Hegel - Lezione 5 - Lo spirito oggettivo


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1) Lo spirito oggettivo
2) Il sistema dell'eticità
3) Il diritto statale interno
4) La sovranità all'estero e il diritto statale esterno

Lo spirito oggettivo


Nel corso della lezione precedente, abbiamo esaminato come Hegel, nella sua filosofia dello spirito oggettivo, traccia il percorso di realizzazione progressiva della libertà dello spirito nell'età moderna. Hegel dedica una trattazione autonoma allo spirito oggettivo nei Lineamenti di filosofia del diritto del 1821, ampliando così la breve sezione presente nell'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.

L'ambito generale del diritto, secondo Hegel, comprende tutte le determinazioni della libertà, analizzando lo spirito che si manifesta nel mondo attraverso la volontà libera nelle tre forme di "diritto astratto", "moralità" ed "eticità". Il primo momento dello spirito oggettivo è rappresentato dal "diritto astratto", considerato da Hegel come il regno della libertà realizzato attraverso l'azione della volontà individuale.

Il desiderio fondamentale della volontà individuale nel diritto astratto è la tutela della propria libertà d'azione da interferenze esterne e a questo scopo, viene istituito il sistema del contratto. Hegel sottolinea che questo rientra nell'ambito del "diritto privato", come precedentemente trattato da Kant nella Metafisica dei costumi, dove si definisce la limitazione della libertà individuale affinché possa coesistere con la libertà altrui, in accordo con una legge comune. L'imperativo giuridico-formale del diritto astratto è quindi: "sii una persona e rispetta gli altri come persone".

Tuttavia, Hegel evidenzia la debolezza del contratto come forma di tutela, poiché è suscettibile a continue violazioni, alle quali si può rispondere solo con la vendetta personale e la legge del taglione. Quest'ultima, essendo espressione della volontà soggettiva, genera inevitabilmente una lesione del diritto altrui, rendendo difficile raggiungere una giustizia imparziale. Da ciò nasce la necessità di una giustizia non vendicativa ma punitiva e legittima, estranea al volere soggettivo ed espressione di una volontà che ricerca l'universale.

Questa esigenza conduce al secondo momento dello spirito oggettivo: la "moralità". Qui, la ricerca interiore della legge universale diventa evidente. Hegel critica la morale kantiana, pur riconoscendone l'alta aspirazione verso un principio di bene universale. Tuttavia, egli sostiene che la morale kantiana rappresenti solo un'aspirazione della coscienza e non una realtà concreta. Il bene si presenta come il "dover essere" della "volontà buona" ma questa autocoscienza può determinare sia l'universale che l'arbitrio individuale, generando così il male.

Hegel intende evidenziare l'inconsistenza e la pericolosità dell'etica che affida al singolo individuo la totale responsabilità di definire il bene al di fuori di ogni determinatezza concreta e relazione con gli altri. Questa proposta etica, secondo Hegel, può portare alla dominazione delle inclinazioni individuali e alla ricerca egoistica della felicità personale o, dall'altra parte, a pretendere l'affermazione assoluta come unica verità, realizzando attraverso l'arbitrio il male invece del bene. Hegel cita come esempio emblematico di questa assolutizzazione la "vanità" dei romantici, che si considerano al di là del bene e del male, svincolati da ogni criterio oggettivo di giudizio. Nella prospettiva di Hegel, la ricerca di una moralità interiore può condurre a una sorta di delirio di onnipotenza, in cui l'individuo si illude di essersi distaccato dal mondo e dal contesto circostante. Questa tendenza ad auto-proclamarsi giudici esclusivi del bene e del male emerge soprattutto durante periodi in cui lo spirito di una comunità si dissolve, incapace di esprimere principi e valori universali. In queste epoche, la propensione a cercare la moralità dentro di sé o a determinarla autonomamente si manifesta, poiché i valori espressi dalla comunità hanno perso vigore e non possono più soddisfare la "volontà buona".

