Parafrasi, Analisi e Commento di: "Ahi lasso, or è stagion de doler tanto" di Guittone D'Arezzo


Immagine Guittone D'Arezzo
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento

Scheda dell'Opera


Autore: Guittone D'Arezzo
Titolo dell'Opera: Rime
Data: 1260 circa
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Canzone di endecasillabi e settenari di sei strofe e un congedo. La struttura della strofa si articola in piedi (ABBA CDDC) e sirma (EFGgFfE). Ogni strofa riprende la precedente secondo il procedimento delle coblas capfinidas.



Introduzione


"Ahi lasso, or è stagion de doler tanto" è una poesia che appartiene alla seconda fase della produzione di Guittone d'Arezzo, dopo la sua adesione all'Ordine dei frati gaudenti nel 1265. Come tutta la produzione poetica di Guittone, anche questa poesia è inclusa nelle "Rime". L'analisi del testo che segue si concentra sulla parafrasi, sull'individuazione delle figure retoriche, e su un commento che esplora i temi, i significati, lo stile e la lingua di questa poesia a sfondo politico. Guittone, infatti, riflette sulla sconfitta dei guelfi ad opera dei ghibellini nella Battaglia di Montaperti del 1260.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Ahi lasso, or è stagion de doler tanto
2. a ciascun om che ben ama Ragione,
3. ch'eo meraviglio u' trova guerigione,
4. che morto no l'ha già corrotto e pianto,
5. vedendo l'alta Fior sempre granata
6. e l'onorato antico uso romano
7. ca certo pèr, crudel forte e villano,
8. s'avaccio ella no è ricoverata:
9. ché l'onorata sua ricca grandezza
10. e 'l pregio quasi è già tutto perito
11. e lo valor e 'l poder si desvia.
12. Ohi lasso, or quale dia
13. fu mai tanto crudel dannaggio audito?
14. Deo, com'hailo sofrito,
15. deritto pèra e torto entri 'n altezza?

16. Altezza tanta êlla sfiorata Fiore
17. fo, mentre ver' se stessa era leale,
18. che ritenëa modo imperïale,
19. acquistando per suo alto valore
20. provinci' e terre, press'o e lunge, mante;
21. e sembrava che far volesse impero
22. sì como Roma già fece, e leggero
23. li era, c'alcun no i potea star avante.
24. E ciò li stava ben certo a ragione,
25. ché non se ne penava per pro tanto,
26. como per ritener giustizi' e poso;
27. e poi folli amoroso
28. de fare ciò, si trasse avante tanto,
29. ch'al mondo no ha canto,
30. u' non sonasse il pregio del Leone.

31. Leone, lasso, or no è, ch'eo li veo
32. tratto l'onghie e li denti e lo valore,
33. e 'l gran lignaggio suo mort'a dolore,
34. ed en crudel pregio[n] mis' a gran reo.
35. E ciò li ha fatto chi? Quelli che sono
36. de la schiatta gentil sua stratti e nati,
37. che fun per lui cresciuti e avanzati
38. sovra tutti altri e collocati a bono;
39. e per la grande altezza ove li mise
40. ennantîr sì, che 'l piagâr quasi a morte.
41. Ma Deo di guerigion feceli dono,
42. ed el fe' lor perdono,
43. e anche el refedier poi, ma fu forte
44. e perdonò lor morte:
45. or hanno lui e soie membre conquise.

46. Conquis'è l'alto comun fiorentino,
47. e col senese in tal modo ha cangiato,
48. che tutta l'onta e 'l danno, che dato
49. li ha sempre, como sa ciascun latino,
50. li rende, e i tolle il pro e l'onor tutto.
51. Ché Montalcino av'abattuto a forza,
52. Montepulciano miso en sua forza,
53. e de Maremma ha la cervia e 'l frutto;
54. Sangimignan, Pog[g]iboniz' e Colle
55. e Volterra e 'l paiese a suo tene;
56. e la campana e le 'nsegne e li arnesi
57. e li onor tutti presi
58. ave con ciò che seco avea di bene.
59. E tutto ciò li avene
60. per quella schiatta, che più ch'altra è folle.

