Julien Offroy de La Mettrie - La virtù secondo un medico materialista


Immagine Julien Offroy de La Mettrie
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Durante il suo soggiorno come ospite di Federico II di Prussia nel 1748, il filosofo e medico La Mettrie traduce l'opera di Seneca "De vita beata" e la arricchisce con un'introduzione approfondita. Questo lavoro introduttivo viene pubblicato due anni dopo, nel 1750, sotto il titolo di "L'anti-Seneca o Sul sommo bene". Dopo la morte di La Mettrie, il trattato viene incluso nelle sue "Opere filosofiche", pubblicate postume nel 1752, e rinominato "Discorso sulla felicità", nome con il quale è successivamente conosciuto. Qui vengono presentati due estratti dall'edizione finale del 1751. Nel primo, La Mettrie critica la concezione stoica di "felicità privativa", che si fonda sul controllo delle passioni e sulla padronanza di sé, e introduce la sua nozione di felicità basata sulla "sensazione" o modifica dei nervi: secondo lui, ogni individuo è predisposto a sperimentare un tipo specifico di "felicità organica", influenzata dalla propria costituzione fisica e dal temperamento. Nel secondo estratto, La Mettrie esplora la relazione tra virtù ed educazione. Argomenta che la virtù, definita come comportamento benefico per la comunità, raramente porta piacere perché gli esseri umani non sono innatamente inclini ad agire altruisticamente; pertanto, possono diventare virtuosi solo attraverso l'educazione (che ha un effetto limitato nel tempo) o la costrizione legale. Infine, il filosofo enfatizza che le azioni umane sono determinate dalla "macchina corporea" di ciascuno, negando l'esistenza di una reale libertà di scelta.


Lettura


Vivere tranquilli, senza ambizione, senza desideri; far uso delle ricchezze, senza goderne; conservarle senza inquietudine; perderle senza rimpianto; esserne i padroni, invece di esserne schiavi; non essere turbati né commossi da nessuna passione, o piuttosto non averne per nulla, essere contenti nel dolore, come nel piacere; avere un animo sano e forte, in un corpo debole e malato; non avere né paure né timori; spogliarsi di ogni inquietudine; disdegnare i piaceri e la voluttà; acconsentire a provare piacere, così come ad essere ricchi, senza ricercare queste piacevolezze; disprezzare la vita stessa; infine arrivare alla virtù attraverso la conoscenza della verità; ecco quel che costituisce il sommo bene per Seneca e per gli stoici in generale, e la perfetta beatitudine che ne consegue.

Come saremo antistoici! Questi filosofi sono tristi, severi, duri; noi saremo allegri, dolci, compiacenti. Tutti anima, essi fanno astrazione dal loro corpo; tutti corpo, noi faremo astrazione dalla nostra anima. Essi si mostrano inaccessibili al piacere e al dolore; noi ci vanteremo di sentire l'uno e l'altro. Sforzandosi di raggiungere il sublime, si elevano al di sopra di tutti gli avvenimenti, e si credono veramente uomini solo quando cessano di esserlo. Noi, noi non disporremo di ciò che ci governa; non comanderemo affatto alle nostre sensazioni; ammettendo il loro potere e la nostra schiavitù, cercheremo di rendercele piacevoli, persuasi che è là che si trova la felicità della vita; infine ci crederemo tanto più felici, quanto più saremo uomini, o più degni di esserlo; quanto più sentiremo l'umanità, la natura, e tutte le virtù sociali: non ammetteremo altre virtù, né un'altra vita oltre a questa. [...]

Entriamo in argomento. I nostri organi sono suscettibili di una sensazione o di una modificazione che ci piace e ci fa amare la vita. Se l'impressione di questa sensazione è breve, è il piacere; più lunga, è la voluttà; permanente, si ha la felicità. Si tratta sempre della stessa sensazione, che differisce solo per la sua durata e la sua vivacità: io aggiungo questa parola, perché non vi è un sommo bene così squisito quanto il grande piacere dell'amore, che forse ne è l'elemento costitutivo.

Più questa sensazione è durevole, deliziosa, carezzevole, ininterrotta, non turbata da nulla, più si è felici. Più è breve e viva, più si accosta alla natura del piacere. Più è lunga e tranquilla, più se ne distanzia, e si avvicina alla felicità. Più l'anima è inquieta, agitata, tormentata, più la felicità la fugge. Non avere né timori, né desideri, come dice Seneca, è una felicità privativa nel senso che l'anima è esente da ciò che altera la sua tranquillità. [...] Avere tutto secondo i propri desideri: felice organizzazione, bellezza, scienza, intelligenza, grazia, talenti, onori, ricchezze, salute, piaceri, gloria; questa è la felicità reale e perfetta. [...]

