizione dei Canti, la raccolta poetica maggiore di Leopardi, del 1835. Esiste sulla questione della creazione del componimento un ampio dibattito: la poesia fu infatti collocata da Leopardi appena prima dell'Infinito, il primo dei piccoli idilli, un gruppo di poesie giovanili redatte tra il 1819 e il 1821. Tuttavia, quando i piccoli idilli furono pubblicati per la prima volta nel 1826, Il passero solitario non faceva parte della raccolta. Nonostante vi sia una nota di Leopardi in cui è menzionata l'idea di comporre una poesia avente come tema centrale un passero risalente al 1919, è molto probabile che la poesia sia stata infine composta tra il 1929 e il 1931, nell'epoca in cui Leopardi si dedicava alla stesura dei canti pisano-recanatesi o grandi idilli.

La forma metrica della poesia, la canzone libera, è infatti quella che Leopardi adottò in quest'ultima stagione della sua produzione, mentre quella dei piccoli idilli è l'endecasillabo sciolto. La ragione per cui il poeta decide di collocarla prima dei piccoli idilli è quindi legata al contenuto del componimento, più affine per le idee espresse alle tematiche delle poesie giovanili: il contrasto tra il reale e ciò che si desidera. In quella stagione il poeta aveva maturato la convinzione che la condizione di infelicità data da tale contrasto fosse propria solo a se stesso, mentre nei grandi idilli egli la associa all'intero genero umano.

Tematico

Il passero solitario è un componimento interamente giocato sulla similitudine ai vv. 17-18 "Oimè, quanto somiglia / al tuo costume il mio!", in cui il poeta prende ad esempio l'attitudine dell'uccellino nei confronti della vita e degli altri uccelli per descrivere il proprio: come il passero, cantando solitario dalla cima della torre, si lascia scorrere davanti la primavera, cosi Leopardi lontano dai suoi coetanei, solitario e straniero alle sensazioni tipiche della sua età, la giovinezza, lascia che il tempo passi.

La struttura della poesia è simmetrica: essa può infatti essere suddivisa in tre strofe di cui la prima descrive il paesaggio animato dal suono del canto del passero, la seconda racconta di come anche Leopardi preferisca passeggiare in luoghi remoti piuttosto che prendere parti ai festeggiamenti del paese natale e la terza in cui vengono poste a paragone le condizioni opposte dell'uccellino e del poeta una volta che entrambi saranno giunti alla vecchiaia.

Il componimento si apre con l'evocazione di una delle immagini "vaghe e indefinite" care a Leopardi, cioè l'alta "torre antica" dalla quale il passero osserva il paesaggio riempiendolo con il proprio canto. Il poeta utilizza una serie di apostrofi ("passero solitario", v.2) e la seconda persona singolare per parlare direttamente al passero e descrivere come l'uccellino non mostri interesse verso la gioia degli altri animali ("greggi e armenti", v.8) e degli altri uccelli, che vagano melodiosi e spensierati insieme per il cielo e il panorama illuminati dallo splendente sole primaverile.

La seconda strofa del Passero solitario (vv. 17-44) è molto lunga e può essere suddivisa in due sezioni. Nella prima (vv.17-26) Leopardi paragona esplicitamente il proprio modo di vivere solitario a quello del passero, dicendogli che anche lui prova lo stesso sentimento di solitudine e disinteresse verso i piaceri, i divertimenti e gli amori della giovinezza, che è quindi associata alla primavera. Nella seconda (vv.27-44) il poeta racconta di quando nel proprio paese natale, Recanati, si usa festeggiare nella sera precedente alla festa (scena che ricompare poi nel Sabato del villaggio) e di come i giovani, suoi coetanei, si facciano belli ed escano per le vie del paese a passeggiare e divertirsi. Leopardi però dice di preferire in quel momento del giorno, il tramonto, fare solitarie camminate nei campi deserti, poiché appunto chi li lavora è rientrato in paese a far festa, e contemplare malinconicamente l'orizzonte illuminato dal sole calante.