61. Foll'è chi fugge il suo prode e cher danno,
62. e l'onor suo fa che vergogna i torna;
63. e di bona libertà, ove soggiorna
64. a gran piacer, s'aduce a suo gran danno
65. sotto segnoria fella e malvagia,
66. e suo segnor fa suo grand' enemico.
67. A voi che siete ora in Fiorenza dico,
68. che ciò ch'è divenuto, par, v'adagia;
69. e poi che li Alamanni in casa avete,
70. servite•i bene, e faitevo mostrare
71. le spade lor, con che v'han fesso i visi,
72. e padri e figli aucisi;
73. e piaceme che lor dobiate dare,
74. perch'ebbero en ciò fare
75. fatica assai, de vostre gran monete.

76. Monete mante e gran gioi' presentate
77. ai Conti e a li Uberti e a li altri tutti,
78. ch'a tanto grande onor v'hano condutti,
79. che miso v'hano Sena in podestate;
80. Pistoia e Colle e Volterra fanno ora
81. guardar vostre castella a loro spese;
82. e 'l Conte Rosso ha Maremma e 'l paiese;
83. Montalcin sta sigur senza le mura;
84. de Ripafratta temor ha 'l pisano,
85. e 'l perogin che 'l lago no i tolliate,
86. e Roma vol con voi far compagnia.
87. Onore e segnoria
88. adunque par e che ben tutto abbiate:
89. ciò che disïavate
90. potete far, cioè re del Toscano.

91. Baron lombardi e romani e pugliesi
92. e tosci e romagnuoli e marchigiani,
93. Fiorenza, fior che sempre rinovella,
94. a sua corte v'apella;
95. che fare vol de sé rei dei Toscani,
96. da poi che li Alamanni
97. ave conquisi per forza e i Senesi.
1. Ahimè, ora è tempo di grande sofferenza
2. per ogni uomo che ami davvero la giustizia,
3. tanto che mi meraviglio che egli possa in qualche luogo ("u'") trovare conforto,
4. e che il pianto e il lutto ("corrotto") non l'abbiano già ucciso ("morto"),
5. vedendo la nobile Firenze sempre florida (granata)
6. e l'illustre tradizione dell'antica Roma
7. che certamente moriranno ("pèr") – crudeltà davvero ingiusta ("crudel forte villano") –
8. se non vengono al più presto salvate:
9. poiché la sua grandezza ricca e onorata
10. e il suo prestigio sono già del tutto svaniti,
11. e il valore e la potenza si allontanano da lei.
12. Ahimè, quando
13. si è mai sentito di una così terribile rovina?
14. Dio, come hai potuto sopportare
15. che la giustizia soccomba e l'ingiustizia trionfi?

16. Ci fu così tanta grandezza nella ("ella") ormai decaduta Firenze,
17. finché fu leale verso sé stessa,
18. che aveva il prestigio di una città imperiale,
19. conquistando per mezzo della sua grande potenza
20. molti ("mante") possedimenti e città, sia vicini che lontani;
21. e sembrava che volesse costituire un proprio impero,
22. come già aveva fatto l'antica Roma, e le era facile
23. riuscirci perché nessuno poteva sconfiggerla.
24. E sicuramente questo ruolo era per lei meritato,
25. perché non si affaticava tanto per il suo vantaggio ("per pro")
26. quanto per mantenere la giustizia e la quiete ("poso");
27. e poiché le fu ("folli") gradito
28. comportarsi in questo modo progredì tanto
29. che non esiste angolo al mondo dove
30. non risuonasse la fama del leone (metafora di Firenze).

