Hegel - Lezione 3 - La Fenomenologia dello spirito


Immagine Hegel
1) La Fenomenologia dello spirito
2) Che cos'è lo spirito? Storia di una parola e di un'idea
3) Dialettica: l'assoluto come totalità e come soggetto
4) Dialettica e contraddizione
5) Le figure della Fenomenologia

La Fenomenologia dello spirito

Nel testo definitivo del 1807, l'opera si configura come la prima parte di un sistema filosofico, intitolato "Sistema della scienza. Parte prima: Fenomenologia dello spirito". L'espressione "Sistema della scienza", contrariamente alla sua apparente mancanza di aderenza al carattere non sistematico dell'opera, sottolinea volutamente l'aspetto scientifico e sistematico della filosofia. Quest'opera, contraddistinta da concetti e immagini spesso intrecciati in una forma apparentemente disordinata e confusa, ha subito numerose modifiche nella sua redazione, riflettendosi in ambiguità e discordanze. Inizialmente, il titolo doveva essere "Scienza dell'esperienza della coscienza", come indicato nella prima stesura del 1805, risultando forse più coerente con il contenuto.

Per comprendere il concetto di "esperienza" secondo Hegel, possiamo rifarci alla vita quotidiana. A volte, le consapevolezze più significative non derivano da catene di ragionamenti logici o da processi di prova ed errore, bensì da "prese di coscienza" di qualcosa che, in un certo senso, già sapevamo. In un momento preciso, siamo in grado di distanziarci dalla situazione in cui siamo coinvolti, osservandoci quasi dall'esterno. Le cose si manifestano sotto una nuova luce, costringendoci a rivedere gli schemi della nostra percezione della realtà, coinvolgendo non solo la ragione ma anche emozioni e il nostro modo di vivere e interpretare il mondo. Questo fornisce un'idea di ciò che Hegel intende per "esperienza della coscienza".

Dal punto di vista hegeliano, la coscienza è sia il rapporto con un oggetto (l'in sé) che la capacità di riflettere su se stessa (per sé). In questo contesto, la Fenomenologia dello spirito si presenta come il resoconto di una consapevolezza sempre più complessa della coscienza. Attraverso un lungo percorso in cui rischia di smarrirsi, la coscienza giunge a comprendere la sua vera essenza e a riconoscersi come assoluta, unica e vera realtà. Il termine "fenomenologia" nel titolo definitivo richiama il fenomeno, l'oggetto di esperienza possibile che, per Hegel, rappresenta la manifestazione stessa dello spirito. A differenza della concezione kantiana del fenomeno come opposto al noumeno, l'inconoscibile "in sé" delle cose, per Hegel, il fenomeno è l'espressione piena e positiva dell'essenza del reale, manifestazione dietro la quale non si cela alcun "in sé". La tesi fondamentale dell'opera è pertanto che, il fenomeno, ciò che appare e si manifesta, costituisce simultaneamente il logos, la trama razionale del mondo.

I due titoli menzionati possono essere interpretati come indicativi delle due letture complementari dell'opera, rappresentando i due movimenti distinti al suo interno: la "Scienza dell'esperienza della coscienza" suggerisce un movimento ascendente, in cui la coscienza comune, in contrasto con il fenomeno, progredisce verso una visione sempre più comprensiva e filosofica, arrivando a riconoscersi come unica realtà. D'altra parte, la "Fenomenologia dello spirito" indica lo stesso processo dal punto di vista dello "spirito", ossia la prospettiva del filosofo che, dall'alto, contempla la conciliazione delle opposizioni nell'unità dialettica del processo.

L'"esperienza" di cui si parla, manifestata come fenomeno, è principalmente l'esperienza che lo spirito fa di se stesso nel corso della storia, emergendo nelle forme più significative della cultura collettiva. Queste forme si presentano agli occhi del filosofo come tappe di una storia ideale dell'umanità, riproducibile in ogni singola coscienza attraverso una successione logica nel tempo. La coscienza individuale si sviluppa all'interno di una specifica forma di coscienza storica e non può superarne i limiti. Hegel descrive un processo universale che si applica a ogni individuo, con tappe essenziali che portano all'acquisizione di una forma di consapevolezza umana. Tuttavia, questo percorso si intreccia, almeno da un certo punto in poi (dall'"autocoscienza" in avanti), con le acquisizioni della coscienza collettiva nella storia che costituisce la base della civiltà europea.