Questa situazione giustifica l'emergere di figure di spicco, come Socrate e i filosofi stoici, che considerano la coscienza come l'unico legislatore morale. Tuttavia, Hegel sottolinea che questa prospettiva altera il significato della vera libertà, la quale può realizzarsi solo attraverso la concretezza dei costumi e delle leggi della comunità di appartenenza di un individuo. Questo conduce al terzo momento dello spirito oggettivo, l'"eticità", che esprime il modo di essere individuale all'interno delle forme di vita comunitaria, dalle quali derivano i fini dell'azione individuale.

Hegel recupera il concetto aristotelico di èthos (in tedesco Sitte), indicante le "consuetudini" della pòlis o del popolo. L'èthos modella il modo di vedere e di pensare del singolo individuo, fornendogli valori fondamentali e principi di comportamento. Essa costituisce la "seconda natura" degli individui, determinando la volontà attraverso il costume e le consuetudini. Il rapporto del soggetto con l'èthos è vitale e primario, fondato su sentimento, fede e credenza. Hegel afferma che solo riflettendo sui doveri assunti dalla propria comunità l'individuo diventa veramente libero, liberandosi dalla dipendenza dalla natura e evitando la "depressione" associata a riflessioni morali inconcludenti. L'individuo, crescendo nella propria comunità, deve interiorizzare riflessivamente questi doveri per raggiungere la virtù, seguendo la strada tracciata dalla sua comunità.


Il sistema dell'eticità

I tre aspetti fondamentali dell'eticità sono rappresentati dalla famiglia, dalla società civile e dallo Stato. Secondo Hegel, la famiglia costituisce "lo spirito etico immediato o naturale", rappresentando la prima forma di comunità basata sul matrimonio, la condivisione dei beni e l'educazione dei figli. Essa è considerata una "società naturale", generata principalmente dall'istinto sessuale e i suoi membri non sono considerati persone giuridiche ma parte di un organismo elementare che agisce per il bene comune. Nel matrimonio, nonostante sia un rapporto contrattuale, il punto di vista giuridico è superato dall'amore, dalla fiducia e dalla comunione delle esistenze che danno vita a un legame affettivo. Anche i beni sono condivisi, sebbene l'uomo abbia il privilegio di gestirli in prima persona. L'educazione dei figli rappresenta il compimento e lo scopo della famiglia ma la crescita dei figli, che diventano adulti, porta alla dissoluzione della comunità etica quando lasciano la famiglia per crearne una propria.

La dissoluzione della famiglia dà origine alla pluralità delle famiglie che interagiscono "in modo esteriore", senza legami affettivi o cura reciproca. Questo conduce al secondo aspetto dell'eticità, la "società civile", dove i capifamiglia interagiscono solo per soddisfare i propri bisogni e perseguire interessi individuali. Hegel introduce l'idea della "società civile" come un sistema di interdipendenza tra persone private che perseguono i propri interessi. Questa è una creazione della modernità, dove lo sviluppo autonomo della particolarità individuale è possibile grazie al principio della libertà.

Il primo aspetto della società civile è il "sistema dei bisogni", ovvero i rapporti economici tra individui che producono e scambiano beni per soddisfare i propri bisogni e interessi. Questo sistema è oggetto della nuova scienza dell'economia politica, che Hegel attinge da autori come Adam Smith, James Steuart, David Ricardo, Jean-Baptiste Say e Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi. Questa scienza spiega come gli uomini costituiscano il sistema di relazioni sociali attraverso la divisione del lavoro che porta il lavoro a diventare sempre più semplice e meccanico, aprendo la strada a riflessioni sul possibile sostituirsi dell'uomo con le macchine. Con la divisione del lavoro, scrive Hegel:

"[...] in questa dipendenza e reciprocità del lavoro e dell'appagamento dei bisogni, l'egoismo soggettivo si trasforma in contributo per l'appagamento dei bisogni di tutti gli altri [...]"
(Lineamenti di filosofia del diritto, § 199)

Il concetto che ogni individuo, nel perseguire i propri interessi, contribuisce involontariamente al benessere degli altri è un fenomeno non intenzionale. Questa dinamica spiega la generazione di ricchezza e prosperità nella società moderna, un tema già analizzato da pensatori come Mandeville, Adam Smith e Kant. Mentre Smith parlava della "mano invisibile" e Kant della "insocievole socievolezza", Hegel considera questo processo come una necessaria evoluzione verso una forma più elevata di razionalità.