31. Ahimè, ormai non è più un leone, perché vedo che
32. gli sono stati strappati le unghie, i denti e il coraggio,
33. e che i suoi più nobili cittadini sono stati uccisi con dolore
34. o crudelmente imprigionati con grande ingiustizia.
35. E chi gli ha fatto questo? Proprio quelli che sono
36. nati e discesi dalla sua nobile stirpe,
37. che sono stati allevati da lui ("il leone-Firenze")
38. e posti sopra tutti gli altri, collocati in posizione di privilegio;
39. e per la posizione elevata in cui furono messi
40. insuperbirono ("ennantir") al punto che lo ferirono con un colpo quasi mortale.
41. Ma Dio concesse al leone la guarigione
42. e il leone concesse ai suoi cittadini traditori il perdono;
43. questi lo ferirono una seconda volta, ma lui fu generoso
44. e evitò di ucciderli:
45. ora, infine, hanno conquistato lui e il suo corpo.

46. L'illustre Comune di Firenze è stato conquistato,
47. e ha scambiato i ruoli col Comune senese
48. a tal punto che tutta la vergogna e la rovina che Firenze,
49. come sanno tutti gli Italiani, ha sempre dato a Siena,
50. ora Siena la restituisce a Firenze, togliendole ogni onore e vantaggio:
51. poiché ha sconfitto con la forza Montalcino,
52. ha assoggettato Montepulciano,
53. e dalla Maremma riceve i simboli della sottomissione ("la cervia e ‘l frutto");
54. Siena ormai considera suoi domìni Sangimignano, Poggibonsi, Colle Val d'Elsa,
55. Volterra e la campagna ("paiese") circostante;
56. si è impossessata (il "presi" del v. 57) anche dei simboli della potenza fiorentina: la campana di guerra, gli stemmi di Firenze, le armi,
57. gli onori,
58. con tutti gli aspetti positivi che a questi simboli erano legati.
59. E tutto questo accade
60. a causa di quella famiglia che è la più folle fra tutte, gli Uberti.

61. È folle infatti chi evita il proprio vantaggio e cerca la propria rovina,
62. e fa sì che la propria onorevole condizione diventi vergognosa,
63. e che dalla bella libertà nella quale vive
64. piacevolmente si riduce, con gran suo danno,
65. sotto un dominio crudele e malvagio,
66. e fa diventare suo signore il suo peggior nemico.
67. Parlo a voi che vivete ora in Firenze,
68. dato che ciò che è successo sembra che vi piaccia ("v'adagia");
69. e poiché avete i soldati tedeschi in città,
70. serviteli bene e fatevi mostrare
71. le loro spade con cui vi hanno ferito il viso
72. e con cui hanno ucciso i vostri padri e i vostri figli;
74. e poiché fare ciò fu per loro
75. molto faticoso è giusto che dobbiate dare loro tanto del vostro denaro (da "è giusto" ci si riferisce al v. 73).

76. Donate tanto denaro e grandi gioielli
77. ai conti Guidi, agli Uberti e alle altre famiglie
78. che vi hanno portato a tanto onore
79. che Siena ora è in vostro dominio (nota: tutta la frase è ironica, come pure le successive, ed è da intendersi il significato opposto);
80. adesso Pistoia, Colle Val d'Elsa e Volterra fanno ora
81. sorvegliare le vostre fortezze a loro spese;
82. e il conte Aldobrandino di Soana possiede la Maremma e le sue campagne;
83. Montalcino è così al sicuro da non aver bisogno di mura,
84. Pisa ha timore del castello di Ripafratta,
85. Perugia ha persino paura che le sottraiate il lago Trasimeno,
86. e Roma vuole allearsi con voi.
87. Onore e dominio
88. sembra dunque che abbiate ottenuto e ogni vantaggio:
89. ciò che desideravate,
90. potete fare, cioè essere sovrani dell'intera Toscana.

91. Nobili settentrionali, romani, meridionali,
92. toscani, romagnoli, marchigiani:
93. Firenze, fiore che sempre rifiorisce,
94. vi chiama alla sua corte,
95. perché vuole diventare signora di Toscana,
96. ora che i Tedeschi
97. ha sconfitto con la forza e i Senesi.