Lo sviluppo delle "figure" mostra progressivamente l'emergere di forme di vita e cultura dello spirito nella storia, di cui siamo eredi. La "coscienza" manifestata dalle diverse "figure" mette costantemente alla prova la consapevolezza dello spirito, spingendo ogni forma di coscienza a oltrepassare se stessa fino a raggiungere la totalità, risultato della sua esperienza. Ogni momento del percorso dello spirito incorpora i momenti precedenti, conservandoli nella loro verità parziale, illuminandone il significato integrandoli e superandoli. Il movimento dialettico che porta da una posizione alla successiva è comprensibile solo al filosofo che osserva la logica del loro succedersi senza perdersi nell'inganno delle apparenze.

La posizione del filosofo è privilegiata, guardando il processo storico dal suo compimento e ricostruendo il difficile cammino della coscienza. Sembra quasi dirigere il processo, incoraggiando la coscienza a progredire da figura a figura, da presa di coscienza a presa di coscienza, spingendola a "disperare del finito" e a non accontentarsi di nulla meno che della conoscenza assoluta. Questa prospettiva coinvolge ogni filosofo nel suo rapporto col proprio tempo ma assume una rilevanza specifica per Hegel, che si considera al culmine dello sviluppo storico, posizionato nelle migliori condizioni per valutare le forme precedenti (parziali) di autocoscienza filosofica.

L'introduzione alla Fenomenologia, redatta in una fase iniziale della sua composizione, enfatizza il rifiuto delle "filosofie della riflessione" che mantengono una distinzione intellettuale tra soggetto e oggetto del pensiero. Nella Prefazione, scritta successivamente al completamento dell'opera, si consuma la rottura definitiva con Schelling e i romantici. Questi ultimi proponevano che l'accesso all'assoluto avvenisse attraverso "intuizione" e "sentimento" come vie soggettive di conoscenza. Hegel assimila l'identità o l'indifferenza dell'assoluto, precedentemente affidata all'intuizione da Schelling, a una sorta di indistinta mistica, espresso ironicamente con l'immagine famosa della "notte in cui tutte le vacche sono nere". Hegel critica l'immediatezza del sentimento romantico, considerandola una scorciatoia a buon mercato che, pur pretendendo di superare l'intelletto, cade invece al di sotto di esso, portando alla confusione di ogni cosa.

Per Hegel, le differenze devono essere unificate, giustificate e mantenute come tali nel risultato conclusivo. La conciliazione tra pensante e pensato può avvenire solo nel pensiero, attraverso la "fatica del concetto". La Fenomenologia si propone di immergersi nella profondità della frattura tra soggetto e oggetto del pensiero, come questa si è manifestata e sviluppata nella storia della coscienza individuale e collettiva. Ciò avviene attraverso i concreti contenuti culturali conservati nella memoria dello spirito, considerato sostanza etica e contemporaneamente soggetto, parte e intero, finito e assoluto.


Che cos'è lo spirito? Storia di una parola e di un'idea

Prima di esaminare l'opera, è opportuno chiarire l'origine storica del termine "spirito", il quale assume significati complessi nell'opera di Hegel. "Spirito" (Geist) è la traduzione del termine greco pnèuma, che originariamente significa "soffio" o "respiro". Il termine guadagna importanza nell'età ellenistica, quando viene utilizzato per tradurre la nozione biblica corrispondente di ruach, rappresentante della potenza divina nell'Antico Testamento e di grande centralità nel Nuovo Testamento.

Lo "spirito di Dio" interviene nella vita di Gesù, viene promesso da lui come assistente o consolatore ("paraclito") ai discepoli, anima infine la vita della comunità credente, manifestandosi anche visibilmente nella Pentecoste e esprimendosi attraverso vari carismi, dal dono delle lingue alla profezia, alle guarigioni. Hegel stesso consigliava agli allievi di riferirsi al passo del Vangelo in cui Gesù promette: "dove due o tre di voi saranno riuniti in mio nome, là vi sarò anch'io", per comprendere il concetto di spirito.

