Senofonte - Antistene e il non aver bisogno di nulla


Immagine Senofonte
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Il Simposio di Senofonte si distingue per la sua intricata rete di riferimenti letterari, che richiamano altre opere della tradizione socratica, come il celebre Simposio di Platone e il Protagora. La comparazione con il Simposio platonico è particolarmente interessante e dibattuta, poiché, nonostante la convergenza dei temi trattati, emerge una marcata differenza di stile e contenuto tra le due opere. Questa discrepanza suggerisce l'ipotesi di un gioco letterario, una sorta di risposta o omaggio tra i due autori, sebbene rimanga oscuro chi abbia scritto per primo.

Nel contesto del Simposio di Senofonte, l'azione si svolge nella sontuosa dimora del facoltoso Callia e vede protagonista Socrate, il quale conduce i commensali in un vivace scambio di battute che si trasforma in profonde riflessioni morali. Queste discussioni nascono da spunti casuali e dalla volontà di trarre svago dall'incontro. Un momento significativo del dialogo avviene quando ciascun partecipante è chiamato a esprimere ciò di cui va più fiero, motivando la propria scelta con un breve discorso.

Tra gli ospiti figura anche il giovane Antistene, fedele seguace di Socrate, il quale dichiara con orgoglio di essere ricco. Tuttavia, il significato di questa ricchezza, come chiarisce Antistene nel suo discorso, non è legato a beni materiali, ma piuttosto alla capacità di apprezzare l'essenziale e di godere della compagnia del suo anziano amico e mentore, seguendo così gli insegnamenti che ha ricevuto da Socrate. Va notato che Senofonte, narrando questo episodio, inserisce qualche sottile nota di ironia nei confronti di Antistene.


Lettura


"Certamente", disse Socrate con interesse, "vorrei sentire la tua opinione, Antistene. Come fai, pur essendo in una situazione di povertà, a mostrare tanto orgoglio per ciò che possiedi?"

"Guardate, amici miei," esordì Antistene con convinzione, "io sono fermamente convinto che la ricchezza e la povertà risiedano non tanto nelle cose materiali, ma nell'animo delle persone. Ho osservato molti individui, anche se ricchi di beni materiali, che si sentono comunque estremamente poveri, tanto da sforzarsi al massimo e affrontare qualsiasi rischio pur di accumulare ancora di più. Inoltre, conosco due fratelli che, pur avendo ereditato una somma identica, ora si trovano in situazioni totalmente diverse: uno gode di ogni tipo di lusso e benessere, mentre l'altro è nel bisogno più totale. È evidente che la ricchezza va al di là dei beni materiali. Mi sono anche reso conto che alcuni tiranni, mossi da una fame insaziabile di ricchezza, compiono azioni ben più atroci di quelle dei più disperati tra i poveri. Mentre alcuni rubano o compiono altri reati per necessità, ci sono tiranni che arrivano a distruggere famiglie intere, ordinare massacri e ridurre intere città in schiavitù, tutto per soddisfare la loro avidità. Queste persone suscitano in me compassione, perché sono affette da una malattia profonda, simile a quella di chi, pur avendo tutto ciò di cui ha bisogno, non riesce mai a sentirsi appagato."

Dal mio punto di vista, possiedo una quantità di beni così grande che a volte fatico persino a rintracciarli. Tuttavia, sono sufficienti per soddisfare i miei bisogni primari: cibo per saziare la fame, bevande per placare la sete e abiti per ripararmi dal freddo quando sono fuori casa. Gli spazi domestici mi accolgono con calore, come se fossero abbracci confortanti, e il mio letto è così accogliente che mi ci immergo con piacere ogni sera, con riluttanza al risveglio. Quando desidero l'intimità fisica, mi accontento con chiunque sia disponibile, e le donne intorno a me sono generose, accogliendo la mia compagnia con gratitudine. Queste comodità mi sembrano più che soddisfacenti; anzi, talvolta penso che siano addirittura eccessive. Non desidero un eccesso di piaceri, bensì una misura più moderata: ciò che ho mi sembra più che sufficiente. La mia ricchezza più grande, però, è la capacità di provvedere al mio sostentamento con il lavoro più umile, nel caso qualcuno mi privasse di tutto ciò che possiedo. Quando mi sento incline a vivere da nobile, non mi concedo lusso di cibi pregiati, preferendo affidarmi al mio appetito per soddisfare le mie necessità. Trovo maggiore piacere nell'attesa del cibo quando ne sento il bisogno, piuttosto che nell'indulgenza di cibi costosi quando non ne ho reale necessità. Inoltre, ritengo che coloro che conducono una vita semplice siano più onesti di coloro che cercano ricchezza e abbondanza, poiché chi è soddisfatto di ciò che ha tende a non invidiare i beni altrui. La mia ricchezza, simile a quella di Socrate, si basa non sulla quantità o sul valore materiale, ma sulla condivisione e sull'abbondanza dell'animo. Non nego nulla agli altri, piuttosto metto a disposizione degli amici tutto ciò che posso offrire, condividendo liberamente la ricchezza interiore che possiedo. Ma ciò che rende la mia vita veramente preziosa è il tempo libero che ho a disposizione, permettendomi di apprezzare ciò che vale davvero la pena di essere visto e sentito, e soprattutto di trascorrere le mie giornate in compagnia di Socrate, il cui valore è inestimabile. Egli, a sua volta, non si lascia affascinare dalle ricchezze materiali, preferendo frequentare liberamente le persone che più gli piacciono.