È tanto falso che l'idea della virtù ci è stata data con l'esistenza, che essa non raggiunge la stabilità neppure quando l'educazione e il tempo hanno sviluppato ed ornato i nostri organi.

È come un uccello sul ramo, sempre pronto a volar via. L'abitudine precedente si riforma con facilità: l'organizzazione riprende meccanicamente quel che l'educazione pareva averle sottratto, come se la perfezione e l'arte le dessero fastidio.

Chi ignora il contagio delle cattive letture, il pericolo delle cattive compagnie? Un esempio cattivo, una sola conversazione torbida, distrugge sovente, per così dire, le attenzioni più belle dell'educazione, e la natura viziosa è ben felice di tornare ad esserlo. Si direbbe che essa si trovi più a suo agio, che zoppichi con piacere; come se fosse per lei una violenza o un dolore camminare diritto, sempre che vi sia un diritto.

Questa fragile incostanza della virtù, anche se si tratta di una virtù acquisita nel migliore dei modi, e radicata nel modo più saldo, dimostra non solo la necessità dei buoni esempi e dei buoni consigli per sostenerla, ma quella di lusingare l'amor proprio con lodi, ricompense e gratificazioni che lo incoraggino e lo incitino alla virtù. In mancanza di ciò, a meno che uno non sia spinto da un certo senso dell'onore, si avrà un bell'esortare, declamare, fare prediche: è un cattivo soldato che diserterà. [...]

Chi lo crederebbe? Il benessere sta alla base perfino della malvagità. Guida il cattivo, il tiranno, l'assassino, così come guida l'uomo onesto. La volontà è necessariamente determinata a desiderare e a cercare quel che può costituire un vantaggio attuale per l'anima e per il corpo: e come, se non per opera della circolazione, di cui essa stessa è il prodotto?

Quando io faccio il bene o il male; quando, virtuoso la mattina, sono vizioso la sera, è il mio sangue che ne è la causa, questo sangue che mi rende allegro, serio, vivo, faceto, scherzoso, ironico, pazzo, questo sangue che mi fa volere, e che mi determina totalmente; è ciò che lo inspessisce, lo ferma, lo scioglie o lo fa precipitare; come quando gli spiriti filtrati dal sangue nel midollo del mio cervello, per essere di là rinviati a tutti i miei nervi, aprendosi una strada piuttosto che un'altra, mi fanno girare in un parco a destra piuttosto che a sinistra.

Tuttavia io credo di aver scelto, sono soddisfatto della mia libertà. Tutte le nostre azioni più libere somigliano a questa. Una determinazione assolutamente necessaria ci trascina, e noi non vogliamo essere schiavi! Come siamo pazzi, e pazzi tanto più infelici, per il fatto di rimproverarci incessantemente di non aver fatto quel che non era in nostro potere fare!

Ma poiché siamo meccanicamente portati al nostro benessere, e nasciamo con questa inclinazione e questa invincibile disposizione, ne segue che ogni individuo, preferendosi a qualsiasi altro, come quei fannulloni che strisciano inutilmente sulla superficie della terra, non fa in questo che seguire l'ordine della natura. Bisognerebbe essere davvero strani e irragionevoli, per non credere che in esso si possa essere felici. [...]

Poiché il piacere dell'anima è la vera sorgente della felicità, è dunque evidente che in rapporto alla felicità, il bene e il male sono in sé del tutto indifferenti, e che colui che proverà più grande soddisfazione a fare il male, sarà più felice di chiunque ne provi meno a compiere il bene. Il che spiega perché tanti furfanti sono felici a questo mondo; e ci dimostra l'esistenza di una felicità privata e individuale, senza virtù e che si trova perfino all'interno del crimine. [...]

Se non mi stanco di ritornare all'educazione, è perché essa sola può darci dei sentimenti contrari a quelli che avremmo avuto senza di lei. Questo è l'effetto della modificazione, o del cambiamento che essa procura al nostro istinto, o al nostro modo di sentire. L'anima educata non vuole, non persegue, non fa più quello che faceva prima, quando era guidata solo dall'istinto. Illuminata da mille nuove sensazioni, trova cattivo quel che prima trovava buono; loda negli altri quello che prima disprezzava in essi.