Il termine, proveniente dalla teologia, assume una posizione centrale nella filosofia tedesca tra il Settecento e l'Ottocento. Con i suoi molteplici significati, collega la concezione ebraico-cristiana di Dio come amore, vita ed energia con quella della filosofia greca di Dio come noùs e lògos. Esprime sia la rivelazione di sé, la generosità che, secondo Hegel, costituisce l'essenza stessa del divino, sia il suo ritornare a sé, il suo concentrarsi in sé nell'autotrasparenza del pensiero. Infine, riassume la dimensione individuale e quella collettiva, seguendo una delle definizioni più pregnanti di Hegel: "essere presso di sé nell'altro". È la coscienza che sorge dall'animalità, la cultura di un'epoca e di un popolo che si esprime nell'individualità.


Dialettica: l'assoluto come totalità e come soggetto

Nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, Hegel affronta per la prima volta la dialettica in un contesto in cui si propone di esplorare la natura del sapere e il processo attraverso cui si giunge alla verità. Il suo discorso si concentra principalmente sulla sua filosofia, presentandosi come una questione di metodo. Dopo aver esaminato diverse forme di verità, come quelle storiche e matematiche, con i loro metodi specifici di indagine, Hegel precisa che nella filosofia non si tratta di definire un metodo nel senso tradizionale: "Il metodo non è altro che la struttura dell'intero proposta nella sua pura essenzialità". Parlare di metodo di conoscenza appartiene a una "cultura sorpassata", a un modo "antiquato" di pensare. La novità secondo Hegel sta nel concepire la verità come "il movimento di lei in lei stessa".

Hegel espone chiaramente i tre momenti della dialettica in alcuni paragrafi dell'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817): il momento "astratto o intellettivo" cattura le determinatezze finite e le fissa nella loro reciproca diversità; il momento "dialettico o negativamente razionale" è il momento propriamente dialettico, rivelando l'intima inconsistenza di queste determinatezze che cercano di isolarsi dal tutto. Infine, il momento "speculativo o positivamente razionale" coglie l'unità delle determinazioni nella loro contrapposizione. Il termine "dialettica" non è nuovo in filosofia: per gli antichi sofisti, era l'arte della confutazione; per Platone, era il metodo filosofico per eccellenza, l'arte dell'unione e della divisione dei concetti. Hegel si ispira a Parmenide e al Sofista di Platone. La dialettica, per Hegel, diventa la struttura interna dell'intera realtà, la logica dei processi costitutivi delle cose e del pensiero che li concepisce. A entrambi i livelli, si esplica in un ritmo ternario, in triadi di momenti tra loro concatenati fino a coprire tutto il campo delle "scienze filosofiche". Lo schema più comune è tesi-antitesi-sintesi. L'importante è comprendere che la dialettica hegeliana esprime una concezione dinamica della realtà e della verità. Il pensiero deve muoversi attraverso gli aspetti del reale per renderne la complessità: il primo momento (positivo) deve cogliere la differenza di un aspetto, isolandone e fissandone la peculiarità; il secondo momento (negativo) deve confrontare tale determinazione con ciò che si oppone, negando che essa sia "tutta" la realtà; il terzo momento (positivo) permette di giungere a una nuova comprensione del reale, rendendo conto della tensione che oppone un aspetto all'altro, legando il positivo e il negativo in un rapporto determinato. L'anima del movimento è quella che Hegel chiama "l'immane potenza del negativo": la forza oppositiva del secondo momento che impedisce al sapere di irrigidirsi in una astratta unilateralità. Hegel richiama l'attenzione su questo con il modello dello scetticismo antico. Negare la validità assoluta di ogni formula o definizione, alla maniera scettica, è per Hegel l'arma filosofica per eccellenza che permette di sconfiggere il dogmatismo e di mantenere aperta la ricerca all'infinita complessità del reale. Nella Prefazione della Fenomenologia dello spirito, due affermazioni fondamentali per comprendere il concetto hegeliano di dialettica sono:

1) "il vero è l'intero";
2) "l'assoluto va pensato come soggetto".