Parafrasi discorsiva


Ahimè, ora è tempo di grande sofferenza per ogni uomo che ami davvero la giustizia, tanto che mi meraviglio che egli possa in qualche luogo ("u'") trovare conforto, e che il pianto e il lutto ("corrotto") non l'abbiano già ucciso ("morto"), vedendo la nobile Firenze sempre florida (granata) e l'illustre tradizione dell'antica Roma che certamente moriranno ("pèr") – crudeltà davvero ingiusta ("crudel forte villano") – se non vengono al più presto salvate: poiché la sua grandezza ricca e onorata e il suo prestigio sono già del tutto svaniti, e il valore e la potenza si allontanano da lei. Ahimè, quando si è mai sentito di una così terribile rovina? Dio, come hai potuto sopportare che la giustizia soccomba e l'ingiustizia trionfi?

Ci fu così tanta grandezza nella ("ella") ormai decaduta Firenze, finché fu leale verso sé stessa, che aveva il prestigio di una città imperiale, conquistando per mezzo della sua grande potenza molti ("mante") possedimenti e città, sia vicini che lontani; e sembrava che volesse costituire un proprio impero, come già aveva fatto l'antica Roma, e le era facile riuscirci perché nessuno poteva sconfiggerla.
E sicuramente questo ruolo era per lei meritato, perché non si affaticava tanto per il suo vantaggio ("per pro") quanto per mantenere la giustizia e la quiete ("poso"); e poiché le fu ("folli") gradito comportarsi in questo modo progredì tanto che non esiste angolo al mondo dove non risuonasse la fama del leone (metafora di Firenze).

Ahimè, ormai non è più un leone, perché vedo che gli sono stati strappati le unghie, i denti e il coraggio, e che i suoi più nobili cittadini sono stati uccisi con dolore o crudelmente imprigionati con grande ingiustizia.
E chi gli ha fatto questo? Proprio quelli che sono nati e discesi dalla sua nobile stirpe, che sono stati allevati da lui ("il leone-Firenze") e posti sopra tutti gli altri, collocati in posizione di privilegio; e per la posizione elevata in cui furono messi insuperbirono ("ennantir") al punto che lo ferirono con un colpo quasi mortale; ma Dio concesse al leone la guarigione e il leone concesse ai suoi cittadini traditori il perdono; questi lo ferirono una seconda volta, ma lui fu generoso e evitò di ucciderli: ora, infine, hanno conquistato lui e il suo corpo.

L'illustre Comune di Firenze è stato conquistato, e ha scambiato i ruoli col Comune senese a tal punto che tutta la vergogna e la rovina che Firenze, come sanno tutti gli Italiani, ha sempre dato a Siena, ora Siena la restituisce a Firenze, togliendole ogni onore e vantaggio: poiché ha sconfitto con la forza Montalcino, ha assoggettato Montepulciano, e dalla Maremma riceve i simboli della sottomissione ("la cervia e ‘l frutto");
Siena ormai considera suoi domìni Sangimignano, Poggibonsi, Colle Val d'Elsa, Volterra e la campagna ("paiese") circostante; si è impossessata anche dei simboli della potenza fiorentina: la campana di guerra, gli stemmi di Firenze, le armi, gli onori, con tutti gli aspetti positivi che a questi simboli erano legati. E tutto questo accade a causa di quella famiglia che è la più folle fra tutte, gli Uberti.

È folle infatti chi evita il proprio vantaggio e cerca la propria rovina, e fa sì che la propria onorevole condizione diventi vergognosa, e che dalla bella libertà nella quale vive piacevolmente si riduce, con gran suo danno, sotto un dominio crudele e malvagio, e fa diventare suo signore il suo peggior nemico. Parlo a voi che vivete ora in Firenze, dato che ciò che è successo sembra che vi piaccia ("v'adagia"); e poiché avete i soldati tedeschi in città, serviteli bene e fatevi mostrare le loro spade con cui vi hanno ferito il viso e con cui hanno ucciso i vostri padri e i vostri figli; e poiché fare ciò fu per loro molto faticoso è giusto che dobbiate dare loro tanto del vostro denaro.