L'ultima strofa (vv.45-59), secondo quella che è la struttura tipica della canzone libera leopardiana, pone una riflessione di natura filosofica su quanto è stato detto nelle precedenti strofe. Leopardi rompe il paragone tra sé e il passero sostenendo che quando entrambi saranno giunti alla "sera" (v.45) della loro vita, cioè la vecchiaia, il destino che li accomunava sarà differente. Mentre al passero, che ha vissuto secondo la propria natura ("che di natura è frutto ogni vostra vaghezza", vv.48-49), l'aver così trascorso la propria vita non sarà di peso, a Leopardi, essere umano che avrebbe dovuto godersi gli anni migliori come i suoi coetanei, l'aver scelto di vivere separatamente dal mondo sembrerà un capriccio ("voglia", v. 56) e un errore al quale non potrà più rimediare. Ciò che gli resterà in mano saranno solo i rimpianti legati al ricordo del passato.

L'oggetto essenziale del componimento, l'inconciliabilità tra la gioia e l'angoscia nata dalla conoscenza del vero, è posto attraverso il rapporto tra la vecchiaia, indicata come "detestata soglia" (v. 51) e la gioventù, "il tempo migliore" (v. 11) associato alla primavera ("dell'anno e di tua vita il più bel fiore", v. 16). Si aggiunge a questo sentimento il rimorso del tempo sprecato, di una vita potenzialmente ricca di gioie lasciate scorrere via, trascurate e perciò rimpiante: "Ogni diletto e gioco/Indugio in altro tempo" (vv. 38-39). Seguendo il pensiero proprio della sua produzione giovanile, Leopardi non indica le cause della sua infelicità nella natura o nella società, come farà nelle Operette morali o negli altri canti pisano-recanatesi, ma nella propria personale incapacità di rapportarsi con gli altri e condividere i piaceri della vita.

Stilistico

Il passero solitario è una canzone libera, forma metrica anche detta leopardiana proprio dal nome del nostro autore, che ne innovò le caratteristiche e la rese celebre. Si tratta di un componimento di strofe la cui lunghezza coincide con il periodare di volta in volta scelto dall'autore e in cui si alternano liberamente endecasillabi e settenari. Anche le rime sono libere ("giorno-dintorno" vv.3-5; "core-migliore-fiore-amore" vv. 7-11-16-20; "giri-miri", vv.10-12 ; "spassi-trapassi", vv.14-15; "somiglia-famiglia", vv. 17-19; "lontano-strano", vv. 23-24; "primavera-sera", vv.26-27; "squilla-villa", vv.29-31; "aprica-dica", vv.40-43; "vaghezza-vecchiezza", vv.49-50; "stesso-spesso", vv. 57-58). Sono molte in questa poesia le immagini "vaghe e indefinite" tipiche della poesia leopardiana. Esse permettono, come ne L'infinito, di mettere in moto l'immaginazione ed evocare vastità e spazi indefiniti: ciò è riscontrabile ad esempio nei complementi di luogo indeterminati "alla campagna" e "per lo seren", la "torre antica" ("l'antico produce l'idea di un tempo indeterminato dove l'anima si perde" dice Leopardi nello Zibaldone), il passero "solitario", la campagna "rimota".

Nella poesia leopardiana è sempre possibile riscontrare un barlume di speranza contrapposta al generale senso di malinconia e disperazione dei componimenti. Nel Passero solitario questo effetto è creato implicitamente a livello ritmico. Leopardi utilizza una serie di figure retoriche come l'asindeto ("il tutto miri; / Non compagni, non voli, non ti cal d'allegria, schivi gli spassi; / canti, e così trapassi", vv. 13-15), lo zeugma ("Sollazzo e riso, / Della novella età dolce famiglia, / E te german di giovinezza, amore, / Sospiro acerbo de' provetti giorni,/ Non curo" , vv.19-22; "Che parrà di tal voglia? / Che di quest'anni miei? che di me stesso?", vv.56-57) o l'anafora ("che parria di tal voglia?" / "che di questi anni miei?" "che di me stesso?", vv. 56-57; "quasi fuggo lontano / quasi romito e strano", vv. 23-24; "odi per lo sereno.../ odi spesso un tonar", vv. 29-30) che accelerano il ritmo della poesia e nello stesso tempo adotta un periodare ipotattico, fitto di domande retoriche e incisi, e un folto numero di enjambement (11) che lo rallentano continuamente. Attraverso quest'alternanza di ritmo rapido e lento il poeta vuole indicare lo scorrere veloce del tempo della giovinezza e il proprio desiderio personale di ritardare il più possibile l'arrivo della "detestata soglia" della vecchiaia. L'età della giovinezza non è perciò filtrata dal ricordo, come in altri idilli, ma propriamente rivissuta dal poeta, che infatti utilizza l'indicativo presente, come se fosse ancora lì davanti ai suoi occhi.