Vere e proprie banderuole, noi giriamo dunque incessantemente al vento dell'educazione; e torniamo in seguito al punto di partenza, quando i nostri organi, ripreso il loro tono naturale, ci richiamano a sé, e ci fanno seguire le loro disposizioni primitive. Allora le antiche determinazioni rinascono; quelle che l'arte aveva prodotto si cancellano: infine, non si è neppure padroni di approfittare della migliore educazione quanto si vorrebbe, per il bene della società. Si degenera malgrado la propria volontà.

Questo materialismo merita dei riguardi: deve essere la sorgente delle indulgenze, delle scuse, dei perdoni, delle grazie, degli elogi, della moderazione nei supplizi, che si devono ordinare con rimpianto; delle ricompense dovute alla virtù, che non si accordano mai abbastanza di cuore; dal momento che la virtù è una specie di costruzione posticcia, un ornamento estraneo, sempre pronto a fuggire, o a cadere, in mancanza di un sostegno. [...]

Senza dubbio se il colpevole di fronte alla società non è libero nelle sue azioni, ne segue chiaramente che non è stato libero di non essere colpevole; che lo è, come se non lo fosse; che lo è in un senso, e non lo è in un altro; nel senso delle relazioni arbitrarie, saggiamente stabilite; ma non in sé, non in senso assoluto, o filosoficamente parlando; diciamolo francamente, è chiaro che non lo è per nulla, e merita solo compassione.


Guida alla lettura


1) Perché La Mettrie scrive un Discorso sulla felicità? E qual è il suo principale obiettivo polemico?
La Mettrie scrive il "Discorso sulla felicità" come risposta e critica alla concezione stoica della felicità e della virtù, in particolare quella di Seneca, mirando a delineare una visione alternativa della natura della felicità. L'opera originariamente intitolata "L’anti-Seneca o Sul sommo bene" rivela già dal titolo il suo principale obiettivo polemico: contrapporsi direttamente alle dottrine stoiche che valorizzano il distacco dalle passioni, il controllo di sé e la soppressione dei desideri come vie verso la felicità.

Nel testo, La Mettrie propone una concezione di felicità fondata sull'esperienza sensoriale e sull'ascolto del corpo. Egli critica la "felicità privativa" degli stoici, basata sulla negazione e sulla rinuncia, e sostiene invece che la vera felicità si trova nell'accoglienza delle passioni e delle sensazioni che la vita offre. Secondo La Mettrie, ogni individuo è predisposto biologicamente a godere di una certa forma di felicità, determinata dalla sua "macchina corporea" e dal temperamento, suggerendo quindi che la felicità sia qualcosa di più immediato e organico, piuttosto che il risultato di un rigido autocontrollo morale o intellettuale.

Il suo attacco si estende anche alla nozione di virtù, che, secondo La Mettrie, è spesso in contrasto con il benessere naturale dell'individuo e non necessariamente fonte di piacere o felicità. Egli argomenta che le qualità considerate virtuose dalla società sono il prodotto dell'educazione e delle circostanze esterne, piuttosto che innate, e che possono essere facilmente sovvertite dalla natura intrinseca di una persona o dalle influenze esterne.

In sostanza, il "Discorso sulla felicità" di La Mettrie è un invito a riconsiderare la natura della felicità umana attraverso una comprensione più profonda delle dinamiche biologiche e istintive che guidano il comportamento umano, opponendosi così ai principi stoici di autocontrollo e rinuncia.

2) Sulla base delle definizioni fornite da La Mettrie (e delle note di commento al testo), spiega in che cosa consiste la differenza tra piacere, voluttà e felicità.
Nel testo di La Mettrie che hai fornito, il filosofo stabilisce una distinzione tra piacere, voluttà e felicità, basandosi principalmente sulla durata e l'intensità della sensazione che provoca ognuna di queste condizioni.

Piacere: La Mettrie definisce il piacere come un'esperienza di breve durata. È un'emozione o una sensazione intensa e rapida che nasce dalla stimolazione dei sensi o del corpo. Il piacere è momentaneo e tende a svanire rapidamente.
Voluttà: Mentre la voluttà è una forma di piacere prolungato. È meno intensa del piacere momentaneo ma più duratura nel tempo. La voluttà si distacca dalla natura effimera del piacere e si avvicina più alla continuità di uno stato di benessere, pur non raggiungendo la stabilità della felicità.
Felicità: Infine, la felicità è descritta come una condizione permanente. Essa rappresenta una forma di piacere costante e duraturo, uno stato di contentezza che pervade e si sostiene nel tempo. La felicità è quindi la più stabile e continua tra le tre, e differisce dal piacere e dalla voluttà per la sua durata e per la sua capacità di essere un sentimento sostenuto e non semplicemente episodico.