Il concetto di verità secondo Hegel è profondamente legato all'idea dell'intero e dell'assoluto. Hegel afferma che il vero è l'intero e che l'intero è l'essenza che si realizza attraverso il suo sviluppo. L'assoluto, secondo Hegel, è essenzialmente un risultato e solo alla fine diventa ciò che realmente è. Questa identificazione dell'intero con l'assoluto implica che la realtà, con tutte le sue infinite connessioni, coincide con il processo che la genera. La verità stessa è quindi un processo dinamico, non statico, che si manifesta attraverso lo sviluppo delle opposizioni e delle differenze.

Questa concezione ha una dimensione storica, in quanto la logica del reale si svela nel tempo attraverso la successione di figure nella Fenomenologia. Tuttavia, ha anche una dimensione logico-metafisica, in quanto le idee si sviluppano come entità viventi, raggiungendo vari livelli di sviluppo. Ogni verità è un punto di arrivo che include il percorso fatto per raggiungerlo, compresi gli errori e il loro superamento. La dialettica, come processo di pensiero, consente il passaggio dalla parte al tutto, costituendo una totalità di sapere sempre più comprensiva fino alla totalità del sapere assoluto che rappresenta il sapere stesso di Dio.

La dialettica di Hegel si contrappone al pensiero analitico che spezza l'intero e ne isola le parti ma anche al pensiero mistico che si basa sull'intuizione religiosa ed estetica, allontanandosi dai procedimenti distintivi della ragione. Per Hegel, Dio è ciò che è più conoscibile e il pensiero del filosofo che segue il movimento dialettico delle idee si muove dentro il pensiero di Dio, identificandosi infine con lui. L'infinito colto con il pensiero non è altro che il finito visto nella totalità delle sue connessioni; il divino è il movimento dialettico del contrapporsi e del ricongiungersi con sé, animando insieme la realtà e il pensiero.

L'idealismo hegeliano si manifesta nell'idealità del finito, in cui ogni aspetto finito è reale solo nella sua connessione con il tutto, portando già in sé l'infinito come tendenza a superare la sua unilateralità astratta. Per Hegel, l'idealismo filosofico consiste nel non riconoscere il finito come un vero essere.

Hegel afferma che l'assoluto deve essere pensato come soggetto. Qui, "soggetto" non si riferisce alla coscienza individuale in opposizione a un oggetto ma allo spirito che è protagonista dell'intera dinamica del reale, giungendo alla piena consapevolezza del pensiero. La "soggettività" dell'assoluto che supera e conserva tutto nel dinamismo della sua autocoscienza, si contrappone all'oggettività della sostanza, che rimane immobile nell'identità con se stessa.


Dialettica e contraddizione

Le contraddizioni presenti nella dialettica trascendentale, legate all'idea di totalità, portarono Kant a respingere la metafisica tradizionale. Per Hegel, al contrario, le antinomie rappresentano solo un punto di partenza per un avanzamento di livello. Pur accettando l'analisi kantiana nel pensiero finito, Hegel ritiene che la logica dell'intelletto possa essere superata e ricompresa dalla ragione, ovvero dal pensiero dialettico.

La chiave della dialettica, come abbiamo esaminato, è la "contraddizione". Tuttavia, Hegel attribuisce a questo termine un significato più ampio e meno definito rispetto ai logici tradizionali. Egli evidenzia che sia la realtà che il pensiero sono intrisi di "contraddizioni". Mentre il pensiero comune può ignorarle, la mente intellettiva le rileva con attenzione, poiché minacciano la coerenza del discorso. Hegel sottolinea che ogni cosa, in quanto parte del fluire del tempo, continua a cambiare e a perdere la propria identità. Inoltre, la struttura stessa delle proposizioni, specialmente dei giudizi non tautologici, è contraddittoria, identificando termini che non sono identici.

Hegel estende il concetto di contraddizione al livello ontologico, affermando che le opposizioni reali, come quelle tra forze opposte o polarità (bene e male), non possono essere semplicemente eliminate. Poiché per Hegel il logos e la realtà condividono la stessa struttura, la contraddizione si manifesta necessariamente nella logica quando si affronta la realtà. La dialettica entra in gioco quando si dichiara che X è rotondo e, contemporaneamente, quadrato; questa contraddizione è accettabile se si comprende che si parla delle diverse proiezioni di un cilindro.