Donate tanto denaro e grandi gioielli ai conti Guidi, agli Uberti e alle altre famiglie che vi hanno portato a tanto onore che Siena ora è in vostro dominio (nota: tutta la frase è ironica, come pure le successive, ed è da intendersi il significato opposto); adesso Pistoia, Colle Val d'Elsa e Volterra fanno sorvegliare le vostre fortezze a loro spese; e il conte Aldobrandino di Soana possiede la Maremma e le sue campagne; Montalcino è così al sicuro da non aver bisogno di mura, Pisa ha timore del castello di Ripafratta, Perugia ha persino paura che le sottraiate il lago Trasimeno, e Roma vuole allearsi con voi. Sembra dunque che abbiate ottenuto onore, dominio e ogni vantaggio: potete fare ciò che desideravate, cioè essere sovrani dell'intera Toscana.

Nobili settentrionali, romani, meridionali, toscani, romagnoli, marchigiani: Firenze, fiore che sempre rifiorisce, vi chiama alla sua corte, perché vuole diventare signora di Toscana, ora che ha sconfitto con la forza i Tedeschi e i Senesi.


Figure Retoriche


Esclamazione: v. 1: "ahi lasso".

Anastrofi: v. 4, v. 45, v. 67, v. 69, v. 74, v. 79, v. 84, v. 85, vv. 89-90: "morto... pianto", "hanno lui e soie membra conquise", "a voi... dico", "li Alamanni... avete", "ciò fare", "miso v'hano", "de Ripafratta... pisano", "‘l lago no i tolliate", "ciò che disiavate / potete far".

Dittologia: v. 4, v. 20, v. 36, v. 37, v. 38, v. 50, v. 65: "corrotto e pianto", "provinci' e terre", "stratti e nati", "cresciuti e avanzati", "l'onta e ‘l danno", "il pro e l'onor", "fella e malvagia".

Apostrofi: v. 14, v. 67: "Deo, com'hailo...", "A voi che siete ora in Fiorenza dico...".

Metonimia: v. 5 e 16, v. 30 e 31: "Fior". Il simbolo della città per la città stessa, "Leone". Il simbolo della città per la città stessa.

Metafore: v. 5, v. 16: "granata", "sfiorata". Riprende ancora la metonimia del fiore.

Domanda retorica: vv. 12-13, v. 35: "Oh lasso... audito?", "E ciò li ha fatto chi?".

Parallelismo: v. 15, v. 61: "deritto pera e torno entri ‘n altezza", "fugge il suo prode e cher danno".

Figura etimologica: v. 16, vv. 42 e 44, vv. 65-66, v. 93: "sfiorata Fiore", "perdono... perdonò", "signoria... signor", "Fiorenza, fior".

Enjambements: vv. 22-23: "leggero / li era".

Antitesi: vv. 25-26, vv. 63-65: "non se ne penava per pro tanto / como per ritener giustizi' e poso", "di bona libertà... s'aduce... sotto signoria".

Allegoria: vv. 31-45: allegoria di Firenze in forma di leone.

Enumerazione: v. 32, vv. 51-55, vv. 91-92: "l'onghie e li denti e lo valore", "Montalcino... Montepulciano... Maremma... etc", "lombardi e romani... marchigiani". Enumerazione per polisindeto.

Sineddoche: v. 53: "la cervia e ‘l frutto".

Perifrasi: v. 60: "quella schiatta... folle". Per "gli Uberti".

Chiasmi: vv. 71-72: "fesso i visi / padri e figliuoli aucisi".

Epifrasi: vv. 87-88, v. 97: "onor e segnoria / adunque par, e che ben tutto abbiate", "li Alamanni / ave conquisi ... e i Senesi".

Iperbato: v. 20.

Ironia: vv. 76-90.


Analisi e Commento


Guittone d'Arezzo è uno dei più importanti poeti del tredicesimo secolo, fondamentale caposcuola della rimeria toscana che raccoglie l'eredità della scuola siciliana dopo la morte di Federico II. L'attività poetica guittoniana è nettamente distinta in due periodi, una prima stagione di rime d'amore, una seconda – dopo l'ingresso di Guittone nell'ordine clericale dei Frati Gaudenti – di rime di ispirazione morale e religiosa. A Guittone si deve il passaggio dalla maniera siciliana, fredda e convenzionale, a una poesia più viva, che contempla l'autentico dissidio interiore e il sincero fervore morale, oltre che la forza ragionativa in versi.