Hegel riconosce gli aspetti negativi di questa intersezione di interessi individuali, che può portare alla dissolutezza, alla miseria e alla corruzione etica e fisica nella società civile. Tuttavia, dall'interazione tra gli individui emerge quello che Hegel chiama "patrimonio generale", o la ricchezza della società, accessibile a ciascuno in base alla propria cultura e abilità per garantire la sussistenza individuale.

L'accesso a questa ricchezza socialmente prodotta dipende da vari fattori come il possesso di capitali e le abilità nel lavoro, generando disuguaglianze e la divisione della società in differenti ceti sociali. Hegel, riguardo alla disuguaglianza, la considera un effetto inevitabile del processo e un elemento necessario per lo sviluppo della libertà dello spirito.

Hegel identifica tre ceti: il "ceto sostanziale o immediato", che include grandi latifondisti, piccoli proprietari terrieri e braccianti; il "ceto formale" o "dell'industria", comprendente imprenditori, operai e commercianti; il "ceto generale", composto da funzionari pubblici e burocrati. Questi ceti svolgono ruoli specifici nella società civile.

Il secondo aspetto della società civile riguarda l'amministrazione della giustizia, nata per proteggere la proprietà privata attraverso il diritto. I codici legali e l'istituzione dei tribunali sono progettati per assicurare la punizione di danni alla proprietà e alle persone. Tuttavia, da soli, non sono sufficienti per eliminare gli impatti negativi che si manifestano nelle dinamiche sociali e per garantire a ciascun individuo il "diritto" fondamentale alla "sicurezza della sussistenza". Secondo Hegel, in situazioni di estremo bisogno, il furto di un pezzo di pane, sebbene illegale, potrebbe essere considerato un diritto assoluto e legittimo. È compito della società evitare, per quanto possibile, che qualcuno si trovi in una condizione così critica.

Il terzo e ultimo stadio della società civile è rappresentato da due elementi principali: la polizia e le corporazioni. Quando Hegel parla di "polizia", si riferisce all'amministrazione centrale della pubblica sicurezza. Questa autorità è responsabile di garantire il rispetto della legge e difendere la sicurezza e i beni pubblici. La sua azione si estende sia nell'ambito economico che sociale, adottando misure per contrastare la povertà e sostenere l'educazione, l'igiene pubblica e l'assistenza sociale.

Hegel mostra una particolare attenzione alla divisione sociale generata dai meccanismi del "sistema dei bisogni". Questo sistema ha come effetto evidente l'accumulo di ricchezza nelle mani di pochi mentre una vasta massa di lavoratori cade al di sotto della soglia di sussistenza, creando la "plebe". La "polizia" si avvale delle "corporazioni" come strumento per organizzare coloro che praticano arti e mestieri, costituendo il "ceto dell'industria". Queste corporazioni assicurano il riconoscimento dei diritti di coloro che vi aderiscono e tutelano i loro interessi comuni, promuovendo rapporti di mutuo soccorso.

L'istituto delle corporazioni svolge un ruolo cruciale, consentendo il superamento dei particolarismi e dell'egoismo presenti nel sistema dei bisogni. Ciò avviene attraverso forme di solidarietà e assistenza reciproca che favoriscono il senso di appartenenza degli individui a una "totalità". La corporazione, oltre a sostenere i propri membri e garantire il loro sostentamento e benessere, diventa una "seconda famiglia" accanto a quella biologica, rappresentando un fondamentale momento di identificazione tra l'individuo e un'istituzione collettiva.