In sintesi, la contraddizione logica può essere gestita attraverso il principio di identità ma l'opposizione reale fa sì che ogni termine richieda l'opposizione dell'altro per definirsi. Ad esempio, il bene morale esiste solo in contrasto con il male e la luce si manifesta solo in relazione all'oscurità.

Quando si affronta il concetto degli opposti, come vita-morte, pace-guerra, sanità-malattia, intelligenza-follia, sapienza-ignoranza, pulito-sporco, santità-peccato, luce-buio, il pensiero intellettuale astratto tende a fissare le opposte determinazioni nella loro identità intrinseca e diversità reciproca. Questo approccio impedisce di percepire il legame interno che connette i componenti di ogni coppia. Se questo è evidente staticamente (un bicchiere mezzo pieno è sempre anche mezzo vuoto), diventa ancor più significativo dinamicamente (un ideale estremo e irrealistico di perfezione può trasformarsi nella massima imperfezione; la negazione di ogni conflitto in nome di un'astratta pace può facilmente condurre alla guerra; la massima intensità di vita può sfociare nella sfida con la morte). In questo senso, si può affermare che Hegel abbia coglie con acuta sensibilità un aspetto fondamentale della realtà che sottende al suo dinamismo e che il pensiero analitico dell'intelletto astratto non può comprendere, proprio perché isola gli opposti e non li osserva nella loro concreta interazione. Scrive Hegel:

"[...] Così, per esempio, si dice che l’uomo è mortale, e si considera poi il morire come qualcosa che ha il suo fondamento in circostanze esterne; secondo questo modo di considerare, l’esser vivente e l’essere anche mortale sono due proprietà particolari dell’uomo. Ma il vero modo di vedere sta nel comprendere che la vita come tale porta in sé il germe della morte e che, in generale, il finito si contraddice in se stesso e quindi si supera [...]"
(Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, aggiunta al § 81)

In conclusione, la dialettica fa parte integrante della coscienza e dell'esperienza comune, poiché la realtà stessa è intrinsecamente dialettica. Nonostante le apparenze, l'affermazione di Hegel secondo cui ogni entità finita, per sua stessa natura, tende a sopprimersi e a trasformarsi nella negazione di sé stessa, non è così distante dal senso comune. Questo concetto è riflettuto nel detto citato da Hegel: "summum ius, summa iniuria", che significa il massimo del diritto (inteso nella sua assoluta rigidità) porta alla massima ingiustizia.


Le figure della Fenomenologia

La Fenomenologia, intesa come studio dell'esperienza della coscienza, si propone di esaminare il progresso dialettico dei processi che hanno contribuito alla formazione della cultura occidentale, considerata la forma attuale della consapevolezza che lo spirito ha di sé. Questi processi si sono manifestati storicamente attraverso fasi esemplari di evoluzione e conflitto, le quali Hegel sintetizza attraverso diverse "figure" e le collega dialetticamente a vari livelli. Il romanzo dello spirito mira a spiegare le dinamiche che hanno generato e continuano ad alimentare la forma collettiva di coscienza in cui ogni individuo può imparare a pensare, risalendo dalle determinazioni più semplici alla massima complessità. Per quanto riguarda il contenuto effettivo della Fenomenologia, ci limitiamo a una sintesi, data anche l'estrema complessità dell'opera che, seppur giustamente rivalutata nel Novecento, era considerata da Hegel stesso superata dal successivo sviluppo del sistema. Una sfida per il lettore è rappresentata dal modo in cui si sviluppa l'ascesa della coscienza verso il sapere assoluto: tale processo non è lineare ma assume una forma spiraliforme, poiché l'alienazione (ossia l'uscita al di fuori di sé) e il recupero di sé da parte della coscienza che si eleva verso lo spirito si realizzano a diversi livelli.