La canzone Ahi lasso, or è stagion de doler tanto è stata scritta dopo la battaglia di Montaperti (1260), quando i Ghibellini toscani con l'aiuto delle truppe imperiali sconfissero i Guelfi. Guittone è della fazione guelfa, e considera gli eventi politici con l'emozione immediata di chi vi partecipa: col suo sguardo di uomo di parte, egli giudica la vittoria ghibellina come definitiva rovina di Firenze, che ora sarà non più indipendente, ma asservita a Siena e agli "alamanni", cioè le truppe dell'impero romano-germanico.

Ma in Ahi lasso, or è stagion de doler tanto c'è ben più di un semplice punto di vista partigiano: in questa canzone ricca di passione personale, il sentimento politico è accompagnato da un giudizio morale: politica e morale non sono considerate campi separati. La dolorosa realtà delle lotte civili nei comuni italiani è perciò vissuta con un atteggiamento di severa condanna. Guittone esprime la sincera amarezza di un uomo moralmente integro per una sventura: la perdita della libertà da parte di Firenze. Non un semplice fatto politico, dunque, ma un evento storico: Firenze era destinata a far rivivere i fasti della Roma classica nei tempi moderni, ma non ha potuto intraprendere questa missione a causa delle lacerazioni interne fra i suoi cittadini divisi in partiti. La canzone si muove pertanto fra diversi livelli cronologici: la critica dei tempi presenti, in cui Firenze è destinata al decadimento, il rimpianto di quelli passati, in cui la città aveva raggiunto il massimo della sua potenza; ma anche un doppio ipotetico futuro; uno positivo (Firenze avrebbe potuto giungere a creare un proprio impero, v. 21) e uno negativo (Firenze invasa da occupatori provenienti da ogni parte, vv. 91-97). Il moralismo sdegnato e la denuncia si risolvono infine in dura antifrasi (vv. 76-90), quando la realtà della sconfitta fiorentina viene sarcasticamente rovesciata in una serie di immagini ironiche, da intendersi quindi all'opposto: non è vero che Siena è in potere di Firenze, ma è l'esatto contrario; Pistoia e Volterra guardano i castelli fiorentini "a loro spese", nel senso che se ne sono impadroniti e ora li possiedono; Montalcino non ha più le sue mura di difesa non perché davvero "sta sigur", ma perché la cinta è stata abbattuta; soprattutto Firenze non può più essere "re del toscano", ma è condannata a essere assoggettata.

Dal punto di vista stilistico, la poesia di Guittone è caratterizzata da modi esuberanti, da una ricerca di novità espressiva che si avvale di strumenti retorici frequenti e insistiti. Questa canzone documenta questo aspetto: l'esclamazione iniziale (v. 1), le interrogative retoriche (vv.12-15), il tessuto metaforico, quasi allegorico, del discorso (si pensi alla vicenda simbolica del leone) contribuiscono tutti all'intensità emotiva del componimento, cui si aggiungono artifici più segnatamente metrici e fonetici: coblas capfinidas (l'inizio di ogni strofa riprende la fine della strofa precedente), rime ricche (ragione : guerigione, vv. 2-3), rime identiche (tanto: tanto, vv. 25 e 28; morte : morte, vv. 40 e 44), bisticci verbali e figure etimologiche (sfiorata Fiore, v. 16). Questo componimento è il modello fondamentale di canzone politica in volgare per i secoli successivi, fissandone le regole e le modalità specifiche: ricorso allo stile alto, vibrante tensione morale, dispiegamento di elementi retorici, sferzante sarcasmo. Notevoli sono i punti in comune con le più accese invettive (=discorso polemico concitato e violento, di accusa) politiche della Commedia di Dante.

Fonti: libri scolastici superiori

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