Pertanto, la società civile di Hegel, che integra gli aspetti di amministrazione della giustizia, polizia e corporazioni, può essere considerata una forma primaria di organizzazione pubblica. Tuttavia, essa rimane inferiore a quello che Hegel definisce lo "Stato propriamente politico". La piena totalità etica si realizza solo nello Stato, il terzo momento e la sintesi suprema dell'eticità, in cui l'individuo raggiunge la propria "libertà sostanziale". Questa convinzione è il risultato di un percorso personale compiuto da Hegel nel tempo, passando dall'idealizzazione della pòlis greca al riconoscimento della libertà individuale come grande scoperta della modernità, influenzata dal cristianesimo e dal principio della libera e infinita soggettività.

Così, in contrasto con coloro che provano nostalgia per le repubbliche antiche, Hegel adotta da un lato il punto di vista dei giusnaturalisti e dei contrattualisti, come Locke, ma dall'altro lo supera, cercando una prospettiva che concili antico e moderno. Pur partendo dalla libertà individuale come fondamento della modernità, Hegel non concepisce lo Stato come un'istituzione derivante da un contratto tra individui, mirante a garantire il diritto naturale a vita, libertà e proprietà. Per Hegel, lo Stato è un organismo che preserva il principio della libertà individuale ma ciò avviene perché gli individui si sentono autenticamente liberi solo quando si identificano con ciò che lo Stato rappresenta: l'unità sostanziale di un popolo, un organismo in cui le parti collaborano armonicamente per un fine comune. Secondo Hegel, il destino degli individui è ottenere dallo Stato le indicazioni su come vivere, considerando che lo Stato deve riconoscere gli interessi particolari e renderli compatibili con le sue finalità universali. In altre parole, lo Stato afferma e difende il diritto alla proprietà e alla libertà individuale ma con le sue leggi realizza la verità della comunità a cui gli individui appartengono, formando la loro identità più profonda. Nella sfera della società civile, dove gli individui perseguono interessi particolari, la loro libertà si realizza solo come autonomia; nelle corporazioni, superano l'ottica del puro interesse particolare, riconoscendosi in una forma di associazione orientata all'interesse generale dei membri; infine, nello Stato, comprendono che il bene del tutto è la condizione del loro bene individuale, sentendosi parte di una totalità che conferisce loro quella che Hegel definisce "libertà concreta" o "sostanziale". Scrive Hegel:

"[...] l'interesse particolare non dev'essere dunque messo da parte o addirittura soppresso, ma deve essere autenticamente posto in accordo con l'universale: grazie a questo accordo, lo stesso interesse particolare viene conservato insieme all'universale. Ora, secondo i propri doveri, l'individuo è suddito. In quanto cittadino, l'individuo trova invece nell'adempimento dei doveri la protezione della sua persona e della sua proprietà, la presa in considerazione del proprio benessere particolare e l'appagamento della propria essenza sostanziale, cioè la coscienza e l'autosentimento di essere membro di questo Tutto: e, in questo compimento dei doveri come prestazioni e funzioni per lo Stato, lo Stato stesso ha la propria conservazione e la propria sussistenza [...]"
(Lineamenti di filosofia del diritto, § 261)

Hegel sostiene che nell'epoca moderna gli individui sono motivati da due distinti impulsi: uno li spinge a perseguire il proprio bene in modo egoistico e individuale, mentre l'altro li spinge verso l'universale, poiché sentono il desiderio di appartenere organicamente alla propria comunità e di agire per il bene comune. In questa prospettiva, lo Stato rappresenta la "vitalità morale" del popolo e i cittadini, obbedendo alle sue leggi, contribuiscono al bene della comunità. Scrive Hegel:

"[...] bisogna sapere che uno Stato è la realizzazione della libertà, ossia del fine ultimo assoluto, che lo Stato esiste come fine in sé; inoltre bisogna sapere che tutto il valore dell'uomo, tutta la realtà spirituale, gli viene solo dallo Stato. La realtà spirituale dell'uomo sta, infatti, nel sapere in che cosa consiste la sua essenza, ovverosia nella ragione, così che la ragione abbia per lui un'esistenza oggettiva, immediata; solo così l'uomo è coscienza, solo così egli è inserito nel costume, nella vita giuridica e morale dello Stato. Infatti il vero è l'unità della volontà universale e della volontà soggettiva; nello Stato la volontà universale è contenuta nelle leggi, in disposizioni universali e razionali. Lo Stato è l'idea divina, così com'essa esiste sulla terra [...]"
(Lezioni sulla filosofia della storia, ed. 1840, Introduzione, sez. C)


Il diritto statale interno

La discussione sullo Stato si sviluppa attraverso tre momenti: il "diritto statale interno", il "diritto statale esterno" e la "storia universale". Il concetto di diritto statale interno conduce alla riflessione sulla costituzione. Hegel identifica tre poteri nell'organizzazione dello Stato: il legislativo, l'esecutivo e il potere del sovrano (considerando l'amministrazione della giustizia come parte della società civile). La forma organizzata dello Stato che emerge da questa articolazione è la monarchia costituzionale, considerata da Hegel come "l'opera del mondo moderno" e l'unica costituzione razionale adatta ai grandi Stati contemporanei.

Questa forma costituzionale è una combinazione dei principi delle tre tradizionali forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia). Il sovrano rappresenta l'unità dello Stato (aspetto monarchico), il potere governativo è nelle mani di alcuni (aspetto aristocratico), mentre il potere legislativo è nelle mani di molti, sebbene non di tutti (aspetto democratico). Tuttavia, è importante notare che, a differenza di Montesquieu, Hegel non intende la divisione come indipendenza ma come una collaborazione di organi diversi per il bene comune. Per Hegel, l'autonomia dei poteri legislativo ed esecutivo significherebbe la rovina dello Stato.

Il sovrano, secondo Hegel, è la personificazione dell'unità dello Stato e ha il compito di confermare definitivamente le leggi, ponendo il proprio "io voglio soggettivo". Sebbene sembri un potere limitato, il sovrano non deve solo registrare la volontà degli altri poteri ma può anche decidere l'esistenza o meno di una legge. Hegel, tuttavia, non specifica chiaramente tutte le prerogative e i limiti del suo potere decisionale.

Il potere governativo, responsabile della giustizia, della polizia e delle corporazioni, è affidato ai membri della burocrazia statale, il "ceto generale", selezionato dal sovrano in base alle capacità e alla dedizione al bene pubblico. Questi funzionari giocano un ruolo cruciale nella gestione e nell'organizzazione dello Stato. La salvaguardia dei cittadini dagli eventuali abusi di potere dell'amministrazione è garantita, prima di tutto, dallo spirito pubblico e dal "senso dello Stato" dei funzionari che li spinge a collocarsi al di sopra degli interessi in conflitto. In secondo luogo, vi è un controllo dall'opinione pubblica e dalle corporazioni, alle quali la legge dovrebbe attribuire specifiche competenze.

Il potere legislativo, secondo Hegel, è affidato ai rappresentanti dei due ceti, il "sostanziale" e il "formale", che occupano le due camere dell'assemblea parlamentare. Le camere svolgono un ruolo chiave di mediazione tra la visione degli interessi universali dello Stato, rappresentata dal governo e dal monarca, e gli interessi particolari espressi dai due ceti.

Gli aristocratici proprietari terrieri sono destinati a occupare la camera alta come rappresentanti dell'"elemento della stabilità e della conservazione", ovvero la terra. Dall'altra parte, i delegati delle varie corporazioni compongono la camera bassa come rappresentanti dell'"elemento instabile", vale a dire l'industria e i capitali mobili.