Affrontiamo l'analisi dell'opera seguendo il suo schema fondamentale che suddivide l'intero processo in diversi momenti: coscienza, autocoscienza, ragione, spirito, religione e sapere assoluto. I primi tre momenti (coscienza, autocoscienza, ragione) presentano figure concettuali, mentre le sezioni successive rappresentano figure storiche reali, come l'illuminismo, la Rivoluzione francese e il Terrore. Tuttavia, la distinzione tra figure concettuali e storiche non è netta, poiché anche figure storiche compaiono inizialmente come tipi ideali.

Il rapporto con il tempo storico è uno degli aspetti più complessi dell'opera. Il punto di vista del sapere assoluto è reso possibile da uno sviluppo storico della coscienza ma questo sviluppo avviene in modo dialettico piuttosto che cronologico, come descritto nella Fenomenologia. Hegel utilizza liberamente eventi storici, attingendo dalla vita civile e culturale, per evidenziare l'emergere di momenti cruciali di presa di coscienza, parte di una logica di crescita spirituale che attraversa la storia umana.

La prima sezione dell'opera si concentra sulla coscienza che si manifesta inizialmente come certezza sensibile, orientata a cercare la verità nell'oggetto. Tuttavia, la coscienza riconosce che le determinazioni immediate della certezza sensibile non sono immediate ma mediate, universali che derivano da una sfera superiore, la sensibilità umana permeata di ragione. La coscienza si trasforma in percezione, tentando di identificare nella cosa uno stabile substrato delle qualità sensibili. Si rende conto che l'unità non appartiene alla cosa, bensì alle operazioni di collegamento della coscienza, trasformandosi quindi in intelletto.

Il testo prosegue descrivendo il passaggio al secondo momento, l'autocoscienza, che si sviluppa attraverso l'esperienza del desiderio. La coscienza, nel riconoscere sé stessa come desiderio, diventa "soggetto" di fronte a ciò che è altro da sé. Tuttavia, nell'azione, l'autocoscienza si scontra con altre autocoscienze, generando una lotta per il riconoscimento reciproco. Questa lotta che implica la richiesta di essere considerati e trattati come soggetti, porta a una situazione di stallo che sfocia in una "lotta per la vita e per la morte", dove ciascun contendente chiede il riconoscimento attraverso la forza del proprio desiderio, rinunciando alla propria identità di soggetto.

La relazione che si instaura tra due individui inevitabilmente si configura come un conflitto, il cui esito è determinato dalla <strong>paura della morte fisica. Colui che cede alla paura di perdere la vita sceglie la sopravvivenza naturale, rinunciando al primato spirituale, la vera posta in gioco. Dall'altro lato, chi accetta la sfida mortale, disprezzando una scelta di vita che lo avrebbe costretto a subordinarsi, diventa il soggetto del dominio, il "signore" di un "servo".

Solo affrontando il rischio della vita, superando il piano del naturale desiderio di autoconservazione, il desiderio diviene veramente umano e umanizzante. La lotta non conduce necessariamente alla morte di uno o di entrambi i contendenti ma all'istituzione di una relazione sociale, un rapporto di disuguaglianza tra un signore e un servo. L'avversario non è eliminato, bensì "soppresso dialetticamente", ossia soppresso e conservato allo stesso tempo, trasformato in schiavo, rifacendosi all'esperienza della schiavitù antica come momento specifico nella storia ideale della coscienza secondo Hegel.

Segue un altro passaggio dialettico celebre: se da un lato il padrone domina lo schiavo e ne trae vantaggio lavorativo, dall'altro si trova in una posizione statica, priva di sviluppo, riconosciuto da qualcuno che egli stesso non riconosce, considerato come una "cosa". Al contrario, lo schiavo, sotto la paura del padrone, si impegna nel lavoro che trasforma la natura e la rende fruibile. La situazione si capovolge: la posizione dello schiavo diviene dinamica e aperta, da lui proviene ogni progresso storico e sviluppo culturale.

Hegel utilizza, per descrivere la cultura che si sviluppa dalla coscienza servile, concetti della tarda filosofia antica come lo stoicismo e lo scetticismo. Lo stoicismo afferma l'indifferenza delle circostanze esterne rispetto alla libertà interiore, rendendo irrilevante la differenza sociale tra padrone e servo. Lo scetticismo nega un significato stabile alle cose del mondo, ritenute inconoscibili.