Tale fu dunque il discorso di Antistene. E Callia: «Per Era», disse, «io ti invidio davvero per questa tua ricchezza, ma soprattutto perché la città non ti può dare ordini come a uno schiavo, e, d'altra parte, gli uomini non se la prendono con te quando non presti loro denaro». «Non è il caso che tu lo invidi, per Zeus», interloquì Nicerato, «perché io vado subito a chiedergli in prestito l'arte di non aver bisogno di nulla; già, io che ho imparato da Omero a contare, secondo peso e quantità, tripodi nuovi, e d'oro dieci talenti, venti bacili lucenti, cavalli per una dozzina, a tal punto che non riesco a smettere di accumulare ricchezze: è evidente che a qualcuno potrò sembrare un po' troppo avido!» E tutti scoppiarono a ridere, perché, pensavano, era proprio vero.


Guida alla lettura


1) Che differenza c'è tra un povero e un tiranno?
Nel testo, Antistene evidenzia una differenza significativa tra un povero e un tiranno. Mentre un povero può essere spinto dal bisogno a compiere azioni disperate per sopravvivere, come rubare o vendere se stesso o altri come schiavi, un tiranno può essere ancora più avido di ricchezze, arrivando a commettere azioni feroci e crudeli, come distruggere intere famiglie o ridurre intere città in schiavitù puramente per l'avidità di denaro. Questo evidenzia una differenza morale tra il bisogno genuino e l'avidità smisurata.

2) Elenca i beni che Antistene dichiara di possedere in gran numero.
Antistene dichiara di possedere diversi beni in gran numero:

Cibo: Dice di avere abbastanza cibo per non avere più fame e abbastanza da soddisfare la sua sete.
Vestiti: Afferma di avere abiti che gli permettono di non soffrire il freddo quando esce di casa.
Comfort domestico: Descrive i muri della sua casa come tuniche ben calde, il tetto come un mantello pesante e il suo giaciglio come estremamente comodo.
Relazioni sessuali: Afferma di potersi soddisfare pienamente con la prima donna che capita, indicando che le donne con cui ha rapporti sono generose con lui.
Tempo libero: Afferma di avere molto tempo libero, che gli permette di dedicarsi a ciò che ritiene importante, come trascorrere le giornate con Socrate.

Questi sono i principali beni che Antistene elenca nel suo discorso.

3) Qual è «la cosa più bella» che Antistene possiede?
La cosa più bella che Antistene dichiara di possedere è il tempo libero. Afferma che questo gli consente di dedicarsi a ciò che ritiene importante, come vedere le cose che val la pena vedere, sentire le cose che val la pena sentire e soprattutto passare tutte le sue giornate con Socrate, che per lui è la cosa più importante. Questo sottolinea l'importanza delle relazioni e delle esperienze significative nella vita di Antistene.


Guida alla Comprensione


1) Perché Antistene considera i ricchi come dei malati da compatire? Quale ideale di autosufficienza emerge dalle sue parole?
Antistene considera i ricchi come dei malati da compatire perché osserva che molte persone ricche soffrono di una "grave malattia" che li porta a un desiderio insaziabile di accumulare sempre più ricchezze. Egli nota che alcuni ricchi, pur avendo già grandi ricchezze, continuano a faticare e a correre rischi estremi per ottenere ancora di più. Questo desiderio smodato di ricchezza porta alcuni a compiere azioni immorali e feroci, come oppressione e sfruttamento degli altri.
Le parole di Antistene riflettono un ideale di autosufficienza che non si basa sulla quantità di beni materiali posseduti, ma sull'abbondanza interiore e sulla capacità di soddisfare i bisogni essenziali con poco. Egli afferma di possedere beni che gli permettono di mangiare, bere e vestirsi a sufficienza, e che la sua vera ricchezza risiede nella sua capacità di godere della compagnia del suo anziano amico e maestro, Socrate. Questo suggerisce che l'ideale di autosufficienza di Antistene non si limita al possesso materiale, ma si estende alla soddisfazione emotiva e spirituale ottenuta attraverso relazioni significative e la ricerca di conoscenza e saggezza.

2) Spiega il senso di questa frase: «mi sembra assai verisimile che quanti vivono in semplicità siano più onesti di quanti ricercano l'abbondanza delle ricchezze».
Questa frase esprime l'idea che coloro che conducono una vita semplice, senza cercare l'abbondanza materiale, sono più propensi ad essere onesti rispetto a coloro che cercano avidamente la ricchezza. L'autore suggerisce che la semplicità di vita porta con sé una maggiore integrità morale e un comportamento più etico. Questo concetto si basa sull'idea che chi è soddisfatto con poco è meno incline a cercare di ottenere ricchezze attraverso mezzi disonesti o immorali. In contrasto, coloro che perseguono avidamente la ricchezza possono essere più inclini a comportamenti scorretti o disonesti nel perseguire i propri interessi materiali.

3) Spiega in che senso la battuta finale di Nicerato è un'ironica risposta al discorso di Antistene
La battuta finale di Nicerato, dove menziona la sua difficoltà nel smettere di accumulare ricchezze nonostante abbia imparato da Omero a contare quantità enormi di beni materiali, rappresenta un'ironica risposta al discorso di Antistene.

Antistene, infatti, ha appena esposto un concetto di ricchezza interiore, basata sull'essere soddisfatti con poco e godere delle relazioni umane significative, anziché concentrarsi sul possesso di beni materiali. Egli dipinge un ritratto di sé stesso come un uomo ricco interiormente, nonostante la sua povertà materiale.

La risposta ironica di Nicerato sottolinea l'opposto di questo concetto. Mentre Antistene parla di ricchezza interiore e di contentezza con poco, Nicerato ammette apertamente di essere avido e incapace di smettere di accumulare ricchezze materiali, anche se ha imparato a contare quantità immense di beni. Questo contrasto mette in evidenza l'ironia della situazione e sottolinea la discrepanza tra le due visioni della ricchezza presentate nel dialogo.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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