La Mettrie enfatizza che tutte e tre queste condizioni derivano dalla stessa origine sensoriale e differiscono principalmente per la loro durata e intensità. Inoltre, mette in discussione l'idea tradizionale della virtù e della felicità legata alla morale, proponendo invece una visione materialista e meccanicistica dell'essere umano, dove la felicità è legata alla soddisfazione dei bisogni corporei e sensoriali, piuttosto che agli ideali etici o morali.

3) Cosa significa che la virtù è come un uccello su un ramo?
Nel testo, La Mettrie utilizza l'immagine della virtù come "un uccello sul ramo" per esprimere l'idea che la virtù è intrinsecamente instabile e precaria, sempre pronta a volar via. Questa metafora evidenzia la fragilità della virtù, suggerendo che non è una qualità stabile o intrinseca all'essere umano, ma piuttosto qualcosa che può essere facilmente perduta o abbandonata.

Secondo La Mettrie, anche se la virtù può essere instillata attraverso l'educazione, essa non raggiunge una stabilità definitiva. L'educazione può ornare temporaneamente i nostri "organi" (nel senso di facoltà mentali e fisiche) con la virtù, ma la nostra organizzazione interna — influenzata dai nostri istinti e dalla nostra natura corporea — può facilmente farci regredire ai nostri comportamenti precedenti, come un uccello che abbandona il ramo al primo disturbo.

In sintesi, La Mettrie vede la virtù non come un tratto permanente, ma come qualcosa di esterno e imposto che resta in equilibrio precario e può essere facilmente disfatto dalla nostra natura più profonda e dalle nostre inclinazioni innate.

4) Che cosa significa educare puntando sull'amor proprio degli individui?
Nel contesto del testo di La Mettrie, "educare puntando sull'amor proprio degli individui" significa utilizzare un approccio all'educazione che si focalizza sul riconoscere e gratificare l'individuo attraverso lodi, ricompense e gratificazioni. Questo metodo si propone di incoraggiare e motivare gli individui a comportarsi virtuosamente non solo per il bene intrinseco della virtù, ma anche per ottenere approvazione sociale e premi personali.

La Mettrie osserva che, dato il carattere meccanico e determinato della natura umana, la virtù spesso non è sufficientemente forte da resistere alle tentazioni o alle abitudini precedenti, a meno che non sia sostenuta dall'esterno. In questo senso, sfruttare l'amor proprio — il desiderio innato di ricevere elogi e di sentirsi valorizzati — diventa un mezzo efficace per rinforzare comportamenti virtuosi. L'amor proprio agisce quindi come un incentivo aggiuntivo che può aiutare a consolidare la virtù, compensando la sua fragilità intrinseca e la tendenza naturale delle persone a degenerare verso comportamenti meno virtuosi.

In definitiva, La Mettrie vede l'educazione che sfrutta l'amor proprio come uno strumento pratico e necessario per promuovere la virtù in una società, riconoscendo al tempo stesso le limitazioni della natura umana e la necessità di continuo sostegno esterno per mantenere comportamenti virtuosi.

5) Perché La Mettrie sostiene che le nostre scelte dipendono dalla qualità del nostro sangue?
La Mettrie sostiene che le nostre scelte dipendono dalla qualità del nostro sangue perché vede il corpo umano e il suo funzionamento come una "macchina" in cui ogni aspetto fisico e mentale è determinato da processi materiali e meccanici. Nel testo, afferma che la volontà dell'individuo è determinata dalla "circolazione del sangue", che è prodotto delle condizioni fisiche del corpo.

Quando parla del sangue e delle sue qualità, La Mettrie intende indicare come gli stati fisiologici, quali il flusso del sangue o l'equilibrio dei fluidi corporei, influenzano direttamente il nostro comportamento, le nostre decisioni e persino le nostre emozioni. Secondo la sua visione, le variazioni nella composizione o nel comportamento del sangue (ad esempio, se è "inspessito", "fermato", "sciolto" o fa "precipitare") possono alterare direttamente la nostra capacità di pensare, di sentire e, di conseguenza, di agire.