L'autocoscienza si riduce così a un punto, svuotata e separata da ogni contenuto e significato possibile. Si giunge così alla figura della coscienza infelice, riconoscibile nelle forme della coscienza religiosa ebraico-cristiana, con la separazione tra aldiquà e aldilà, peccato e grazia e la percezione dell'uomo come totalmente misero di fronte a un Dio padrone dell'aldilà. Tuttavia, attraverso questo stadio, l'autocoscienza supera la singolarità, elevandosi all'universalità: perdendosi in Dio, come nell'ascetismo medioevale, acquisisce la "certezza di essere l'intera realtà".

Entriamo così nella sfera del pensiero, specificamente della "ragione", sintesi di coscienza e autocoscienza. In questa sfera, la coscienza incorpora Dio e il mondo, non percependoli più come estranei assoluti (raggiungendo un punto di vista "idealistico" secondo Hegel). Di fronte a una realtà con cui non si sente più estranea, la "ragione osservatrice" cerca se stessa nella natura, tentando di legiferare l'esperienza ma è ostacolata dal suo approccio ancora intellettualistico, analitico ed esteriore.

A questo punto, delusa dalla scienza, la ragione si orienta all'azione, come Faust, cercando di imprimerle il suo criterio. Inizialmente, si immerge nella vita in cerca del piacere; successivamente, di fronte al dominio del destino, ritorna a sé, cercando in sé stessa la norma: la "legge del cuore", eretta presuntuosamente a misura infallibile del bene e del male. Tuttavia, il mondo sembra resistere a questa prospettiva, portando a uno scacco attribuito alla malvagità di "preti fanatici e despoti corrotti". La risposta è proclamare il valore della virtù. Ma il "cavaliere della virtù" deve limitarsi a combattere con il male in un duello finto, poiché uno scontro con il corso del mondo rivelerebbe l'inefficacia della sua virtù astratta. La coscienza, ora "individualità a sé stessa reale", cerca di realizzarsi nell'opera, aprendosi al confronto con gli effetti della sua azione, dove si compenetrano individualità e oggettività. L'opera inizia a emergere come il termine ideale dell'azione di tutti ma l'esigenza di leggi che regolino l'operare comune appare ancora in forme inadeguate: la "ragione legislatrice ed esaminatrice delle leggi" si trova in un vicolo cieco, poiché le sue pretese leggi universali risultano essere generiche e vuote banalità. Questo ennesimo fallimento rivela però la consapevolezza che la legge è data dalla realtà stessa del mondo, dalla sostanza etica con cui si compenetra l'autocoscienza. Con questo passaggio, entriamo nel regno dello spirito. Con lo spirito, il discorso di Hegel si fa sempre più aderente agli sviluppi della storia della cultura occidentale, dai greci fino alla Rivoluzione francese e alle vicende della filosofia tedesca. La tragedia greca, in particolare l'Antigone di Sofocle, evidenzia un contrasto che mina dall'interno la sostanza etica del popolo greco: il contrasto tra la legge umana, impersonata dall'uomo (il re Creonte nella tragedia), che mira a dare compattezza e continuità alla comunità e la legge divina, impersonata dalla donna (Antigone) che mantiene vivo il ricordo dei morti, siano essi considerati eroi o traditori dalla legge umana. Tra le due leggi non può esserci compromesso, solo conflitto che porta al tramonto della bella eticità greca e alla frammentazione della sostanza etica in una pluralità indefinita di atomi, di "persone" (in senso giuridico) governate dall'universalità astratta di una legge al di sopra della quale si colloca la potenza arbitraria del "signore del mondo" (l'imperatore romano). A questo punto, una nuova sezione, "Lo spirito che si è reso estraneo a sé: la cultura", segnala una complessa ristrutturazione della coscienza europea medioevale e moderna. Da un lato, si accetta ed esalta le potenze terrene, mondane, lo Stato e la ricchezza (parlando di "coscienza nobile" che si realizza nel servizio e nell'adulazione del potere, mentre la "coscienza spregevole" denuncia tutto ciò come finzione e ipocrisia). Dall'altro, come "coscienza pura", si riconosce in Dio solo il proprio signore (posizione della fede, "fuga dal mondo effettuale", qui distinta dalla religione). Tuttavia, a questo livello dello sviluppo dello spirito, la fede non può più essere ingenua, deve diventare fede pensante: deve ospitare al suo interno il proprio gemello nemico, l'illuminismo, che si pone subito a combattere tutto ciò nella fede percepisce come superstizione e pregiudizio, oscurantismo del clero e dispotismo dei principi. La vittoria dell'illuminismo, tuttavia, non è la vittoria della ragione, bensì dell'intelletto finito, che impone come misura fondamentale di ogni valore la categoria dell'utilità. Tale categoria esprime l'unilateralità dell'illuminismo rispetto a un dualismo di fondo: non ha portato alla conciliazione tra materia e spirito, tra cielo e terra.