Confronti


A causa della dubbia data di composizione e della posizione ambigua che occupa nei Canti, Il passero solitario è un componimento che presenta analogie con diverse fasi della poesia leopardiana. Il voler restare eternamente nell'età della giovinezza ricorda l'invito contenuto nei versi finali del Sabato del villaggio:

48. Godi, fanciullo mio; stato soave,
49. stagion lieta è cotesta.
50. Altro dirti non vo'; ma la tua festa
51. ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

In questa lirica Leopardi invitava il fanciullo a cui si rivolge a godere della giovinezza e non affrettare il triste momento dell'età adulta, così come accade implicitamente nel Passero solitario. Il sabato del villaggio è presumibilmente composta nello stesso periodo tant'è che il tema principale della poesia, ossia l'evocazione di una scena di atmosfera gioiosa alla vigilia di un giorno di festa associata alla giovinezza, è riprodotta qui nella scena in cui Leopardi descrive il passeggio dei giovani in piazza al suono della "squilla" (v.29) di Recanati che annuncia la festa. Nel Sabato del villaggio Leopardi utilizza addirittura lo stesso termine (v.20) per indicare la campana che dà inizio ai festeggiamenti. Tuttavia, a livello filosofico e ideologico le due liriche pongono una prospettiva differente: Nel Sabato del villaggio Leopardi ha maturato la concezione già sviluppata nelle Operette morali e negli altri grandi idilli, ossia che l'infelicità sia propria all'intero genere umano, ingannato dalla natura matrigna e perfida, come egli dice in A Silvia, ad esempio, poesia appartenente alla stessa fase di pensiero. Il passero solitario riprende invece la posizione che egli aveva avuto nei piccoli idilli, ossia che fosse solo egli stesso e non l'intera umanità ad essere destinata alla disperazione, come espresso ad esempio nella Sera del dì di festa, composta in età giovanile, in cui così la natura si rivolge al poeta: "A te la speme / nego, mi disse, anche la speme; e d'altro / non brillin gli occhi tuoi se non di pianto." Per tale ragione probabilmente Il passero solitario è posta appena prima dei piccoli idilli pur essendo per forma metrica e tematiche generali più affine ai grandi.

Inoltre, Leopardi, nell'evocare il proprio desiderio di solitudine e allontanamento dal mondo, pone un parallelismo tra sé e un altro grande della poesia italiana. La passeggiata al tramonto sui campi "rimoti" (vv. 36-44) richiama i celebri versi della lirica Solo et pensoso di Francesco Petrarca:

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi.

Nella quartina che apre il famosissimo sonetto, anche il poeta toscano evoca una passeggiata solitaria e malinconica che sfrutta per allontanarsi dagli occhi del mondo e nascondere l'amore per Laura che lo consuma. Infine, Il passero solitario è una delle più interessanti e note poesie di Leopardi e lo stesso tema fu fatto proprio da Giovanni Pascoli in un componimento che porta lo stesso titolo e richiama l'incipit della lirica leopardiana:

Tu nella torre avita,
passero solitario,
tenti la tua tastiera, [...]

Anche Pascoli, nel resto del componimento, condivide il senso di malinconia del passero e vi associa la figura del canto solitario e inascoltato.


Domande e Risposte


Qual è il tema principale del componimento?
Il tema principale del Passero solitario è il senso di solitudine del poeta che non riesce a condividere con i suoi coetanei la gioia della gioventù.

Di quale sezione dei Canti fa parte Il passero solitario?
Il passero solitario è collocato all'inizio dei Piccoli idilli.

Quando fu composta la poesia?
Nonostante sia collocata nei Piccoli idilli (1819-21), la poesia fu composta probabilmente insieme ai Canti pisano-recanatesi o grandi idilli (1829-31).

In cosa assomiglia il passero al poeta?
Leopardi condivide con il passero il desiderio di solitudine e il disinteresse per i giochi e i divertimenti giovanili.

Qual è la forma metrica del passero solitario?
Il passero solitario è una canzone libera leopardiana di endecasillabi e settenari liberamente alternati senza uno schema rimico esatto.

Che cosa il poeta teme al contrario del passero solitario a cui si paragona?
Leopardi teme il sopraggiungere della vecchiaia, quando, a differenza del passero, non potrà che rimpiangere il modo in cui ha trascorso la gioventù.

Fonti: libri scolastici superiori

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