Per La Mettrie, quindi, non esiste una vera libertà di scelta, poiché tutto è determinato dalle condizioni fisiche e materiali del corpo, incluso il modo in cui il sangue circola e influenza i nostri nervi e il nostro cervello. Questa visione è radicale e materialista e mette in discussione la nozione tradizionale di libero arbitrio, proponendo invece un determinismo fisico e biologico.

6) Perché un uomo colpevole di aver effettivamente agito contro l'utilità sociale non è, in realtà, responsabile della sua colpa?
Secondo La Mettrie, come emerge dal testo, un uomo colpevole di aver agito contro l'utilità sociale non è veramente responsabile della sua colpa perché le sue azioni sono determinate dalla sua "macchina corporea", cioè dalla sua costituzione fisica e biologica, e non da una libera scelta o da una deliberata malvagità.

La Mettrie sostiene che tutti gli esseri umani sono meccanicamente guidati verso ciò che percepiscono come il loro benessere e che le loro azioni, buone o cattive, sono il risultato di questa disposizione inevitabile. Aggiunge che anche i sentimenti e le inclinazioni sono il risultato di una predisposizione innata e dell'effetto dell'educazione e delle circostanze esterne, piuttosto che di scelte libere e consapevoli. Inoltre, indica che i nostri stati mentali e le nostre azioni possono essere influenzati da fattori fisiologici come la circolazione del sangue e la configurazione dei nervi.

La Mettrie esprime l'idea che la nostra volontà è determinata e che persino le nostre inclinazioni più profonde possono cambiare a seguito dell'educazione o di altri interventi esterni ma alla fine ritorniamo alle nostre predisposizioni originali quando gli effetti dell'educazione svaniscono e gli organi riprendono il loro tono naturale.

Pertanto, secondo La Mettrie, un uomo colpevole di fronte alla società non è libero nelle sue azioni perché è guidato da forze che non può controllare, suggerendo che, filosoficamente parlando, non è veramente libero e, quindi, non pienamente responsabile delle sue azioni, meritando compassione piuttosto che condanna.


Guida alla Comprensione


1) Confronta punto a punto il modello di felicità degli stoici con quello che La Mettrie gli oppone, commentando alla fine l'operazione condotta dal medico francese.
Il testo esplora le diverse concezioni di felicità proposte da Seneca e gli stoici da un lato e da La Mettrie dall'altro, esponendo due visioni radicalmente opposte su cosa significhi vivere bene. Ecco un confronto dettagliato tra queste due prospettive, seguito da un commento sull'approccio di La Mettrie.

Modello di felicità degli stoici:

Controllo e indifferenza: Gli stoici ritengono che la felicità derivi dalla capacità di controllare le proprie passioni e desideri, mantenendo un distacco emotivo dagli eventi esterni. La tranquillità (apatia) e la mancanza di desiderio sono centrali, poiché consentono di rimanere imperturbabili di fronte alle avversità.
Autosufficienza: La felicità stoica è autonoma e non dipende da fattori esterni come la ricchezza o il piacere sensoriale. L'ideale è possedere beni senza esserne dipendenti.
Virtù come fine: Per gli stoici, la virtù, intesa come comportamento saggio e giusto, è il sommo bene e la fonte della vera felicità. Vivere virtuosamente significa vivere in armonia con la ragione e la natura.

Modello di felicità di La Mettrie:

Piacere sensoriale: Contrariamente agli stoici, La Mettrie vede la felicità come una questione di piacere sensoriale e di soddisfazione dei desideri corporei. La felicità è una condizione organica e sensibile che dipende dallo stato fisico e dalla salute di un individuo.
Dipendenza dai fattori esterni: La Mettrie enfatizza l'importanza delle condizioni esterne come la salute, la bellezza e la ricchezza per la realizzazione della felicità personale. La felicità non solo è dipendente da questi fattori, ma è anche più profondamente legata alle condizioni biologiche e fisiche dell'individuo.
Virtù come mezzo: La Mettrie vede la virtù non come un fine in sé, ma come un mezzo utile per la società. La virtù non è naturalmente piacevole o desiderabile per l'uomo; può essere inculcata solo attraverso l'educazione e la coercizione sociale.