Il risultato estremo dell'alienazione nel mondo dello spirito si manifesta come "libertà assoluta", che si configura come un "agire negativo" di una "volontà universale". Questa volontà, astratta nella sua natura, si limita a distruggere, assumendo la forma di terrore e facendo riferimento esplicito alla Rivoluzione francese. Tuttavia, l'azione del terrore non è esclusivamente negativa: la libertà assoluta che nella sua realizzazione distrugge se stessa, trova rifugio nel mondo del pensiero.

Si configura così la nuova figura dello spirito morale, rappresentando il passaggio dalla Rivoluzione francese agli sviluppi recenti del pensiero tedesco. Hegel critica i postulati dell'etica kantiana, considerandoli un "nido di contraddizioni". La coscienza morale non può accettare l'idea kantiana di una moralità come pura tensione verso un ideale irraggiungibile, poiché questo significherebbe la fine della moralità.

In alternativa, essa recupera la propria unità sopprimendo l'opposizione tra natura sensibile e puro dovere, incarnandosi nella figura della "coscienziosità", una genialità morale libera da ogni contenuto determinato di dovere. L'"anima bella", intesa come intuizione immediata del divino, si sforza di preservare la propria purezza da ogni contaminazione della finitezza ma si ritrova nell'impotenza, consumandosi in "tisiche nostalgie".

La finitezza, tuttavia, non può essere esclusa e ritorna sotto forma del problema del male e del peccato che la coscienziosità affronta solo in termini di perdono da parte di un'autocoscienza suprema. Si giunge così al penultimo capitolo, quello della religione che deve essere distinto dalla fede. Mentre la fede pone il divino al di fuori di sé, la religione rappresenta l'"autocoscienza dello spirito", uno spirito che conosce se stesso.

Nella religione, anche se si presuppone la totalità e l'assoluto, vi è uno sviluppo diverso rispetto alle fasi precedenti. Le religioni naturali dell'India e dell'Egitto vedono lo spirito liberarsi dalle forme vegetali e animali della natura per raggiungere la forma umana. Questa idea è centrale nella religione artistica dei greci che si esprime nelle varie forme del culto e nelle arti plastiche, culminando nelle arti della parola, dall'èpos alla tragedia alla commedia.

In particolare, la commedia, con la sua critica razionale, segna la crisi della bella religione classica, l'avvento della coscienza infelice e la comparsa della religione rivelata. Quest'ultima realizza la coincidenza di due momenti contrapposti: la sostanza si aliena diventando autocoscienza e l'autocoscienza si aliena facendosi cosa, cioè singolo uomo esistente.

Questo processo di divinizzazione dell'essenza attraverso l'incarnazione umana dell'essenza divina è il contenuto della religione assoluta. La morte dell'uomo-Dio supera non solo il lato naturale dell'umano ma sopprime anche l'astrazione dell'essenza divina, rendendola concretamente presente nella comunità dei credenti che rinnova ogni giorno la sua morte e resurrezione.

Tuttavia, nella religione, l'unità tra il divino e l'umano è ancora pensata nella forma della rappresentazione. Il momento finale, quello del sapere assoluto (il sapere filosofico, che è la scienza suprema), richiede la forma del concetto. Anche questo, tuttavia, non emerge dall'alto come un'intuizione mistica ma si sviluppa storicamente, essendo la condensazione e la "memoria interiorizzante" (Erinnerung) di tutta la storia compresa concettualmente.



Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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