Hegel critica il "principio democratico", sostenendo che l'allargamento indiscriminato del diritto di voto minaccia l'ordine organico della società. Per Hegel, un individuo diventa "qualcuno" solo quando fa parte di una struttura sociale gerarchica. Quindi, secondo lui, nemmeno le rappresentanze dei ceti dovrebbero essere elettive. Gli aristocratici proprietari terrieri hanno il diritto ereditario di far parte della camera alta, mentre le corporazioni scelgono i propri rappresentanti sulla base di un rapporto fiduciario.

Hegel sostiene che i dibattiti parlamentari devono essere pubblici per favorire una discussione ampia, accompagnata dall'opinione pubblica e sostenuta dalla libertà di stampa. Tuttavia, precisa che l'opinione pubblica è positiva solo quando serve il dibattito parlamentare e diventa negativa quando esprime punti di vista soggettivi privi di verità. Analogamente, per quanto riguarda la libertà di stampa, Hegel ritiene che debba essere garantita ma sottolinea la necessità di porla sotto il controllo della polizia per evitare "intemperanze" o il libero esercizio di dire e scrivere ciò che si vuole.


La sovranità all'estero e il diritto statale esterno

La sezione concernente il diritto statale interno si conclude con la discussione sulla "sovranità all'esterno", aprendo così la porta al secondo aspetto dell'analisi dello Stato: il "diritto statale esterno" o, in altre parole, il diritto internazionale. Secondo Hegel, in ogni rapporto con gli altri Stati, ciascuno di essi è un soggetto autonomo il cui principale interesse è preservare la propria esistenza, mantenere la propria autonomia e sovranità, nonché perseguire il proprio benessere.

Il sistema delle relazioni internazionali si configura come uno stato di natura di tipo hobbesiano. In questo contesto, ciascuno Stato ha il diritto di agire secondo le proprie valutazioni per garantire la propria conservazione e potenza, richiedendo ai propri cittadini, se necessario, il sacrificio dei beni e persino della vita stessa. A differenza della logica del contrattualismo e del giusnaturalismo, nessuno Stato assicura incondizionatamente ai cittadini la salvaguardia della vita. Al contrario, è l'individuo che, in caso di necessità, deve sacrificarsi affinché lo Stato possa perdurare.

Utilizzando il linguaggio hegeliano, questo implica che, nel momento supremo della guerra, "il Finito – inteso come possesso e vita – deve essere considerato come qualcosa di accidentale". In guerra, quando si mette in gioco l'esistenza dello Stato, si rivela chiaramente "la vanità delle cose e dei beni temporali". La minaccia di guerra è costante poiché l'indipendenza di ciascuno Stato crea "controversie tra Stati, un rapporto di forza, uno stato di guerra" secondo Hegel.

Va notato che, per Hegel, la guerra non è semplicemente un male necessario ma ha anche un elevato valore etico in quanto preserva la salute dei popoli. Scrive Hegel, citando, con qualche variante, il suo «Articolo sul diritto naturale» del 1802-1803:

"[...] la guerra ha il superiore significato per cui, mediante essa – come ho detto altrove –, «la salute etica dei popoli viene mantenuta nella sua indifferenza contro il consolidarsi delle determinatezze finite, e come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine cui sarebbe ridotto da una bonaccia duratura, così la guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua» [...]"
(Lineamenti di filosofia del diritto, § 324)

Hegel critica aspramente l'opera di Kant, "Per la pace perpetua", affermando categoricamente che tra gli Stati non esiste un'autorità superiore, un giudice supremo capace di far rispettare gli accordi nelle relazioni internazionali e di agire al di sopra degli interessi particolari di ciascuno. Al contrario della visione di Kant, che auspica la creazione di una federazione di Stati per garantire la pace eterna, Hegel sostiene che qualsiasi trattato firmato rimarrà sempre soggetto all'"accidentalità", ovvero alle decisioni arbitrarie degli Stati singoli che agiscono per preservare o potenziare il proprio benessere.



Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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