Commento sull'operazione di La Mettrie:

La Mettrie compie una vera e propria inversione della concezione stoica di felicità. Mentre gli stoici elevano la virtù e il controllo delle passioni come pietre angolari della felicità, La Mettrie mette al centro il corpo, i suoi bisogni e i piaceri derivanti dalla sua soddisfazione. In tal modo, il filosofo francese riduce la dimensione etica e spirituale dell'esistenza umana a una questione di meccanica corporea, spostando l'attenzione dalla costruzione di un sé interiore forte alla gestione e ottimizzazione del benessere fisico. Questa prospettiva è radicalmente materialistica e pone le basi per una comprensione più laica e scientifica della condizione umana, distanziandosi dalle visioni più spirituali o idealistiche della filosofia precedente. La Mettrie sfida così non solo le idee degli stoici ma anche le nozioni comuni del suo tempo riguardo al ruolo della morale e dell'educazione, suggerendo una rivoluzione nel modo di concepire l'essere umano e la sua felicità.

2) Spiega qual è, secondo La Mettrie, il potere dell'educazione nei confronti delle inclinazioni naturali, utilizzando la metafora delle «banderuole».
Secondo La Mettrie, l'educazione ha un potere significativo ma temporaneo, sulle inclinazioni naturali degli individui. La metafora delle «banderuole» utilizzata da La Mettrie illustra vividamente come l'educazione possa influenzare e modificare le disposizioni e i comportamenti umani, solo fino a un certo punto.

Nel testo, La Mettrie sostiene che siamo come banderuole che "girano incessantemente al vento dell'educazione". Questo suggerisce che l'educazione può indirizzare e cambiare la direzione delle nostre azioni e pensieri, influenzando le nostre decisioni e i nostri comportamenti in maniera notevole. Tuttavia, proprio come una banderuola ritorna alla sua posizione originale quando il vento cessa, così gli esseri umani, dopo l'influenza educativa, tendono a ritornare alle loro predisposizioni naturali una volta che l'effetto immediato dell'educazione svanisce.

La Mettrie parla di come l'anima educata possa sembrare trasformata, respingendo ciò che precedentemente accettava e lodando ciò che prima disprezzava. Ma questa trasformazione è instabile e non duratura; con il tempo, "i nostri organi, ripreso il loro tono naturale, ci richiamano a sé, e ci fanno seguire le loro disposizioni primitive". Questo indica che l'educazione può solo temporaneamente sovrascrivere o modificare le nostre inclinazioni naturali ma non può cambiarle permanentemente. Le predisposizioni originali sono profondamente radicate e tendono a riemergere nonostante gli sforzi educativi.

In conclusione, La Mettrie vede l'educazione come un potente ma in definitiva transitorio, modificatore del comportamento umano, capace di orientare temporaneamente le inclinazioni naturali, non di eliminarle o cambiarle in modo permanente.

3) Che cosa significa che un uomo può essere colpevole nel «senso delle relazioni arbitrarie», ma non in senso assoluto? E perché, secondo La Mettrie, un punto di vista materialista sull'uomo dovrebbe invitare i governanti alla moderazione nell'applicazione delle pene?
Nel contesto del testo di La Mettrie, dire che un uomo può essere colpevole nel "senso delle relazioni arbitrarie" ma non in senso assoluto riflette l'idea che la colpevolezza di un individuo sia determinata non dalla sua volontà libera o dalle sue intenzioni autonome, ma piuttosto dalle circostanze esterne e dalle regole stabilite dalla società, che sono "arbitrarie" nel senso di essere costruite e convenzionali. In altre parole, un individuo può essere giudicato colpevole secondo le leggi e le norme sociali vigenti, ma, filosoficamente o "in senso assoluto", la sua azione non è frutto di una libera scelta, poiché, secondo La Mettrie, tutte le azioni umane sono il risultato di processi meccanici e materiali che sfuggono al controllo dell'individuo.

Questo approccio materialista, che vede le azioni umane come il risultato inevitabile della loro costituzione fisica e delle influenze esterne, suggerisce che la punizione severa è ingiustificata. Secondo La Mettrie, se le azioni di una persona sono il risultato diretto della sua organizzazione corporea e delle circostanze esterne, allora il concetto di colpa "morale" diventa problematico. Questa visione dovrebbe, quindi, portare i governanti a moderare l'applicazione delle pene, poiché le azioni per le quali gli individui vengono puniti non sono il risultato di una scelta libera ma di condizioni al di fuori del loro controllo. La Mettrie suggerisce che le leggi e le punizioni dovrebbero essere guidate da un senso di compassione e comprensione della natura umana, piuttosto che da un desiderio di vendetta o di punizione morale severa. Questo invita a una visione più umana e indulgente nei confronti del comportamento umano, promuovendo trattamenti più misurati e proporzionati all'inevitabile determinismo delle azioni umane.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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